Un film di Bela Tarr. Con Peter Berling, Mihaly Vig, Putyi Horvath, Erika Bok Drammatico, b/n durata 465′ min. – Ungheria, Germania, Svizzera 1994. MYMONETRO Satantango valutazione media: 3,81 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Diviso in 2 parti e in 12 capitoli per la durata di 7 ore e più, costato quasi 4 anni di lavoro (1991-94), tratto da un romanzo di László Krasznahorkai, adattato dall’autore col regista, è il più ambizioso dei film di Tarr, il narratore più estremo del cinema magiaro, attivo dal 1977. In un villaggio della pianura stepposa ungherese due gabbamondo, già dati per morti, convincono la popolazione a lasciare le proprie case e i loro risparmi, necessari a fondare una colonia collettiva dell’utopia. In cadenze allegoriche, anche se storicamente precise, è una satira antiautoritaria e, insieme, un apologo metafisico. Tema centrale: quelle che i padri della Chiesa cristiana chiamavano le figlie dell’accidia (filiae acediae), intesa come “la fuga dell’uomo davanti alle ricchezze delle proprie possibilità spirituali”: il torpore, il divertimento e soprattutto la disperazione, cioè la presuntuosa e compiaciuta certezza di essere già condannati alla rovina.(Leggere il Canto VII dell’Inferno di Dante). Influenzata dal cinema “improvvisato” di Cassavetes, ma anche dall’elegante rigore coreografico di Jancsó e Tarkovskij, la scrittura di Tarr è affidata a una esasperata dilatazione dello spazio e del tempo in lunghi piani-sequenza. La tensione che ne deriva corrisponde alla stasi spirituale mortifera del racconto e “si traduce in un’indagine ‘ontologica’ sul cinema stesso, sulla dialettica che lo fonda” (A. Piccardi). Fotografia: Gabor Medvigy.
Edit 19/2/24: Ho rippato un bdrip da 44gb e portato a 1080p h265. File unico ovviamente migliore della versione precedente dvdrip.
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Non ho mai avuto fretta di vedere questo film, pur avendone avuta l’occasione, ma, almeno per me, questo non si deve a certi pregiudizi che lo circondano. Ho sempre ritenuto, infatti, che avere delle informazioni su un film sia utile, ma non al punto da poter sostituire la sua conoscenza diretta. Quello che mi induceva a rimandare questa visione, in effetti, era soprattutto una certa familiarità col cinema di Béla Tarr. Avendo visto di questo regista, sia “Le armonie di Werckmeistern” sia “Il cavallo di Torino” (la sua ultima fatica !), prendersela comoda con altre sue opere credo che fosse piuttosto comprensibile. Questi due films, ai quali posso aggiungere ora anche “Satantango”, li ritengo insomma medio alti, ma non tali da doversi per forza vedere, ovvero dei “capolavori” imperdibili per un appassionato di cinema. Non mi scandalizzo, quindi, se Iper abbia voluto “passare” su “Satantango”, quello che mi preoccupa invece è che il suo intervento possa essere frainteso. Può darsi sia vero, Béla Tarr può avere il torto di aver fatto films eccessivamente ambiziosi, nel senso che il suo cinema è forse un po’ troppo “ricercato”, la sua smania autorale è dovuta probabilmente più al massiccio impegno che al talento spontaneo, ma vivaddio come si fa a non rispettare la scelta di fare films comunque artisticamente validi, piuttosto che fare solo del cinema di cassetta? In altre parole, penso che l’assoluta onestà intellettuale di Tarr sia l’unica certezza che valga la pena di sottolineare, perché le mie più specifiche impressioni su “Satantango”, qualsivoglia interesse possano avere, sono pur sempre solo opinioni. Più sinceramente, non penso ci sia qualcuno in grado di sviluppare argomentazioni che incoraggino la visione di un film di Tarr, bisognerebbe prima superare le premesse del suo modo di far cinema, uno stile che utilizza solo il bianco e nero, con piani sequenza esasperati, tempi dilatati, fermi immagine, dialoghi rarefatti, stesse immagini riprese da più angolazioni, ecc. ecc. Tutto questo può considerarsi suggestivo, ma non certo incoraggiante.