È la storia di un inafferrabile criminale mascherato, Belfagor, che molti hanno visto aggirarsi lungo le sale del museo del Louvre, ma nessuno è riuscito a catturare. Un giovane scopre il mistero: Belfagor è una persona a lui ben nota, che compie le gesta criminose in stato di trance.
1971, Carolyn e Roger si trasferiscono, con le loro 5 figlie, in una casa di campagna che scoprono abitata da uno spirito ostile. Chiedono aiuto a una coppia di detective del paranormale, Ed e Lorraine Warren. L’interesse del film sta proprio nei 2 demonologi, realmente esistiti (i racconti delle loro esperienze avevano ispirato diversi film tra cui Amityville Horror ). Wan – regista malese d’origine e australiano di formazione, inventore di Saw – L’enigmista , poi divenuto serie cinematografica da lui prodotta – si conferma maestro del genere. Distribuisce Warner Bros.
Un professore di latino (Järrel), detto Caligola, terrorizza gli studenti e, anche pervertito, ossessiona un’allieva (Zetterling) provocandone la morte per crisi cardiaca. Un compagno della ragazza (Kjellin) lo affronta. Scritto dal venticinquenne Ingmar Bergman, è un cupo e soffocante dramma psicologico in un linguaggio di taglio espressionista. Fece conoscere in Europa A. Sjöberg, rinomato regista teatrale che al cinema diede il meglio di sé nel dopoguerra. Nel 1946 a Cannes il film ebbe il premio internazionale della giuria.
Mancano sette giorni al 2000. A Taiwan, dove piove a cielo rotto in continuazione, si diffonde un’epidemia misteriosa. I malati si comportano come scarafaggi. In un grande edificio – dove per intero si svolge la vicenda – un ragazzo e una ragazza non lasciano le loro abitazioni. Nell’appartamento sovrastante lui spia lei attraverso un buco, lasciato aperto da un idraulico. Quando lei s’ammala, attraverso il pertugio lui si allunga a porgerle un bicchiere d’acqua. Poi si tende, lei si aggrappa e viene tirata su. Non sono più soli. “Metafora sulla solitudine e sull’inquinamento terminale del mondo” (L. Tornabuoni), il 4° film del quarantenne e premiatissimo regista cinese è quasi muto, cupo, narrato in cadenze lente e ossessive, sostenute da una radicalità di sguardo che qui, grazie al supporto narrativo, si libera quasi completamente del suo decadentismo estetizzante. Realizzato per una serie TV ( Il 2000 visto da … ), il film durava in origine 58 minuti. Con un espediente produttivo che è diventato un originale e sagace contrappunto espressivo, le desolate ore vuote dei due personaggi sono intervallate da una mezza dozzina di luccicanti videoclip cantati e danzati alla maniera del musical americano. I 2 interpreti sono i protagonisti di Vive l’amour (1994).
Copenaghen, 1975. Anna, nota giornalista TV, convince il marito Erik, docente di architettura, a dar vita a una Comune nella grande casa da lui ereditata. L’arrivo di Emma, una studentessa di cui Erik si è innamorato, fa cadere in depressione Anna. Scritto a 4 mani con Tobias Lindholm, è un dramma sentimentale di coppia ma anche esistenziale di una donna alla soglia dell’anzianità. Poco a che vedere con Together – Insieme (2000), benché l’anno (1975) della storia sia lo stesso e il luogo (Stoccolma) vicino e culturalmente omogeneo. Il titolo si riferisce a un’esperienza di convivenza collettiva alternativa, che in realtà funge solo da sfondo, ma di “comune” c’è solo la vicenda borghese del marito di mezza età che lascia la moglie per una 20enne. Più che a Lukas Moodysson, Vinterberg sembra ispirarsi a Ingmar Bergman, ma non ne ha lo spessore e la poesia. Vale soprattutto per l’inquietante interpretazione di T. Dyrholm, Orso d’argento come migliore attrice alla Berlinale 2016.
