Una banda molto agguerrita, comandata da un gangster di origine francese, ha steso una rete fittissima di ricatti e intimidazioni sui commercianti e i gestori di locali notturni romani. Dopo aver tentato di combatterla con le vie legali, un commissario guida un manipolo di disperati in una imboscata ai pezzi grossi della gang. Massacrogenerale.
Tre feroci banditi in fuga dopo una rapina fallita sequestrano una Fiat 1100 su cui viaggiano un uomo e una bionda e si avviano sull’autostrada. Nel finale, l’uomo dell’auto si rivela al telefono il peggiore di tutti. Finite le riprese, il produttore fallì e il film non fu mai distribuito in Italia. In un’intervista sul bimestrale genovese FILM , Don Backy dichiarò di avere in casa solo un VHS uscito in Germania nel 1995. Quentin Tarantino lo vide in USA e tanto gli piacque da intitolare in suo onore il suo 1° film Reservoir Dogs . Il cantante aggiunse che l’erotismo perverso, Leitmotiv del film (violento nella scena della donna inseguita in un campo di granturco), è dovuto, secondo lui, alla sfera sessuale un po’ contorta di Bava: “È una storia cattiva, senza ironia – aggiunge – in sintonia con la società che stava cambiando… Alla fine non si salva nessuno”.
Barbaro, tassista dell’Avana appassionato di musica, carica sul suo taxi il cantautore Pío Leyva, star del leggendario Buena Vista Social Club. L’entusiasmo per l’incontro casuale con uno dei suoi miti insinua in lui un’idea un po’ folle, da autentico sognatore: formare una band, guidata da Leyva, che riunisca il meglio della nuova musica cubana, per una fusione perfetta tra modernità e tradizione. Quando il cantautore, ormai anziano ma con l’energia di un ragazzino, accetta di dirigere il progetto di questo improvvisato impresario musicale, inizia un viaggio affascinante e travolgente nelle sonorità di un’isola lanciata verso il futuro, ma pienamente consapevole del proprio importante passato. Prodotto da Wim Wenders, che nel 1999 aveva diretto un ottimo documentario sulla straordinaria avventura del Buena Vista Social Club, Musica cubana aggiunge un nuovo tassello alla ricostruzione europea di un fenomeno che ha valicato i confini caraibici per travolgere il mondo intero con i suoi ritmi trascinanti. Ma, dietro l’allegria e la vitalità così tipicamente cubane, c’è una sofisticata ricerca sonora che affonda le proprie radici in un passato difficile, permeato dalla sofferenza. Ben lo spiegano i giovani musicisti che il regista German Kral intervista, seguendo le prove per la tournée mondiale sognata da Barbaro. Chi tra loro ha origini africane è consapevole dei dolori patiti dagli schiavi neri. «Noi siamo gli eredi di questa storia – afferma uno dei musicisti – e conserviamo dentro di noi il senso di questa sofferenza. Ma con i tamburi trasformiamo la tristezza in allegria. Dove c’è un nero con un tamburo c’è una festa». La musica cubana deriva proprio dalla tradizione dei tamburi importata dagli schiavi condotti dall’Africa. Naturale, allora, che questo popolo abbia il ritmo nel sangue e che la voglia di ballare superi lo scoramento per le carenze materiali. L’allestimento di questo visionario progetto musicale diventa, così, la celebrazione di una grande festa di strada, dove la musica sbuca dagli angoli più remoti e inaspettati di questa Avana piena di contraddizioni. «Cuba – racconta una musicista – è un’isola fatta di rumori, dove l’acqua spesso manca, la gente tiene la tv ad alto volume, i bambini per strada vogliono partecipare. Cuba è un’isola fatta di cose negative e