Un film di Luchino Visconti. Con Claudia Cardinale, Alain Delon, Roger Hanin, Katina Paxinou, Annie Girardot. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 180 min. – Italia 1960. MYMONETRO Rocco e i suoi fratelli valutazione media: 4,55 su 24 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Alla morte del marito, la lucana Rosaria Parondi si trasferisce a Milano, dove abita il primogenito Vincenzo, con gli altri quattro figli maschi: Simone comincia una carriera nella boxe, Rocco fa il garzone in una stireria, Ciro va a lavorare in fabbrica e Luca, il minore, rimane a casa con la madre. L’ossessione di Simone per la prostituta Nadia, della quale si invaghirà anche Rocco, porterà alla tragedia e alla disgregazione della famiglia Parondi.
A dodici anni da La terra trema, Luchino Visconti torna ad occuparsi della questione meridionale, questa volta, dal punto di vista di chi è costretto ad emigrare: le difficoltà di adattamento in una nuova realtà sociale, la condizione di chi si sente straniero in una città ostile, tra sogni di ritorno alla terra natia e voglia di integrazione, un certo verismo nelle modalità di racconto fanno di Rocco e i suoi fratelli un seguito ideale del precedente capolavoro ispirato a “I Malavoglia”. Anche qui c’è una fonte letteraria precisa, la raccolta “Il ponte della Ghisolfa” di Giovanni Testori, cui si aggiungono suggestioni da altre opere quali “Giuseppe e i suoi fratelli” di Thomas Mann, “L’idiota” di Dostoevskij e “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller, che il regista portò in teatro solo due anni prima. Ma al di là della sua dimensione di saga famigliare, evidentissimi gli echi verghiani, di maestoso romanzo popolare, questo capolavoro del cinema anni Sessanta è soprattutto un grande melodramma, un miscuglio sapientissimo di sentimenti forti, pulsioni ancestrali e arcaiche, uno dei risultati più alti di Visconti, che mette in scena la sua Milano attraverso gli occhi di chi ne è respinto, allontanato, fagocitato.
Compatta da un punto di vista drammaturgico, poderosa da quello descrittivo, è il caso di un’opera in grado di superare l’evidente carica ideologica grazie a virtù riferibili ad una mano registica che ha pochi eguali: «I valori assai alti di Rocco e i suoi fratelli […] vanno, come al solito, individuati, più che nelle intenzioni ideologiche, nella concentrata densità drammatica del racconto, nella sua grandiosità epico-melodrammatica e drammaturgico-romanzesca, nei livelli altissimi della scrittura filmica e dell’orchestrazione polifonica, nella potenza con cui vengono delineati i sentimenti e fatte esplodere le passioni» (Lino Micciché, Luchino Visconti, Marsilio).
Fu osteggiato dalla censura che impose un insensato “annerimento” nella sequenza dello stupro di Nadia, tra le scene madri più forti e sconvolgenti di tutto Visconti. Il titolo è un duplice omaggio che mescola insieme “Giuseppe e i suoi fratelli” di Mann e il nome di Rocco Scotellaro, scrittore e poeta interessato alla cultura e alla società contadina, di cui il regista era un appassionato lettore.
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