In una clinica ginecologica tre donne di diversa età e condizione sociale sono in attesa di partorire. Chi aspetta con gioia, chi con rabbia e rancore. I mariti che si avvicendano nella stanza sono ridicoli manichini. Realizzato con l’appoggio del governo svedese che aveva in corso una campagna per il contenimento delle pratiche abortive, è un momento dell’interrogazione di Bergman sul senso della vita e i rapporti di coppia. Da 3 racconti, da lei sceneggiati, di Ulla Isaksson.
L’opera seconda di Ingmar Bergman, da un dramma di Oskar Braathen. Un ragazzo e una ragazza s’incontrano un giorno di pioggia a Stoccolma. Sono entrambi degli sconfitti dalla vita. Lui è appena uscito di prigione, lei è incinta. Decideranno di affrontare i loro destini uniti.
That Day, on the Beach (cinese: 海灘的一天; pinyin: Hai tan de yi tian) è un film taiwanese del 1983 diretto da Edward Yang, alle prese con il suo primo lungometraggio. Il film, considerato da molti il primo della Nouvelle Vague taiwanese, è un discorso sul tempo, sul ricordo e sull’incisione che questi segnano nel cambiamento dell’uomo all’interno della società in divenire.
Tutto è incluso nel potere del tempo che, come dice il fratello sul letto di morte, si lascia ogni cosa alle spalle, e poi nel movimento della vita, confuso, impercettibile, avvolgente e alienante.
A Nazareth, un anziano palestinese si ammala, dopo aver visto distrutta la sua attività anche a causa dell’occupazione israeliana. Il figlio lo accudisce, ma anche il ragazzo ha dei problemi, essendo innamorato di una palestinese di Ramallah, che per via dei posti di blocco israeliani, può incontrare solo in un parcheggio deserto vicino al checkpoint. La situazione complicata aguzza l’ingegno dell’uomo, che riuscirà a forzare il blocco con uno stratagemma. Presentato in concorso al Festival di Cannes, il secondo lungometraggio di Suleiman, palestinese cresciuto a New York, si caratterizza per il forte impegno civile nella condanna dell’assurdità della guerra annosa tra Israele e Palestina, ma non va oltre una presa di posizione di forte stampo ideologico. Privilegiando uno stile narrativo surreale, che talvolta strappa il sorriso anche nelle situazioni più tragiche, il regista non riesce quasi mai a uscire da una staticità generale.
Matiora ha le sue tradizioni. È un villaggio radicato nel culto della natura e nel lavoro di pastorizia e allevamento, che vive e sopravvive seguendo i cicli del grano e quelli domestici. Antichissimo tanto quanto un grande albero che sorge ai confini dei campi e isolato dal resto del mondo proprio perché sorge su un’isola di un lago siberiano che ha lo stesso nome di quella piccola comunità. Ma tutto questo sta per scomparire quando il paese è minacciato da un appalto che vuole inabissare l’isola e trasformare il bacino naturale in una diga artificiale per l’energia idroelettrica… e Darya, una delle donne più vecchie dell’isola, vede il suo vecchio e antico mondo, quello dei suoi genitori, sfuggirle di fronte agli occhi, ormai incapaci di dire addio a Matiora. Concepito e preparato dalla regista Larisa Sepitko (che non riuscì mai a vederlo ultimato perché morì in un grave incidente automobilistico assieme al direttore della fotografia e allo scenografo, proprio il primo giorno di riprese nel 1979), questo film fu diretto da suo marito, Elim Klimov, con l’ausilio nella sceneggiatura di suo fratello, German Klimov. Tratta dal romanzo breve dello scrittore Valentin Rasputin “Addio a Matjora” – anche conosciuto come “Il villaggio sommerso” -, la pellicola è considerata dalla critica cinematografica e storica dell’Urss come una delle opere chiave del cinema della Glasnost (vale a dire di quella serie di riforme e ideologie che mirarono a ripulire l’Unione Sovietica da favoritismi e privilegi della classe politica) e affonda le sue radici nel profondo scontro fra nuovo e vecchio mondo, portandone alla luce contraddizioni, ipocrisie e sfruttamenti. Molto lontana dall’ottica italiana, questo è certo, ma se ci si sforza un po’ con l’immaginazione è una storia che potrebbe essere benissimo trasportata in America o nella nostra patria. Amaro, esattamente come gli addii.