positive, tante contraddizioni, e io sono parte di tutto questo». Un tutto che significa anche povertà. Così, il viaggio del regista sulle tracce di Pío Leyva and The Sons of Cuba diventa anche un viaggio alla scoperta degli affollati “barrios” da cui molti di questi giovani musicisti provengono, con le loro baracche e la voglia di affrontare le avversità con il sorriso sulle labbra e un tamburo in mano. Tra le tappe compiute nel documentario c’è anche quella che conduce il regista alla Scuola Nazionale delle Arti dell’Avana, dove i talenti del domani coltivano la passione e lo studio della musica tradizionale, perché nessuno di questi giovani lanciati verso il futuro e portati all’innovazione intende negare le proprie radici. Così, dall’incontro tra il jazz, il reggae, l’hip hop, la dance latino-americana e le sonorità africane nasce una musica nuova che ha l’intensità e l’energia trascinante di una fusione perfetta, proprio come quella che è all’origine del popolo cubano. E se si pensa che le sonorità raffinate della celebre “Chan Chan”, targata Buena Vista Social Club, non abbiano nulla in comune con il rap, basta ascoltare la versione eseguita dai Sons of Cuba a Tokio per comprendere quanto quest’idea sia sbagliata. E, mentre il Giappone si lascia contagiare dall’entusiasmo esportato dal vento caraibico, il regista rende il giusto omaggio a un cantautore, Pío Leyva, che sarebbe scomparso due anni dopo e che, dopo una carriera straordinaria, ammetteva di sentirsi un bambino, «perché ho tutto quello che da piccolo non ho potuto avere».
Dopo segnalazioni allarmanti, paleologo scopre in regione artica una gigantesca mantide che rapidamente arriva a New York e si nasconde in un tunnel. Quando in un modesto film di fantascienza c’è almeno una sequenza che prende allo stomaco, chiudi un occhio. Buoni effetti speciali.
Ambiziosa versione in animazione della saga (1954-55) di John Ronald Reuel Tolkien. Giovane hobbit della Terra di Mezzo deve gettare nel fuoco della montagna l’anello malefico del Signore delle Tenebre. Mille difficoltà lo attendono. Animazione per adulti? L’azione abbraccia la prima metà dei 3 libri e termina bruscamente; passata la prima ora diventa anche confusa, il che per un disegno animato è il colmo. Anche la tecnica impiegata, ricalcata in parte su quella del cinema dal vivo, lascia perplessi. Belle musiche di Leonard Rosenmann.
Dal romanzo (1907) di Ferenc Molnár: storia dolceamara di due gruppi di ragazzi che nella Budapest del primo Novecento si contendono uno spazio libero per i giochi. Uno dei ragazzi, l’unico a non avere i gradi, muore durante una “battaglia”. I “soldati” dei due eserciti rivali seguono piangendo la madre che trasporta il piccolo cadavere. Sceneggiato da Jo Swerling e messo in immagini con l’abituale finezza psicologica da Borzage che smorza, ma non soffoca, la vena antimilitarista di Molnár e ne accentua anche troppo quella romantica.
Studentessa “mascalzona” di una scuola femminile intercetta una lettera d’amore scritta a un personaggio immaginario dalla sua romantica insegnante di corrispondenza commerciale, e la fa arrivare al suo omonimo che vive a Vienna. Equivoci a catena e fiori d’arancio. Tratto da una commedia dell’ungherese Laszlo Kadar di cui conserva l’impianto teatrale, è il 2° film di De Sica regista, che vi interpreta da istrione una triplice parte (Carlo Hartman figlio, padre, nonno) e il 1° della vispa Del Poggio. Irrealista sino all’astrazione, ma con una carica critica verso la rigidità del sistema scolastico.
