Hasumi e Hoshino sono due amici che condividono una passione per la musica della cantante Lily Chou Chou. Iniziando la scuola media, i due si allontanano: Hoshino diventa il capo dei bulli della scuola che derubano i compagni e poi maltrattano le ragazzine, costringendole a prostituirsi, mentre Hasumi è una vittima impotente che prova a reagire. L’unico posto in cui rifugiarsi è una chat-room, dedicata alla cantante, in cui i protagonisti condividono sogni e segreti con gli altri utenti sconosciuti, confondendo completamente il reale e il virtuale.
Aka: “AKA Serial Killer”. Ispirati a quattro omicidi avvenuti in Giappone nel 1968, attribuiti a uno studente diciannovenne che venne soprannominato “il killer della pistola”.
Un giorno e una notte nella vita di 5 coppie, sullo sfondo di un albergo a ore di Tokyo. Un dramedy leggero, girato in 2 settimane, che alterna ironicamente momenti drammatici a punte di erotismo spinto – il softcore è un ambiente caro al regista – senza evitare un certo impegno di fondo. L’amore, con le sue diverse declinazioni, i successi o fallimenti dei rapporti, è la tematica centrale, unita a una denuncia della mercificazione del corpo femminile. Hiroki, però, tocca lievemente anche altri argomenti di attualità molto sentiti in Giappone. L’instabilità nipponica post-tsunami del 2011 si percepisce tutt’ora e ha portato una chiusura sempre più palpabile, xenofoba e razzista. Le ferite dirette di quell’evento, invece, emergono in un personaggio marginale, la sorella del protagonista che, dopo aver visto i propri cari trascinati via dalla corrente, ha scelto una carriera nel porno. L’addio a Kabukichô – quartiere a luci rosse di Tokyo – del titolo originale vuole essere un monito, ma anche un assunto di speranza.
Un critico musicale russo, in Italia per ricostruire un episodio della vita del musicista russo Pavel Sasnowskj, incontra a Bagni Vignoni, una località termale presso Siena, un singolare personaggio, chiamato “il matto”, il quale afferma che per pacificare il mondo è necessario attraversare con una candela accesa la piscina di Santa Caterina. Dopo un soggiorno a Roma, dove il matto si dà fuoco in Campidoglio, il critico compie la traversata della piscina con la candela, ma muore d’infarto per l’immane fatica. Ancora un film sul tema, ossessivo per Tarkovskij, del “sacrificio” che è necessario per raggiungere la pace.
Regia di Andrei Tarkovsky. Un film con Igor Fomcenko, Vladimir Zamjanskij, Nina Arkangelskaja, Marina Adzubej, Yura Brusser, Slava Borisov, Aleksandr Ilin. Titolo originale: Katok i skripka. Genere Commedia – Russia, 1960, durata 55 minuti.
Al piccolo Saša l’esame del violino va male. Tuttavia il bambino matura una singolare amicizia con Serghej, un operaio addetto al rullo compressore. Saša riesce così a superare prove per lui difficili e inconsuete.
Tra una direttrice di scuola e un macellaio nasce un’affettuosa amicizia. Nel frattempo nei dintorni del villaggio viene trovato il corpo di una ragazza uccisa. Poco dopo viene scoperto un altro cadavere. È sospettato il macellaio. Uno Chabrol controllato senza essere evasivo, limpido senza essere superficiale, trasparente senza essere freddo. Un film angoscioso che è anche _ come La bella e la bestia _ una struggente storia d’amore.
