Un film di Fritz Lang. Con Mel Ferrer, Marlene Dietrich, Arthur Kennedy Avventura, durata 89′ min. – USA 1952. MYMONETRO Rancho Notorius valutazione media: 3,00 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Alla ricerca dell’uccisore della sua fidanzata, cowboy capita al “Mulino d’oro”, quartier generale di una banda capeggiata da un giocatore di professione e dalla cantante Ambra. Girato a basso costo, fondali ed esterni di cartapesta esibiti nella loro falsità, rozzo Technicolor RKO, è uno dei più fascinosi film del Lang americano, impregnato di un romanticismo struggente sui temi della ruota, del destino, della colpa, intorno alla figura mitica di Marlene. Western barocco da mettere vicino a Johnny Guitar (1953). Scritto da Daniel Taradash.
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aggiungo, con una velocità incredibile!
Ciao, chi ha visto questo film?
Io dopo averlo tanto cercato l’ho visto ieri, grazie a Iper.
Sinceramente mi aspettavo un film più forte, più denso. L’ho trovato invece un po’ meccanico, un po’ rozzo. Non tanto per le scenografie e il technicolor di basso budget, che talvolta nella loro disomogeneità offrono grandi sorprese. Ma per lo sviluppo della storia, che parte con una serie di flashback portando l’eroe, spinto da vendetta, nel covo dei malviventi.
C’è una scena, a montaggio ‘emozionale’, che mostra in primo piano uno dopo l’altro i volti dei possibili assassini, che mi ha tanto ricordato la partenza della mandria ne Il fiume rosso di Hawks. In questo film però la scena mi è apparsa posticcia, finta, come se uno stilema fosse riusato ‘a effetto’ senza ottenere la potenza di Hawks. Certo lì si trattava di azione qui di psicologia, ma il risultato di Lang mi è sembrato assai piatto, se non ridicolo.
Certo, è bellissima l’idea della canzone ‘motivetto’ che accompagna tutto il film e mostra una sequnza di montage che parte da un dialogo a tre con inevitabile effetto di straniamento.
Ma il paragone di Mymovies con Johnny Guitar, uno dei miei western preferiti, secondo me proprio non è azzeccato. Al di là della presenza scenica/attoriale della Dietrich, che ride di gioia e fulmina con lo sguardo di ghiaccio a distanza di un taglio di montaggio, il barocco citato mi pare proprio svuotato di senso. Certo è anche questione di decor e quindi di budget. Ma il rifugio di Vienna in Johnny Guitar è una caverna di abiti bianchi, pareti di pietra, lampadari luccicanti. Il Mulino d’oro nulla ha di barocco, ma, se mai, la sua forza è quella della ‘dead town’ Todos Santos degli Amanti della città sepolta di Walsh, senza però quel suo forte carattere decadente.
Molto più azzecato il paragone con Johnny Guitar sarebbe stato per la presenza di una donna, disinibita, emancipata, che gestisce il suo tempo e la sua vita (anche se il carattere della Dietrich credo abbia ispirato molto più Jessica Drummond di Quaranta pistole di Fuller che Vienna) .
Insomma, mi chiedo, se non ci fosse la Dietrich che ne sarebbe di questo film che a detta di Lang stesso (nell’ottimo libro intervista di Peter Bogdanovich: il cinema secondo Fritz Lang) è stato prodotto con molte difficoltà (tra le quali il suo rapporto difficile con la Dietrich) e rimontato senza il permesso dell’autore?
Gran bel film. Film che ha poco a che fare con il “western” che ci si dovrebbe aspettare, ma molto a che fare con le tematiche e lo stile di Lang, ma questo è piuttosto ovvio per chi ha la ventura di apprezzare Lang e questa sua innovativa e riuscita fatica.