Un film di Lewis Milestone. Con Barbara Stanwyck, Lizabeth Scott, Van Heflin, Kirk Douglas. Titolo originale The Strange Love of Martha Ivers. Drammatico, Ratings: Kids+13, b/n durata 117′ min. – USA 1946. MYMONETRO Lo strano amore di Marta Ivers valutazione media: 3,33 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari. La perfida Marta (Stanwyck) ha ucciso la zia per ereditarne l’immensa ricchezza e ha comprato con il matrimonio l’unico testimone (Douglas), debole e vile figlio di un ex operaio che accetta il compromesso per diventare procuratore distrettuale. Il casuale incontro con un vecchio amico d’infanzia (Heflin) mette in crisi la coppia. Doppio epilogo tragico, insolito per quell’epoca. Da un racconto inedito di John Patrick sceneggiato da Robert Rossen, è il 1° film di Douglas, tipico esempio di misoginia che caratterizzò molti film americani del dopoguerra. Cupo dramma angoscioso con una Stanwyck efficace dark lady.
Titta Di Girolamo ha cinquant’anni, vive da otto anni in un albergo di una cittadina del Canton Ticino lontano dalla famiglia, apparentemente facoltoso ma senza alcuna esibizione di ricchezza. È un uomo che nasconde un segreto che emergerà a poco a poco anche grazie al progressivo innamoramento per la ragazza del bar dell’hotel. Il secondo film di Sorrentino merita tutte le attenuanti che vanno concesse all’opera seconda ma non convince. Se in L’uomo in più scorreva la vita, anche se quella circoscritta dell’ambiente calcistico, qui ci troviamo di fronte a un film così ‘recitato’ da suonare falso. Con i pensieri e le battute costruiti a tavolino che, a volte, nenanche un grande attore come Servillo riesce a sostenere. La raffinatezza stilistica sul piano visivo viene così a contatto con personaggi come (ad esempio) i due ex proprietari dell’albergo ridotti a vivere in una stanza dello stesso. Sembrano leggere, non ‘dire’ le battute. A questo si aggiunga una descrizione stereotipa dei mafiosi come non la si vedeva da tempo al cinema. All’estero (festival di Cannes) piace. Forse perchè aderisce allo slogan “spaghetti, pizza, mafia”?
Kun ha quattro anni e un’infanzia felice. Almeno fino a quando non arriva Mirai, la sua sorellina. Geloso fino alle lacrime, Kun cerca tra capricci e ricatti di attirare l’attenzione dei genitori, monopolizzata dai bisogni primari di Mirai. Il suo unico rifugio al disappunto è il giardino di casa dove accadono ogni giorno prodigi straordinari. Ai piedi di un grande albero genealogico e magico, Kun fa la conoscenza degli affetti più cari, colti in età diverse della loro vita: la madre bambina, la sorellina adolescente, il nonno ragazzo, il padre fanciullo. In un viaggio tra passato e futuro, Kun scopre la sua storia e trova il suo posto nel mondo. Un posto che comprende anche Mirai.
Space Symphony Maetel – Galaxy Express 999 Outside (宇宙交響詩メーテル ~銀河鉄道999外伝~, Uchū kōkyōshi Maetel ~Ginga tetsudō 999 gaiden~?) è un anime televisivo in 13 puntate realizzato nel 2004, su soggetto originale di Leiji Matsumoto. In Italia è edito in DVD dalla Yamato Video.
Essendo sia prequel di Galaxy Express 999 che sequel di Maetel Legend (il quale è comunque un prequel dello stesso Galaxy), spiega molte cose degli antefatti della storia originale, ed è inoltre collegato anche a La regina dei mille anni, il quale narra la storia della madre di Maetel, Promethium.
Maetel è la figlia della regina Ra Andromeda Promethium del pianeta Lahmetal, un pianeta errante, nonché uno dei primi gruppi civilizzati che hanno meccanicizzato i propri corpi. Infatti, la regina Promethium nel tentativo di salvare i suoi sudditi dal clima impietoso del pianeta, aveva deciso di meccanizzare tutto; ma gli uomini meccanici di Lahmetal iniziarono a meccanicizzare lo spazio galassia dopo galassia contro il volere di molti esseri umani, scatenando così numerose rivolte. Maetel viene richiamata su Lahmetal per succedere alla madre, dove scopre le grandi sofferenze causate da quest’ultima. I pirati Harlock ed Emeraldas (sorella di Maetel) lavorano assieme per assassinare Promethium, e chiedono a Maetel di farlo.