Dalla commedia di Mart Crowely, adattata dall’autore: otto giovani gay della borghesia intellettuale di New York e un ospite casuale, che si dichiara eterosessuale, partecipano a una festa di compleanno che si trasforma in una velenosa seduta di analisi terapeutica collettiva e in un feroce gioco al massacro. Interpretato dagli stessi attori che portarono la commedia al successo di Broadway, fu il 1° film di Hollywood sull’omosessualità. Girato da Friedkin con una mobilità della cinepresa che sfiora il virtuosismo, tributario di un certo sperimentalismo di marca europea con risvolti di un surrealismo che rasenta talvolta la truculenza, il film ebbe un limitato successo di scandalo, non privo di polemiche contro la sua presunta ottica troppo negativa sugli omosessuali e la loro infelicità.
Duello in tribunale per stabilire se un assassino per il quale si chiede la pena di morte sia o no un malato mentale. In bilico tra dramma giudiziario e thriller, è un esempio inquietante e insolito di cinema civile. Friedkin conduce un coraggioso discorso sul dovere di difendere i valori della convivenza civile anche di fronte all’orrore di una violenza insostenibile. Travolto dal fallimento della DEG (la società americana di Dino De Laurentiis), il film fu distribuito senza successo con 5 anni di ritardo. Sulla TV italiana passò col titolo Ritratto di un serial killer.
Mobile Suit Gundam: L’Ottavo Plotone (機動戦士ガンダム 第08MS小隊?, Kidō senshi Gandamu: Dai zerohachi Emu Esu shōtai , lett. “Gundam il Fante Mobile – L’Ottavo Plotone MS”), noto anche col titolo Mobile Suit Gundam – The 08th MS Team, è una serie OAV di 12 episodi più un mediometraggio, prodotta dalla Sunrise tra il 1996 ed il 1998; appartiene alla saga dell’Universal Century di Gundam. Ne esiste anche una trasposizione in manga ad opera di Umanosuke Iida, regista dell’anime, intitolata Kidō Senshi Gundam: Dai 08 MS Shotai UC 0079+α e pubblicata dalla Kadokawa Shoten sulla rivista Gundam Ace, poi raccolta in 4 tankōbon. In Italia è stata annunciata da Dynit al Lucca 2023 e pubblicata su Prime Video il 15 gennaio 2024.
l giovane tenente federale Shiro Amada viene assegnato sulla Terra al comando di un plotone dei nuovi mobile suit della Federazione Terrestre, gli RX-79G Gundam, sviluppati dal famoso prototipo RX-78. Durante il trasferimento dallo spazio lo shuttle su cui viaggia viene coinvolto in un combattimento tra uno Zaku di Zeon ed un GM federale, cui lo stesso tenente Amada prende parte a bordo di un Ball. Finirà così per conoscere il pilota dello Zaku, l’affascinante Inah Sakhalin, con cui si ritrova disperso nello spazio in attesa di soccorsi. La serie narra quindi le vicende dell’8º Plotone Mobile Suit, impegnato nella giungla del Sud-est asiatico a scovare una base segreta in cui Zeon sta sperimentando il nuovo terribile mobile armor Apsalus, intrecciandole con quelle degli stessi zeoniani di stanza nella base, tra i quali proprio Inah, sorella dello scienziato Ginius Sakhalin, a capo del progetto. L’asse intorno al quale ruota la trama è quindi la storia d’amore che nasce tra Shiro Amada e Inah Sakhalin, attraverso la quale viene ulteriormente approfondita l’assurda tragedia della guerra.
