Cantante famoso va ad Amalfi per alcune esibizioni e trova che la precedente visita di un suo sosia gli sta creando non pochi problemi. Chiarito l’equivoco, va in vacanza a Capri, dove l’attende una sorpresa. Una commedia umoristica fatta su misura per le poche, innegabili doti del “molleggiato nazionale”, che interpreta molto bene sé stesso.
Lola è l’attrazione di un bordello di provincia il cui padrone è il ricco costruttore Schuckert. Seduce un incorruttibile funzionario, lo sposa e rileva il bordello. Scritto dagli stessi sceneggiatori di Il matrimonio di Maria Braun, è meno riuscito, ma più divertente. Morale: sesso e denaro, strettamente legati, determinano la vita degli uomini. Come in Balzac.
Il tassista trentenne Kim Yong-hyun trasloca nell’appartamento 504 dello stabile Migum, un condominio fatiscente in un quartiere popolare. Molti inquilini se ne sono andati; tra i vicini rimasti ci sono un aspirante romanziere e Sun-young, commessa di un 7/11. Che esasperata uccide il marito ubriacone e prepotente: Yong-hyun l’aiuta a seppellirlo nel bosco; tra i due, poi, a poco a poco, nasce la passione. Ma il 504 nasconde un passato misterioso, che porterà tutti sull’orlo della follia: l’inquilino precedente morì in un incendio, mentre molti anni prima accadde un’altra tragedia famigliare.
New York. Quartiere di Queens. Una rapina in banca finisce male, Connie riesce a fuggire mentre suo fratello Nick, affetto da un ritardo mentale, viene arrestato. Da quel momento Connie inizia a darsi da fare per poter trovare il denaro necessario per pagare la cauzione mentre progressivamente sviluppa un altro progetto: farlo evadere. Inizia quasi come una commedia il quinto film dei fratelli Safdie, con i rapinatori che scrivono con la penna biro le disposizioni per la cassiera, ma poi il registro cambia rapidamente. Perché ciò che a loro interessa mettere in luce sono personaggi che vivono nel presente, per i quali il futuro non rappresenta una meta ma una incertezza totale.
Scritto dal genovese Montaldo, attivo dal 1961, con la moglie Vera Pescarolo e il prolifico Andrea Purgatori, è un film di esplicita denuncia etico-sociale dove vale la forma più che i contenuti. Nicola Ranieri, proprietario a Torino delle Officine Meccaniche ereditate dal padre, è sull’orlo del fallimento. Da 8 anni sposato senza figli con Laura, come lui ricca borghese, sospetta che lo tradisca con un baldanzoso garagista, ma non si rende conto di essere fallito anche come marito. Invece di raccontare cause, responsabilità, rapporti con i 70 operai che Nicola non può più pagare e rischiano di perdere il lavoro, Montaldo scarica tutto genericamente sulla recessione che affligge da anni l’Italia e l’Europa e sullo strozzinaggio delle banche e delle assicurazioni e dedica molto, troppo spazio alla sua gelosia. Non manca nemmeno una lieta fine in cui, praticando l’antica, italica arte dell’arrangiarsi, si mette sullo stesso piano dei suoi supposti persecutori. All’attivo rimangono la bravura di Favino (un po’ meno quella della Crescentini in un personaggio contraddittorio), le livide luci e i colori di Arnaldo Catinari, il talento dello scenografo Francesco Frigeri. Tirate le somme, è un film formalista.
Adattamento dell’omonimo romanzo “Sult” (Fame) di Knut Hamsun, il titolo ha dato fama internazionale al regista Henning Carlsen, storica icona del cinema Danese. Uno sprovveduto quanto singolare scrittore si aggira per le strade della Oslo del 1890 in cerca di un editore. In balia di alterne fortune, complice la propria natura, si ritrova in breve affamato e solo. Pungente, visionario e al contempo concreto, Carlsen eleva i contenuti del romanzo stilizzando la natura umana e regalando sequenze indimenticabili alla storia del cinema. La mano del regista è magistrale nell’uso di ipnotici tempi di stacco che, dando vita a subliminali attimi di stallo, generano flash indelebili. Se è sorprendente l’uso della sovraesposizione per rendere flashback e incisi onirici non lo è affatto la capacità dell’opera di rimanere godibile a distanza di 40 anni: una costante vena comica che gioca ad oltranza sul filo del dramma dà agli eventi un rigore antifrastico di rara finezza e attualità. Il senso intimo dell’opera è probabilmente da cercare nel particolare e non nel generale: l’estremizzazione inseguita non è quella del genere umano ma quella del singolo protagonista. Il film, indiscusso pilastro del cinema modernista nordico e terribilmente all’avanguardia per l’epoca, è spinto dalla indimenticabile prestazione di Per Oscarsson, premiato al festival di Cannes come miglior attore nel 1966. “Ci sono persone che vivono di niente e muoiono per una parola scortese”: la storia di un uomo e della sua “fame” diventa un viaggio durante il quale è difficile discernere tra dignità, orgoglio e follia.
