Un film di Andrzej Zulawski. Con Jerzy Trela, Iwona Bielska, Jerzy Gralek, Elzbieta Karkoszka, Jan Frycz, Wieslaw Komasa, Leszek Dlugosz, Maciej Góraj, Krzysztof Kolberger. continua» Fantascienza, durata 164 min. – Polonia 1987.
Sulla faccia nascosta della Luna, un gruppo di scienziati idealisti ha gettato le fondamenta di una nuova società destinata a crescere libera e migliore di quella terrestre; ma, a mano a mano che scompaiono i “padri fondatori”, la nuova generazione si abbandona all’ignoranza, alla superstizione, alla rivalità interna. Il vecchio Jerzy, ultimo dei nobili colonizzatori, venerato dai giovani alla stregua di un profeta divino, lascia al popolo un testamento spirituale contenente gli insegnamenti per vivere in pace e, allontanatosi su una montagna al compimento dell’opera, affida la propria esperienza alle pagine digitali di un video-diario che spedisce con un razzo sulla Terra, a futura memoria per gli uomini. Il prezioso documento viene decifrato da Marek, solerte ricercatore spaziale e uomo psicologicamente tormentato, che decide di intraprendere un viaggio verso il mondo sconosciuto per verificare quanto realmente sia accaduto. Scambiato per la reincarnazione di Jerzy, Marek accetta di liberare il popolo caduto in soggezione di una crudele una razza di dominatori, ma durante la difficile guerra viene tradito e condannato a morte mediante crocefissione… La gente dovrà adesso affidarsi alle proprie forze e costruire responsabilmente una propria storia. Forse ripeterà gli errori degli uomini: di certo, crescerà nel religioso ricordo di un misterioso liberatore venuto un giorno dal cielo…
Ispirato agli epici racconti della cosiddetta “Trilogia della Luna” scritta tra il 1900 e 1903 da Jerzy Zulawski (prozio del regista), il film ne ricalca la ripartizione in tre parti (la colonizzazione e l’imbarbarimento; l’avvento del messia e la sua morte; la rivelazione finale). Il significato simbolico della pagina scritta è esaltato sullo schermo da una ricercatezza formale che impreziosisce l’immagine senza togliere al contenuto la valenza filosofica. Al regista Zulawski si può forse rimproverare un eccesso di barocchismo e una tendenza all’autocompiacimento nell’uso personalissimo della macchina da ripresa, ma non gli si può negare una sincerità d’intento che riflette una profonda partecipazione alla causa della libertà e l’esigenza di una rilettura critica della storia degli uomini. L’esito del film è strettamente legato alla lunga e travagliata lavorazione. Cominciato nel 1976 tra il deserto di Gobi e il litorale baltico polacco, fu interrotto in più riprese a causa di problemi finanziari, pesanti intoppi burocratici e feroci censure politiche. Il risultato finale – ottenuto mediante il recupero delle parti filmate in anni diversi, nuovo montaggio e ulteriori integrazioni – dà chiaramente la sensazione di un’opera cresciuta nel tempo e che del tempo tradisce i segni: una sorta di sofferta meditazione personale che il regista ha rivendicato a segno di una sua maturazione di pensiero ma alla quale il Festival di Cannes del 1988 non ha unanimemente riconosciuto valore artistico.
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