Partendo da un fatto di cronaca che ha del sorprendente, Cold fish racconta di un nucleo familiare composto da un uomo, una donna più giovane sposata dopo la morte della precedente compagna e una figlia di primo letto che mal tollera la nuova presenza. I tre, cominciano a frequentare il tenutario di un grande negozio di pesci amazzonici, poichè egli non ha denunciato la figlia, presa a rubare in un supermercato. Con il procedere dell’invadenza dell’uomo sempre di più emerge uno scenario paradossale: morti, cadaveri fatti a pezzi e ascesa sociale folle diventano la regola della loro vita volenti o nolenti, fino ad un finale impensabile anche date le premesse.
Storia di una giornata nella vita di Charlotte che ha per marito un pilota e per amante un attore. Rimane incinta e non sa di chi. È una sorta di inchiesta frammentata _ fatta con l’occhio di un entomologo più che di un antropologo _ sulla condizione della donna sposata negli anni ’60. È collegabile al precedente Questa è la mia vita (1962), con minor vigore e maggiore distanza. Il suo tema centrale è il disagio del vivere nella civiltà dei consumi e della pubblicità. Provocante, irritante anche, spiritoso e qua e là geniale. Didascalia iniziale: “Frammenti di un film girato nel 1964”. “La vita di una/la donna sposata che non sa separare il sesso e l’amore è analizzata e sezionata attraverso due strumenti che anche Godard non riesce a separare, la sociologia e la poesia” (A. Farassino). La censura francese impose di cambiare il titolo La femme mariée con l’articolo Une, oltre ad alcuni tagli.
Scritto e sceneggiato da Tennessee Williams e presentato in Italia con il sottotitolo La bambola viva, questo film, che racconta la storia di un matrimonio fra un quarantenne e una sedicenne, è ambientato in una cittadina di uno Stato del profondo sud americano. Il marito della giovane ragazza dirige un’azienda sull’orlo del fallimento. Egli entra in conflitto con il proprietario di un’altra azienda che gli insidia la moglie. Tenterà di vendicarsi ma verrà imprigionato.
Durante la seconda guerra mondiale in Svezia, una profuga (Signe Hasso) cerca di sottrarsi allo spire dello spionaggio sovietico. Lotterà per la libertà e alla fine riuscirà a sottrarsi ai comunisti: in Svezia per loro non ‘è posto. Si tratta di un film sui generis nella filmografia di Ingmar Bergman: angoscia condita di matrice politica ed ideologica, così estranea alla poetica del grande maestro svedese. In alcune scene il film sembra una vera e propria pellicola di propaganda tipica del periodo macccartista. Una vera perla per gli appassionati di Bergman.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Viktor Navorski giunge all’aeroporto J.F. Kennedy di New York dalla Krakozhia, un piccolo stato sorto dalla frantumazione dell’Urss. Nel momento in cui giunge al desk dei visti viene però bloccato. In Patria c’è stato un colpo di stato. Il nuovo regime non viene riconosciuto dagli Stati Unitie quindi lui non può entrare in America. Benché il responsabile dell’aeroporto, in attesa di un’ispezione per passaggio di grado, a un certo punto lo spinga ad infrangere la legge Viktor non esce dal terminal che diventa la sua casa in attesa di poter realizzare il sogno per cui è giunto negli States.
Titolo originale Ufo Robot Grendizer. Animazione, Ratings: Kids, durata 92 min. – Giappone 1978. MYMONETRO Goldrake l’invincibile valutazione media: 2,00 su 1recensione.
Il pianeta Vega è divenuto inabitabile e perciò il suo capo, Hydargos, decide l’invasione della Terra. Allo scopo, fissa una base sulla Luna. Ma i collaboratori del professore Procton, tra i quali c’è anche l’invincibile robot Goldrake, riusciranno a cacciare dalla Terra gli invasori.
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