Avvocato d’ufficio, senza passione, disilluso e stanco, Perez non ha mai avuto abbastanza coraggio per diventare l’avvocato di valore che avrebbe potuto essere. Ritrova le palle – e sé stesso – quando la figlia, fidanzata con un piccolo delinquente, si trova in serio pericolo e, per salvarla, infrange ogni regola. Non è la storia in sé che conta, ma come è raccontata – la sceneggiatura è del regista con Filippo Gravino – come è descritta – un’atmosfera opprimente senza possibilità di uscirne -, come è fotografata – da Ferran Paredes che riprende il Centro Direzionale di Napoli con occhio gelido e duro – e soprattutto conta la potenza di un personaggio che Zingaretti (anche produttore) riesce a rendere credibile in ogni sfaccettatura, compresa quella forse meno risolta del rapporto della figlia con lui. Medusa distribuisce.
La prima informazione utile per lo spettatore è che questo NON è il seguito de Il Patto dei lupi, sgangherata ma divertente pellicola di qualche anno fa. Altra informazione utile è che questo L’Impero dei Lupi è altrettanto sgangherato ma meno divertente. Scritto da Jean-Christophe Grangé, autore dei due I Fiumi di Porpora e di Vidocq, L’impero dei lupi è il classico thriller/action/horror in salsa transalpina, che nulla aggiunge e nulla toglie alla pluralità di generi cui appartiene. La regia di Chris Nahon è tutto sommato valida, il ritmo ed il montaggio serrati, ma la storia pecca di credibilità e pathos, ricorrendo troppo spesso a soluzioni grandguignolesche per distrarre il pubblico da carenze gravi riscontrabili sia in sede di dialoghi (banali) che di sceneggiatura (poco credibile). Il cinema francese dà il peggio di sé quando cerca di imitare Hollywood e non riesce nemmeno ad ottenere gli stessi, scarsi, risultati: le scene action tendono ad essere davvero troppo “finte” e coreografate e la disamina del mondo dell’immigrazione clandestina è troppo superficiale e frettolosa. A salvare il film dalla totale insufficienza ci sono le performances dei tre protagonisti, in modi diversi, tutte positive: Reno è oramai “lo sbirro” per antonomasia, ma è sempre gradevole a vedersi, la Morante, dotata di indiscusso fascino, per una volta non è in lacrime, ma volitiva e tenace, e Arly Jover rappresenta una piacevole sorpresa di cui sentiremo ancora parlare. Film di genere, come il cinema italiano non sa o non vuole più fare da anni, è consigliabile solo per una serata di intrattenimento “a cervello spento”.
L’archeologo George Hacker compie importanti scavi in Egitto, riportando alla luce antichi reperti. Nel frattempo la moglie fotografa Emily e la piccola figlia Susie si godono le bellezze della zona. Ma una misteriosa mendicante cieca dà a Susie un amuleto, accompagnandolo con una frase minacciosa: “Le tombe sono dei morti”. George invece penetra in un’antica tomba dove, precipitato in un trabocchetto, entra in contatto con qualcosa di soprannaturale rimanendone accecato sia pure solo, prevede l’oculista, per alcuni mesi. Tornati a casa a New York, dove c’è anche il figlio più piccolo Tommy, la vita familiare comincia presto a complicarsi: George è seccato per la sua temporanea cecità e Susie si comporta stranamente, coinvolgendo il fratellino.
