Un film di Steve McQueen. Con Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie, Hannah Ware. Drammatico, durata 99 min. – Gran Bretagna 2011. – Bim uscita venerdì 13 gennaio 2012. – VM 14 – MYMONETRO Shame valutazione media: 3,53 su 111 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Brandon ha un problema di dipendenza dal sesso che gli impedisce di condurre una relazione sentimentale sana e lo imprigiona in una spirale di varie altre dipendenze. Nulla traspare all’esterno: Brandon ha un appartamento elegante, un buon lavoro ed è un uomo affascinante che non ha difficoltà a piacere alle donne. Al suo interno, però, è un inferno di pulsioni compulsive. Va ancora peggio alla sorella Sissy, bella e sexy, ma più giovane e fragile, la quale passa da una dipendenza affettiva ad un’altra ed è sempre più incapace di badare a se stessa o di controllarsi.
Dopo aver colpito indelebilmente gli occhi di chi ha visto il suo primo film, Hunger, colpevolmente non distribuito in Italia, il videoartista britannico Steve McQueen richiama con sé Michael Fassbender come protagonista di Shame, un film che è altrettanto politico, nelle intenzioni, per quanto non lo sia esplicitamente nel soggetto (com’era invece per la vicenda di Bobby Sands).
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McQueen ha esordito in campo cinematografico relativamente tardi, cioè a 39 anni. Questo perché si è sempre occupato di pittura, scultura e fotografia. In tal senso, è inutile rimarcare che “Shame” si apre con un lunga inquadratura sul corpo seminudo del protagonista che risente di tale formazione. Questa sequenza, nella sua fissità, riesce da sola a gravare subito lo spettatore di un senso di disagio, di morboso, di dolore e di morte (se non fisica almeno spirituale). E’, quindi, fuori discussione la grande capacità di McQueen sul piano formale, oppure la sua estrema abilità di utilizzare al meglio gli attori (in questo film, alla conferma della bravura di Fassbender, si aggiunge un’altrettanto brava Mulligan). Sul piano del contenuto, le cose però mi sembrano più complicate e discutibili. Per necessaria brevità, mi soffermo solo su due aspetti di questo film. Il primo riguarda il tentativo del protagonista di intrattenere una normale relazione con una sua collega di lavoro, il secondo l’arrivo nel suo appartamento della sorella. Nel primo caso, il protagonista deve constatare che se vengono coinvolti anche i sentimenti diventa incapace persino di un superficiale rapporto sessuale, e, par di capire, che attribuisca tale situazione non solo a se stesso, ma anche all’attuale società. Si veda l’accenno sull’ipotetica possibilità di poter scegliere il periodo storico in cui vivere, facendo cadere le sue preferenze sugli anni sessanta dello scorso secolo (un periodo amato e odiato, ma comunque evidentemente ritenuto ricco di vitalità e di fermenti). Nel secondo caso, il protagonista deve ancora prendere atto della sua impossibilità di relazionarsi “normalmente” persino con sua sorella, ma anche questa volta pare che la colpa risieda non solo in loro: non siamo cattivi ma è cattivo l’ambiente da cui proveniamo, dice più o meno sua sorella. McQueen non sembra, tuttavia, volere dare delle risposte sulle colpe individuali o sociali, lasciando aperta la questione.
Questo si evince, mi sembra, dal fatto che il percorso del protagonista non è lineare, non c’è un traguardo da raggiungere, dove si trovi la perdizione o la possibilità di redenzione. Il film, infatti, inizia e si chiude con una stessa sequenza (del resto ripetuta nel film più volte) cioè del protagonista sul metro e di una ragazza evidentemente disposta a lascarsi sedurre. Ciò, probabilmente, per significare la circolarità del percorso effettuato dallo stesso protagonista, il quale non può mai apprendere dalle sue esperienze, nel bene o nel male, ma è sempre costretto ha ricominciare lo stesso itinerario senza che nulla possa cambiare. A questa prima lettura, dunque, posso solo dire di essere perplesso.