Un posto di pastore protestante si è reso vacante presso un villaggio, ed il giovane aspirante Söfren vi si reca, in compagnia della fidanzata Mari. Il posto gli è indispensabile: infatti il padre di Söfren gli ha proibito di sposare Mari prima di essere diventato pastore.Vi sono altri due aspiranti, e ciascuno deve tenere un sermone per i fedeli riuniti in chiesa: i sermoni degli altri due aspiranti suscitano solo sopore o risa di scherno
Seconda guerra mondiale: una madre americana sta per ricevere nello stesso giorno la notizia della morte di tre dei suoi figli su diversi fronti della guerra. Il comandante in capo generale Marshall dà ordine che il quarto fratello, Ryan, sbarcato in Normandia, venga rintracciato e portato a casa. Sarà il capitano Miller (Hanks) a eseguire l’ordine. Nei primi venti minuti assistiamo allo sbarco di un anfibio sulla famosa spiaggia di Omaha, punto avanzato e cruciale dello sbarco in Normandia del 6 giugno 1944. È la parte più intensa del film. Tanto reale che lo spettatore davvero sbarca sulla spiaggia coi Marines. Mutilazioni, morti, ferite, braccia che cadono, viscere che escono. Però tutto ha una ragione. Reale che più reale non si può: è stato l’impegno del regista, che difficilmente manca i suoi obiettivi. Poi la storia diventa, diciamo, normale, forse addirittura con troppe chiacchiere. I soldati si inoltrano nel territorio, combattono, si pongono domande sulla guerra, trovano Ryan, che non vuole tornare a casa, e quasi tutti muoiono. Opera importante, ancora una volta, e ancora una volta con la prerogativa del discorso definitivo (per il cinema naturalmente) su un certo evento storico. Era stato così anche per Schindler’s List. Premio Oscar a Spielberg, oltre ad altri minori.
Caroline, assistente geriatrica, trova lavoro in una villa coloniale isolata, situata nelle paludi di New Orleans: dovrà badare al vecchio proprietario, immobilizzato e reso muto da un ictus, e convivere con la bisbetica moglie. Le verrà dato un passepartout, capace di aprire tutte le porte della casa tranne una: quella di una stanza accessibile solo dalla soffitta. Quando all’ossessione per la stanza proibita si unirà la sensazione che il vecchio cerchi di chiederle aiuto, in un clima carico di superstizione la scettica Caroline cercherà di far luce sulle misteriose circostanze in cui il vecchio fu colpito dall’ictus. La soffitta potrebbe celare al suo interno le risposte ma, sfortunatamente per la ragazza, non solo quelle. Dall’autore di K-Pax, una Kate Hudson finalmente cresciuta in un horror di impatto più psicologico che visivo e dai toni fortemente inquietanti, incentrato sulle superstizioni e i riti magici dell’hoodoo (diverso, a quanto pare, dal voodoo). Asciutta e coerente con se stessa, l’opera svolazza leggera attraverso la prima parte, nonostante sfiori molti cliché del genere e calchi visibilmente la mano sulla costruzione psicologica del carattere principale. Una protagonista troppo curiosa che compie azioni assurde, giustificate (in parte) da traumi del passato, al punto da mettersi nei pasticci da sola e servirsi su un piatto d’argento a chi di dovere: per i primi due terzi The Skeleton Key potrebbe essere dunque un banale horror supportato da una cupa, e non banale, eleganza d’ambiente. Proprio quando la speranza di intravedere un briciolo di originalità starà per spegnersi, ecco la deviazione verso territori quantomeno movimentati, per un finale decisamente al di là delle aspettative. Il cambio di marcia, per quanto rilevante, arriva troppo tardi.
Un film di Thomas Carr. Con Gale Robbins, Forrest Tucker, Mark Stevenson Titolo originale Gunsmoke in Tucson. Western, durata 80 min. – USA 1958. MYMONETRO Pistole calde a Tucson valutazione media: 2,00 su 1 recensione
Due fratelli seguono vie opposte: Chip diventa un bandito, John un implacabile esecutore della legge, tanto che non esita ad arrestare il proprio fratello. Chip però subisce l’influenza positiva di un amico onesto e rientra nella legalità.
Flash Gordon è un personaggio immaginario dei fumetti protagonista dell’omonima serie a fumetti di fantascienza ideata da Alex Raymond esordita il 7 gennaio 1934 e pubblicata per quasi settant’anni negli Stati Uniti. Nel 1933 la King Features, al fine di contrastare il successo della serie a fumetti di fantascienza di Buck Rogers, indice un concorso interno tra i propri collaboratori che venne vinto da Raymond proponendo il personaggio di Flash Gordon che esordisce il 7 gennaio del 1934 e che proseguirà fino al 1944 in tavole domenicali e strisce giornaliere. Nella realizzazione del fumetto Raymond si avvale della collaborazione di Don Moore ai testi e di Austin Briggs e John Mayo ai disegni.[6] Raymond si arruola per la seconda guerra mondiale nel 1944, lasciando l’incarico di proseguire la serie ad Austin Briggs, ma poi arriveranno altri autori come Mac Raboy, Dan Barry e Ric Estrada, Bob Fujitani e Al Williamson, con numerosi assistenti.