George sorprendentemente torna a vedere prima del tempo e, preoccupato, decide di scoprire la verità su ciò che ha visto nella tomba maledetta, che è quella di Abnubenor, il dio del male. Ma le cose precipitano in un vortice di orrore con la stanza dei ragazzi che sembra essere diventata una misteriosa porta di collegamento spazio-temporale con l’Egitto. Forse solo l’intervento dell’occultista Adrian Marcato può risolvere il problema. La possessione demoniaca sprigionata da scavi archeologici e trasportata in una metropoli americana richiama L’esorcista e il titolo (oltre che il nome di uno dei personaggi) richiama Rosemary’s Baby, ma la storia più che all’horror demoniaco guarda a quello cosmico lovecraftiano, come denota anche la citazione che apre il film. Ci sono aspetti promettenti e originali, ma la vicenda si incarta in uno sviluppo di maniera nel quale gli spunti migliori – i “viaggi”, il collegamento nello spaziotempo – sono sottoutilizzati. Il ritmo è inoltre piuttosto lento e poco coinvolgente. Gli avvenimenti si accumulano in modo programmatico senza generare sufficiente suspense, alla ricerca di facili effetti momentanei. Fulci, in una prova decisamente minore, non riesce a dare vita e tensione agli avvenimenti. Il suo stile resta inconfondibile, ma qui il regista è poco ispirato: per generare apprensione infila una serie smisurata di primissimi piani di occhi preoccupati e per scuotere gli spettatori utilizza a profusione urla raccapriccianti. I risultati sono modesti. Il talento visionario di Fulci si sprigiona solo raramente, trovando immagini adeguatamente suggestive solo nel truculento assalto finale. La sceneggiatura pone più enigmi e quesiti di quanti ami risolvere e l’insieme è, per un film di Fulci, insolitamente fiacco. La musica di Fabio Frizzi è sin troppo preponderante anche in momenti in cui non sarebbe necessaria, ma era lo stile del momento. Nel cast più che il monolitico e monocorde Christopher Connelly si fa apprezzare la sensibile Martha Taylor (alias Laura Lenzi). La piccola posseduta è Brigitta Boccoli, futura star televisiva.
Quando nel paesino di Concadalbero, alle foci del Po, arriva la nuova maestra elementare, la bella e cittadina Mara, la nebbia sembra diradarsi e gli occhi degli uomini tornano a guardare. È così per Giovanni, diciottenne al primo incarico di inviato per “Il Resto del Carlino” e per Hassan, meccanico tunisino stimato e rispettato, in una parola “integrato”. Sotto lo sguardo curioso del più giovane, nasce la storia d’amore tra i due adulti, dapprima sotto il segno dell’inquietudine (Hassan spia la ragazza al buio della sera), poi della passione, infine della tragedia.Solo trasgredendo alla regola della “giusta distanza” raccomandatagli dal direttore del giornale, che lo vorrebbe né indifferente né troppo coinvolto, Giovanni riuscirà a riportare la giustizia nel paese (l’Italia) dei giudizi scontati. Allo stesso modo, solo abbandonando la giusta distanza che gli imponevano i soggetti degli ultimi film e tornando nei luoghi dove si era manifestata vent’anni fa l’urgenza del cinema, Mazzacurati si libera dei pesanti precedenti e spicca finalmente un nuovo volo. Dopo un remake (A cavallo della tigre) e un adattamento (L’amore ritrovato, da Cassola), il regista di Notte italiana, scortato alla sceneggiatura dalle mani dolci ed esperte di Doriana Leondeff e del romanziere Claudio Piersanti, torna nel Polesine e trasforma questo quadrato di terra piatta in una tela sulla quale dimostra di sapere ancora dipingere un mondo autentico e personalissimo. Tra boschi di pioppi e battelli sul fiume, tra reminiscenze di Olmi e Fellini, l’obiettivo di Luca Bigazzi indaga un’umanità immobile e grottesca, accogliente all’apparenza ma in definitiva inospitale, che allontanerà fatalmente i tre protagonisti, chi verso la morte e chi verso una nuova vita. Questo il cuore del film, non la trama gialla, esile e amara, ma un mondo in cui il tabaccaio ha la moglie rumena e il Suv, in cui la barista è una cinese e l’autista del bus sta per sposare l’estetista. Un luogo ossessionante eppure familiare, nessun posto e ogni dove, trasfigurato in uno scenario gotico padano dalla musica originale dei Tin Hat. Il coraggio con cui Mazzacurati affida i ruoli principali a tre attori alla prima prova da protagonisti -Valentina Lodovini, Ahmed Hafiene e Giovanni Capovilla (quest’ultimo alla primissima esperienza)- viene ripagato dalla qualità della loro interpretazione e dal piacere di riconoscere il frutto di un lavoro importante, spesso trascurato ma connaturato al cinema stesso, ovvero la ricerca della giusta faccia. Tra i soliti noti, invece, spiccano Giuseppe Battiston e Fabrizio Bentivoglio in due ruoli-macchietta, sfortunatamente più veri del vero.