Heidi è una bambina di 6 anni che vive con la zia Dete. Dovendo andare a lavorare a Francoforte, la zia decide di affidare Heidi alle cure del nonno, un uomo che vive da solo in una baita nel cuore delle Alpi Svizzere e che viene soprannominato in paese “Il vecchio Burbero”. L’arrivo della nipotina cambierà presto il suo cuore.
Lupin III – Ritorno alle origini (ルパン三世 PART5 Rupan Sansei Pāto Faibu?) è la quinta serie televisivaanime di Lupin III, nata per festeggiarne il 50º anniversario.
Lupin III e Daisuke Jigen si trovano in Francia. La storia inizia nella stanza di un appartamento nel paesino di Riquewihr dove indagano su un sito oscuro chiamato ‘Marco Polo’, dove puoi comprare qualsiasi cosa, come droga e armi da fuoco. Per rubare una moneta digitale, Lupin, invade un enorme server strettamente sorvegliato chiamato “Twin Towers” alla ricerca della misteriosa hacker Ami. Lupin affronterà la trappola di Marco Polo con Ami che però nasconde un intrigante mistero che piano piano verrà a galla.
Premessa: la presente recensione si basa sulla visione di due delle 15 parti in cui è suddivisa l’opera e, più precisamente, sulla Parte 5 “1939-1952 – La devastazione della guerra e un nuovo linguaggio filmico” e la Parte 9 “1967-1979 – Il nuovo cinema americano”. Nel 2004 usciva il libro “The Story of Film” del critico e produttore Mark Cousins nel quale si mostrava come i registi venissero influenzati al contempo dagli eventi storici del loro tempo e dalle opere dei colleghi. Cousins dimostrava, ad esempio, che i melodrammi di Douglas Sirk degli anni Cinquanta avevano influenzato l’opera di Rainer Werner Fassbinder oppure che la saga di Star Wars aveva origini La fortezza nascosta di Akira Kurosawa. Oggi queste suggestioni, espresse allora solo con parole, diventano anche immagini e quindi la testimonianza e le tesi si rafforzano e offrono allo spettatore una possibilità di verifica. Va dato onore al merito sia all’autore che alla produzione, a cui vanno associati coloro i quali nel mondo (in Italia BIM) hanno deciso di distribuire questa lunga maratona che, apparentemente, potrebbe sembrare dedicata alle scuole superiori e/o alle università. C’è invece una notevole originalità alla base delle scelte del regista. Cousins non si è limitato a riproporre sequenze o spezzoni di film (sono comunque più di mille) commentandoli. È andato nei luoghi dove sono stati girati i più importanti e significativi per ricercarne le tracce. Per quanto riguarda poi le testimonianze ha fatto un lavoro prezioso andando a ricercare coloro che avevano partecipato alla realizzazione dei film sia che fossero registi (preziose le dichiarazioni attuali di Stanley Donen ad esempio) sia che si trattasse di sceneggiatori, direttori della fotografia, attori ecc. C’è poi un elemento fondamentale che distingue quest’opera che si può definire monumentale senza per questo rinserrarla in una sorta di archivio polveroso. Cousins riesce a mostrare come la tecnica nel cinema sia stata fondamentale per permettere agli artisti di esprimersi. Nella Parte 5 ad esempio ribadisce più volte il concetto e il valore della scoperta della profondità di campo. Lo fa senza pedanteria, mostrando e dimostrando ogni volta in maniera brillante ma non per questo meno puntuale e precisa, come la scoperta di questa modalità di messa a fuoco abbia consentito al cinema di fare un fondamentale balzo in avanti sul piano della significazione. Possiamo immaginare che anche il John Ford che rispondeva a monosillabi spiazzanti al Bogdanovich che gli poneva domande da cinefilo appassionato (e che qui viene mostrato nel suo ostinato rifiuto a qualsiasi teorizzazione) direbbe il suo “Yes” a questa storia che si fa viva memoria.