Un misterioso pianeta, Mongo, sembra dirigersi in rotta di collisione verso la Terra. Il dottor Zarkov costruisce un’astronave al fine di deviarne la traiettoria per evitare lo scontro con la Terra e costringe Flash Gordon e Dale Arden, atterrati fortunosamente nelle vicinanze del suo laboratorio, a seguirlo nell’impresa. I tre intraprendono il viaggio che così li porta su Mongo che per quasi dieci anni sarà il teatro delle loro avventure.
Marilyn Rexroth nutre un’autentica vocazione per il denaro che accumula collezionando, come figurine, mariti miliardari.Tra lei e i sogni a più zeri, lui, Miles Massey avvocato brillante di Beverly Hills, che prima la incastra, poi la sposa, poi le soccombe e poi la redime,si redime, irrimediabilmente. Tornano i fratelli Coen con una commedia feroce a camminare lungo i marciapiedi assolati “degli angeli”;a raccontare,questa volta, co-sceneggiati e all’ombra di ville iperboliche, della classe alto-borghese, quella annoiata intorno ad asettiche piscine “depurate” da poco opportuni amanti. Si avviano così le pratiche di divorzio,si organizzano cinicamente strategie post-matrimoniali dove gli avvocati drammatizzano, proprio come in un film dei Coen, persone e azioni con l’unico scopo di vincere, vincere e vincere. Massey, allora, costruisce davvero la sua perfettissima storia, anticipando successi e sconfitte del cuore,il suo, fino al romanticissimo epilogo sulle labbra Marilyn. Incredibile macchina spettacolare, quella dei Coen, governata dall’armonia totale degli elementi che dentro al loro cinema si corrispondono come una melodia. Una melodia che si avvia dalla “parola”, quella scritta,autoriale e definitiva dei Coen, quella che gli attori, pure superlativi, devono solo “dire” perchè al pubblico della prima come dell’ultima fila,arrivi nella sua “intollerabile” perfezione.
In una Russia messa a ferro e fuoco dalle invasioni asiatiche e sconvolta dalle lotte di potere tra piccoli potentati, il monaco Rublëv (1360 ca.-1430), pittore di icone, passa attraverso 9 capitoli (Il volo, Il buffone, Teofane il Greco, La passione secondo Andrej, La festa, Il giudizio universale, La scorreria, Il silenzio, La campana) che compongono un vasto affresco del Medioevo russo. Nel 1° è assente, in altri fa da spettatore o “passeggero”, nell’ultimo _ una delle più alte pagine filmiche di epica del lavoro umano _ è in disparte, testimone silenzioso. È uno dei grandi film degli anni ’60 (completato nel 1967, presentato a Cannes nel 1969, distribuito in URSS nel 1972 e in Italia nel 1975) il capolavoro di Tarkovskij è il più maturo risultato, in campo cinematografico, della cultura del dissenso nell’URSS. Epilogo a colori, 10 minuti di documentario sulla pittura di Rublëv: l’autore scompare, rimane l’opera.
Un agente segreto americano riceve l’incarico di trovare una centrale elettrica che disturba le comunicazioni alleate nel Mar Mediterraneo. La sua uccisione e le indagini successive portano ad appuntare i sospetti sulla moglie Shanny (Jean Seberg), con la testimonianza chiave che viene fornita da un vecchio pretendente, a suo tempo respinto, della donna. Una volta uscita di prigione, Shanny cerca però di risolvere i troppi misteri che si nascondono dietro la morte del marito, finendo per precipitare in un complicato ‘affaire spionistico’ che la porterà sino in Grecia (da qui il titolo originale, La route de Corinthe). Chabrol si inoltra nel film di spionaggio rivolgendo un occhio attento al suo diletto Hitchcock, e con puntuali riferimenti che vanno dalla tragedia greca alla suspense, realizza un raffinato ‘divertissement’ fondato su un ritmo narrativo molto sostenuto e su momenti di humour nerissimo. Criminal story, che precede la realizzazione di Stephane, una moglie infedele e de Il tagliagole, rivela inoltre un narcisistico vezzo hitchcockiano da parte del regista francese, che vi appare in un fulmineo cammeo nei panni di Alcibiades.