In un futuro prossimo una gioventù totalmente disillusa si costruisce una realtà alternativa: un guerriero virtuale e illegale di nome Avalon, con riferimento all’isola leggendaria in cui riposano le anime degli eroi. I partecipanti al gioco ne diventano dipendenti al punto da ritrovarsi decerebrati come fossero vittime di una droga. Chi cede viene definito ‘non-ritornato’. Ash è una ragazza che si guadagna da vivere passando in continuazione dalmondo reale a quello virtuale di Avalon. Un giorno scopre che un esperto del gioco, Murphy, è finito tra i ‘non-ritornati’ perché aveva cercato di entrare in un’area proibita del gioco. Film di impatto visivo ed effettistico elevato, Avalon è un Matrix nipponico che affascina ma che, come spesso accade con film di questo genere, suscita una perplessità di base
Kong è un killer ma non per scelta: nato sordomuto e sottoposto in tenera età a ogni genere di bullismo, non poteva che impugnare la pistola e trovare una via nell’odio. Finché nella sua vita entra Fon, una giovane farmacista che aiuta Kong a ritrovare se stesso e a conoscere un lato di sé fin lì ignorato.
Costretto ad uccidere la donna del boss con cui ha una relazione, Kyoji parte per Pukhet, per prendersi una pausa. Inseguito dagli scagnozzi del proprio capo, l’uomo incontrerà la bella e giovane Noi, che lo distoglierà dai sensi di colpa e dalle preoccupazioni, almeno momentaneamente. Girato tra Hong Kong, Macao e la Tailandia, Invisible Waves è un elegante thriller diretto dal talentuoso Pen-ek Ratanaruang. A spezzare la tensione che sottende il racconto sin dalle prime sequenze, si alternano momenti di insolita ironia; col risultato di una narrazione che predilige il flusso dei pensieri del protagonista, della propria deriva, piuttosto che il ritmo delle azioni.
India, 1947. Lenny ha una gamba ingessata e questo le impedisce di muoversi liberamente. Trascorre così il suo tempo seduta a parlare con l’amata tata, Shanta, la cui bellezza attrae un seguito di almeno sei uomini. Lenny e Shanta stanno sedute al parco mentre volano gli aquiloni, fanno lunghe passeggiate tra le rovine alle porte del loro villaggio e nel frattempo Lenny assorbe ogni piccolo dettaglio delle conversazioni che ascolta intorno a sé. Tra i pretendenti di Shanta, musulmani e indù, uno dei quali è Sikh, e i parenti di Lenny che sono parsi e cattolici, i toni delle discussioni sul futuro dell’India e del Pakistan, compresi una serie di stereotipi, opinioni allarmiste e sentimenti d’odio sui partiti coinvolti, si fanno sempre più accesi. Via di questo passo, Lenny si trova a testimoniare l’inizio della guerra. Con l’arrivo di un convoglio di corpi massacrati dai musulmani, bande di teppisti marciano per la città portando violenza. Lenny è terrorizzata e mentre si sforza di capire cosa stia succedendo, e perché, la tragedia può solo peggiorare.
Giancarlo (Marconi) e Fernanda (Di Lazzaro) si sono conosciuti e innamorati nel ’68, subito è arrivata una gravidanza e la decisione di tenere questo bambino, poi l’amore è finito e il piccolo Eugenio (Bonelli, nipote del regista) è amato, ma ingombrante, sballottato tra i nonni, sempre più solo e legato al suo cane. La 1ª parte – in continua altalena tra tenerezza e furbizia, comico e drammatico – gira a pieno regime. Poi il film s’ingolfa. La responsabilità è degli attori, ma anche dell’impaccio di Comencini con questi figli del ’68 che sembrano a lui estranei e indecifrabili. Buone caratterizzazioni di M. Perlini e dei nonni, Gisella Sofio, Blier e Dina Sassoli.
Batticuore notturno – Ransie la strega (ときめきトゥナイト Tokimeki Tunaito?) è un manga scritto e disegnato da Koi Ikeno, edito dalla Shūeisha in Giappone dal 1982 al 1994 e raccolto in 30 tankōbon, seguiti poi nel 2000 dallo speciale Tokimeki Tonight: Hoshi no Yukue (ときめきトゥナイト – 星の行方 Tokimeki Tunaito: Hoshi no Yukue?, lett. Nei pressi di una stella) che conclude la serie. Nel 1982 il Group TAC ne ha tratto anche un anime televisivo in 34 episodi, diretto da Hiroshi Sasagawa con lo stesso omonimo titolo.