Questa serie la trovate anche su RaiPlay in streaming.
Un film di Ishirô Honda. Con Russ Tamblyn, Kipp Hamilton, Gill Simon Fantascienza, durata 80 min. – Giappone, USA 1976. MYMONETRO Kong uragano sulla metropoli valutazione media: 2,25 su 5 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un gruppo di scienziati crea un mostro benefico dal nome di Kong. Purtroppo da una cellula di questi si genera un secondo mostro ferocissimo che semina terrore e distruzione in tutto il Giappone. Il cattivo Kong sarà sistemato alla fine dallo stesso Kong buono.
La stirpe delle tenebre (闇の末裔Yami no matsuei?) letteralmente “I discendenti delle tenebre”, conosciuto anche come Eredi del buio (titolo italiano dell’anime) è uno shōnen’ai dai toni dark. È la prima opera della giovanissima e poco conosciuta in ItaliaYoko Matsushita. Composto da 11 volumi ed edito da Hakusensha dal 1996, il manga è stato sospeso nel 2002 con 11 volumi all’attivo: sembra, infatti, che Matsushita abbia smesso di disegnare per incomprensioni con l’editore giapponese. In Italia i volumi sono stati pubblicati dalla casa editrice Star Comics fra il 2003 e il 2004 per mancanza di materiale proveniente dal Giappone. Nel 2000 lo studio di animazione J.C.Staff ha prodotto un anime in 13 episodi, trasmessi dal network giapponese WOWOW. In Italia l’anime è stato distribuito da Yamato Video per il mercato home video ed è andato in onda su Man-Ga nel 2011, ad eccezione dell’ultimo episodio. Dall’11 ottobre 2013 al 3 gennaio 2014 è stato pubblicato per lo streaming su internet sul canale di YouTubeYamato Animation. Nel mondo dei morti, chiamato Meifu, esiste un’organizzazione, il Juohcho che giudica i peccati che i defunti commettono nella loro vita. Gli Shinigami, ossia Dei della morte, operano nell’Enma-cho, uno dei dieci uffici del Juohcho. Il loro compito è scortare le anime dalla Terra al Meifu. Nella storia i protagonisti, Asato Tsuzuki e il suo collega Hisoka Kurosaki, due shinigami diventati tali per cause misteriose, scoprono le vicende che hanno caratterizzato le loro vite passate e quelle del loro principale antagonista: un dottore psicopatico chiamato Muraki Kazutaka, il cui passato è legato soprattutto al giovane Hisoka, sedicenne dal carattere difficile.
L’Uomo Tigre (タイガー・マスク Taigā Masuku?, Tiger Mask) è un manga scritto da Ikki Kajiwara e illustrato da Naoki Tsuji. Venne pubblicato in Giappone dal 1968 al 1971 dalla casa editrice Kōdansha.[1] Dal manga sono state poi tratte tre serie televisive anime[1], prodotte da Toei Animation e destinate a un pubblico adulto: la prima del 1969, la seconda del 1981 e la terza del 2016. Entrambe le versioni dell’opera, manga e anime, hanno riscosso un grande successo.
Naoto Date è un orfano cresciuto dopo la fine della seconda guerra mondiale. Un giorno, facendo visita a uno zoo insieme ai compagni di orfanotrofio, alla vista della gabbia con i grandi felini capisce di voler diventare forte come una tigre per combattere le ingiustizie nei confronti degli orfani come lui.
