Un film di Takashi Miike. Con Hideaki Ito, Masanobu Ando, Koichi Sato, Kaori Momoi, Yusuke Iseya. Azione, durata 121 min. – Giappone 2007. MYMONETRO Sukiyaki Western Django valutazione media: 3,13 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
In un villaggio giapponese, in una terra molto simile al vecchio west, due gang, i Genji vestiti di bianco e gli Heike vestiti di rosso, combattono all’ultimo sangue per un forziere d’oro.
Il divertissement di Takashi Miike, che afferma di avere incontrato gli Spaghetti Western (che in giappone si chiamano Maccheroni Western) all’età di sei anni quando i genitori che guardavano i film di Sergio Leone gli regalavano pistole e speroni, è cinefilia pura. Questo è il pregio e il difetto di un film che nei primi tre minuti dà il meglio di sè. È Quentin Tarantino nell’ironica parte di Piringo, narratore, con una meravigliosa parlata inglese dalla cadenza nipponica. Lo sfondo dipinto, con quel sole perfetto e giallo fa il resto. E qui inizia il film.
Ci sono donne di metallo, sceriffi immortali, fragorosi suoni di pallottole, e tanti colori caldi, che giungono fino al rosso del sangue che scorre a fiotti. Le citazioni sono infinite, da Corbucci fino al sempiterno Sergio Leone. Takashi Miike, che fino a oggi si era confrontato con l’horror e l’inquietudine, sa dove mettere le mani, e i temi di amore e morte ricorrono anche in questo omaggio assoluto al Western all’italiana. La durata del film, circa due ore, rende gli scontri a fuoco ripetitivi, ma a salvare Sukiyaki Western Django è ancora l’amore per il cinema. L’eterno incontro delle due mani che si avvicinano strizzando l’occhio a Duello al sole sono ancora un gioiello di questo gioco che il regista giapponese e Tarantino hanno pensato qualche tempo fa proprio in un ristorante del Lido Veneziano, a dimostrazione che il sogno del cinema esiste ancora. In Oriente. In Occidente. E Leone San non potrà che sorridere, a modo suo, da qualche parte in cielo.
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Quentin Tarantino è un raffinato cinefilo, in più un regista che ha realizzato opere importanti, ma anche uno con la dichiarata passione per i films di serie B, tanto da essere l’indiscusso mentore di films come questo. La cosa non mi scandalizza affatto, perché da ragazzi penso sia capitato a molti di non essere tanto schizzinosi nelle scelte dei films da vedere, tanto da ritenere che sono molte le opere che in questo senso si sono dimenticate o sono da dimenticare. Il tempo che passa, comunque, ci costringe ad essere più selettivi e scartare, magari senza averle viste, quelle opere che riteniamo “basse”, a meno di voler restare degli eterni “bamboccioni”. Il fatto, dunque, che Tarantino persista ancor oggi nell’atteggiamento di cui si è detto, potrebbe far pensare ad un eterno immaturo o, peggio, al gusto di “incanaglirsi” di una persona in ogni caso inattaccabile per la sua forte posizione intellettuale. Ma le cose da considerare possono essere anche più complesse, Tarantino infatti mi sembra che invece appartenga a quel genere di persone che del cinema intendono esplorare anche le zone d’ombra, proprio come alcuni dei critici dei “Cahiers du Cinéma”, che giustamente hanno rivalutato registi da “cinema povero” come Boetticher o Ulmer, oppure da studiosi di cinema di chiara fama come Goffredo Fofi, che per primo si è preso la briga di riconoscere e far riconoscere l’immenso talento di un Totò, fino ad allora considerato un semplice guitto da “avanspettacolo”, da relegarsi in pellicole di quart’ordine.