In Italia l’anime è stato trasmesso negli anni ottanta con il titolo Ransie la strega, mentre il manga è stato pubblicato da Star Comics solo a partire dall’ottobre 2002, con il titolo riadattato in Batticuore notturno – Ransie la strega, unendo titolo originale e italiano, con cadenza mensile e rispettando la suddivisione in 30 volumi scelta per l’edizione originale.
È stato trasmesso dal circuito Euro TV e da diverse TV locali senza censura. Le uniche modifiche (che però non hanno snaturato l’anime) hanno riguardato solo gli adattamenti dei nomi propri dei personaggi e il fatto che la famiglia Eto non viene fatta provenire dal Mondo Magico, bensì esplicitamente dall’Inferno (talvolta indicato come Regno Supremo) trasformando così anche il Grande Re direttamente in Satana, facendolo credere proprio il demonio. Un’altra differenza riguarda la professione di Thomas Thompson che nella versione originale è un boss della yakuza mentre nella versione italiana è un semplice commerciante.
Ormai ospite fisso dei diversi festival che si succedono durante l’anno, Hong Sang-soo continua a produrre film con frequenza mirabile ma esiti alterni. Anche Oki’s Movie pare cristallizzato nella sua consuetudine meta-cinematografica: protagonista di volta in volta uno sceneggiatore o un regista, spesso di basso se non bassissimo profilo, e la sua difficoltà a relazionarsi con la realtà e a gestire i rapporti umani, specie quelli perennemente conflittuali e ricchi di incomprensione con l’universo femminile. Il modello sempre più ingombrante è quello di Eric Rohmer e della sua vivisezione delle relazioni uomo-donna, affrontate attraverso logorroici e spesso estenuanti dialoghi, intervallati solo raramente da concrete effusioni amorose. Oki’s Movie, con la sua complessa struttura a rovescio e a episodi, rappresenta un po’ l’epitome di questa tipologia di film, accarezzando simbolismi velleitari e sufficientemente involuti per rimanere ermetici (e quindi misteriosi e quindi affascinanti) di fronte alle ipotesi interpretative dello spettatore. Sembra trascorso molto tempo dalla rivelazione di A Virgin Stripped Bare by Her Bachelors, quando al talento di Hong Sang-soo si attribuivano ancora virtù potenzialmente salvifiche per il cinema coreano.
A Mosca, sul finire del XIX secolo, il principe Dimitri Nechljudov viene chiamato dal tribunale in qualità di giurato popolare. Tra gli imputati c’è Katjuscia Màslova, prostituta che verrà ingiustamente condannata ai lavori forzati in Siberia per l’omicidio di un prepotente cliente. Il principe ricorda di averla sedotta, anni prima, nella casa delle zie, dove lei lavorava, e in preda al senso di colpa decide di cambiare radicalmente il proprio stile di vita, seguendola in Siberia con l’intenzione di sposarla. Ma ecco che tutto si stravolge quando sopraggiunge un altro carcerato, Simenon…
È la storia di due destini che s’incrociano: un spregiudicato industriale sottaniere (Tapie) e un attore frustrato (Luchini) che fa il poliziotto hanno disturbi di stomaco ed entrambi fanno una Tac. Per vendicarsi dell’industriale infedele, una bella dottoressa (Martines, moglie di Lelouch) scambia i referti, cambiando la vita a entrambi. 35° film di Lelouch: divertente, spiritoso, ben recitato, infarcito di un’overdose di aforismi da Baci Perugina. Ottima A. Aimée come vedova in gramaglie che accalappia al cimitero vedovi benestanti. Imprenditore ingegnoso e discusso uomo politico, ex ministro con conti da regolare con la giustizia, noto in Francia quasi quanto Silvio Berlusconi in Italia, Tapie se la cava bene anche come attore.
La città di New York vive attimi di terrore quando un potente terremoto rischia di distruggere l’intera città. In una disperata corsa contro il tempo il maggiore della divisione e il capo dei vigili del fuoco cercano di mettere in atto un piano di emergenza per salvare la metropoli e i suoi abitanti mentre assistono impotenti alla perdita dei loro cari e alla devastazione di tutto ciò che hanno costruito.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.