Desiderio del cuore (Michael o Mikaël) è un film muto del 1924 diretto da Carl Theodor Dreyer. Il titolo originale tedesco, Michael, lo si deve al titolo Mikaël (in danese) del romanzo di Herman Bang (1904) dal quale è tratto. Il romanzo era già stato adattato per lo schermo nel 1916 con il film Vingarne, diretto da Mauritz Stiller e interpretato da Nils Asther, un attore che, in seguito, avrebbe fatto una folgorante carriera hollywoodiana.
Il titolo originale tedesco, Michael, lo si deve al titolo Mikaël (in danese) del romanzo di Herman Bang (1904) dal quale è tratto. Il romanzo era già stato adattato per lo schermo nel 1916 con il film Vingarne, diretto da Mauritz Stiller e interpretato da Nils Asther, un attore che, in seguito, avrebbe fatto una folgorante carriera hollywoodiana.
Sung-soo, agiato businessman, ha un fratello, povero e solo, di cui non ha mai rivelato l’esistenza alla propria famiglia. Di fronte all’ennesimo grido di aiuto di quest’ultimo decide di andarlo a trovare e di affrontare finalmente i propri sensi di colpa mai sopiti. La verità che è destinato a scoprire, però, è ben più inquietante e sorprendente rispetto a quanto atteso. Il brutale incipit delinea immediatamente i confini di genere del debutto di Huh Jung, iscrivendolo a pieno titolo nei canoni del nero thriller sudcoreano: disturbante, crudo e senza speranza. Cinema fortemente di genere, in cui la reiterazione di temi, personaggi e scene clou non rappresenta un problema, specie fin tanto che il pubblico premia ogni nuova uscita del filone, quasi a rivendicare con forza un primato che tanta influenza ha avuto e continua ad avere sul thriller mondiale di grande e piccolo schermo.
Finita la guerra civile, il maggiore Dundee, fanatico ufficiale nordista, assolda un gruppo di disertori e prigionieri sudisti per inseguire in territorio messicano gli Apaches, autori di massacri impuniti, ma si scontra con le truppe francesi. Benché gravemente mutilato (10 sequenze scorciate) e rimaneggiato al montaggio dalla Columbia e dall’infame produttore Jerry Bresler, è un film capitale nella storia del western moderno e di grande influenza sui suoi sviluppi (su Sergio Leone, per esempio), specialmente nella rappresentazione di una violenza integrale che coinvolge inseguiti e inseguitori, carcerieri e prigionieri, annullando ogni linea di separazione. L’azione fa perno sulla figura tragica di Dundee, un po’ eroe fanatico, un po’ angelo caduto in preda a una furia di (auto)distruzione, ma la scissione della personalità è anche degli altri personaggi.
Noroi – The Curse (ノロイ Noroi) è un film del 2005, diretto da Kōji Shiraishi. Girato con lo stile del falso documentario, il film è stato ben accolto dalla critica e dal pubblico ed è considerato tra i migliori prodotti collocati nel genere J-Horror.
Una produzione televisiva annuncia di aver ritrovato materiale video appartenente al giornalista Masafumi Kobayashi, specializzato nel campo del paranormale e dell’occulto. Il giornalista è stato dichiarato scomparso dopo che un incendio è divampato nella sua abitazione, in cui sua moglie Keiko ha perso la vita.
Il video contiene interviste fatte dal giornalista, registrazioni di programmi televisivi, materiale di repertorio, il tutto raccolto da Kobayashi, impegnato negli ultimi mesi su alcuni strani accadimenti, come la scomparsa di una bambina con capacità ESP, un’inquietante apparizione durante un servizio televisivo notturno in una foresta, le folli dichiarazioni di un medium, le convulsioni dell’attrice Marika Matsumoto. Kobayashi trova un legame tra tutte queste storie: la maledizione di Kagutaba, un demone che, secondo la leggenda, venne imprigionato nelle viscere di un paesino del Nagano per mezzo di un antico rituale, avvenuto per l’ultima volta nel 1978. Per approfondire la sua ricerca, Kobayashi si reca in questo paese, insieme al medium, ad un cameraman ed a Marika Matsumoto, per verificare ciò che i paesani temono di più: il risveglio del demone.
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