Allora scappa, lasciando i compagni attoniti, e incontra l’emissario della Tana delle Tigri, un’associazione a scopo di lucro che addestra lottatori di wrestling, provenienti da ogni parte del mondo. Si reca così sulle Alpi, dove ha sede la Tana delle Tigri, e lì trascorre i successivi dieci anni, sottoponendosi ad allenamenti durissimi.
Tiger Mask W (タイガーマスクWTaigā Masuku Daburu?) è una serie televisivaanime basata sul mangaL’Uomo Tigre di Ikki Kajiwara e Naoki Tsuji, prodotta da Toei Animation e diretta da Toshiaki Komura. È stata prodotta in 38 episodi, trasmessi per la prima volta dalla TV Asahi a partire dal 1º ottobre 2016, 47º anniversario della prima del prequel.[1] Rientra nelle iniziative per festeggiare i sessant’anni di attività della casa produttrice. La New Japan Pro-Wrestling ha partecipato attivamente al progetto e al suo interno ci sono diversi camei di atleti della federazione in versione anime La nuova storia inizia verso la fine del 2016, quarantacinque anni dopo la fuga di Naoto Date la notte del 3 settembre 1971[3], e finisce nell’estate del 2017. Il Giappone è ora un moderno paese sviluppato e la vecchia Japan Pro-Wrestling Association dei tempi di gloria non esiste più.Racconta le vicende di Naoto Azuma, un giovane orfano che, tre anni prima, nel 2013, era unito a Takuma Fujii dalla passione per il puroresu. Per questo frequentavano entrambi la piccola palestra Zipangu Pro-Wrestling gestita da Daisuke Fujii, il padre del secondo. Tuttavia, le loro vite vengono drammaticamente sconvolte un giorno di fine marzo[4] in cui, durante un match organizzato dalla GWM (Global Wrestling Monopoly), una potente federazione di wrestling americana, il malvagio Yellow Devil sconfigge senza pietà Daisuke, lasciandolo invalido e condannando così la Zipangu alla rovina.
Alla morte dell’amata moglie Tanya, Miron, proprietario di una cartiera, chiede ad un suo fidato dipendente, Aist, fotografo e scrittore, di accompagnarlo per compiere il rito di addio, secondo le tradizioni della cultura dei Merja, un’antica etnia ugro-finnica di una remota regione del centro-ovest della Russia, scomparsa circa quattrocento anni fa e di cui, come ricorda il regista, le sole tracce rimaste, sono i nomi dei fiumi. Nel corso del viaggio, il marito rivelerà, secondo le usanze merja, particolari della vita intima della donna. Silent Souls prende spunto da un racconto di Aist Sergeyev, The Buntings, la cui particolarità risiede nell’avere, come protagonista della vicenda, un uomo che è ormai “al di là dello specchio”. Tenerezza e nostalgia si fondono in questa pellicola, dando vita ad una fiaba di struggente e raffinata poesia, dove l’acqua è l’elemento primordiale a cui fare ritorno, nel quale immergersi per ritrovare la propria amata e la propria identità. Nel rendere omaggio al popolo dei Merja e ai suoi rituali di passaggio, il matrimonio e il funerale, Aleksei Fedorchenko – che a Venezia è già stato ospite nel 2005 col mockumentary, Pervie na lune e che ha al suo attivo una discreta produzione cinematografica – mostra i luoghi in cui è ancora forte e percepibile la presenza di questa cultura, esplorandone ogni angolo remoto. Figure fantasmatiche si muovono in uno spazio che prende vita dalle parole sussurrate in fuori campo, che si rianima, riportando alla superficie dell’acqua i ricordi, gli amori, le esperienze dei suoi protagonisti. Vite trascorse nell’osservanza di riti arcaici, come quella ad esempio di gettare nelle acque gelate del fiume l’oggetto cui si tiene di più, nella maestosa immensità di un paesaggio silente, dove appena si può udire il dolcissimo canto degli zigoli, che danno il titolo al film.
Non ho più questo film sul mio hard disk, lo sto cercando.
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