Dopo aver sofferto da bambina per l’abbandono improvviso da parte della nonna, Yumiko deve affrontare ora il lutto per la morte del marito, travolto e ucciso da un treno mentre camminava inspiegabilmente sui binari. La donna dovrà compiere un lungo percorso per ritrovare la serenità e mettere ordine nei suoi pensieri tormentati da tanto dolore.
Vittima di un maleficio, Edwards Markham assume mostruose sembianze ed il fratello è costretto a segregarlo. Ritenuto morto e già sepolto, è salvato per puro caso da un medico. Edward si vendica uccidendo molte persone in modo crudele; perirà alla fine per mano del fratello, al quale comunque riuscirà, con un morso, a trasmettere i propri poteri malefici.
Megaloman (メガロマンMegaroman?) è una serie televisivatokusatsugiapponese che vede come protagonista l’omonimo supereroe. Creato da Tetsu Kariya, lo show fu prodotto dalla Toho Company Ltd. e trasmesso in Giappone su Fuji TV dal 7 maggio al 24 dicembre 1979, con un totale di 31 episodi di mezz’ora. Dall’episodio 14, il titolo dello show divenne Megaloman il supereroe fiammeggiante (炎の超人メガロマンHonô No Chôjin Megaroman?). Il pianeta Rosetta è stato preso sotto controllo dall’Esercito della tribù dal sangue nero comandato da Capitan Delitto. Takashi Shishidou e sua madre Rosemary scappano verso il pianeta Terra dopo che suo padre Gou è stato ferito con un colpo di pistola da Delitto, che è in realtà Hiroshi, il fratello gemello “malvagio” di Takashi. Mentre vive pacificamente sulla Terra, Takashi frequenta una scuola di arti marziali in Giappone ed ha quattro amici che non hanno idea che lui provenga da un altro pianeta (soltanto il suo insegnante di arti marziali, Sougen Takamine, conosce il suo segreto). Quando il capitano Delitto inizia l’invasione della Terra usando il suo esercito di mostri giganti, Rosemary (che è conosciuta con il nome di “Mari Shishidou”) dà a Takashi i Braccialetti-Megalon con cui può trasformarsi nel guerriero gigante Megaloman e combattere i mostri diabolici per proteggere così il pianeta Terra.
11° film per il cinema di Amelio: è troppo originale per poter avere un grande successo di pubblico. Lo hanno paragonato a una nuvola: mentre lo guardi, cambia forma, una commedia che diverte e commuove. Difficile stabilire fino a che punto le responsabilità o i meriti siano di chi l’ha scritto (Amelio con Davide Lantieri) e dove cominci l’apporto di Albanese che fa di Antonio Pane, intrepido nella sua bontà, un personaggio indimenticabile. L’azione si svolge nella Milano del primo 2000 (fotografata benissimo da Luca Bigazzi). Pane, di mestiere, fa il rimpiazzo: sostituisce quasi ogni giorno qualcuno che deve assentarsi dal lavoro per ragioni più o meno serie. Non lo fa per gioco, si limita a prendere qualche soldo, spesso pochi. Amelio fa film che non si raccontano, ama il sentimento di speranza, il rispetto per l’essere umano, la difesa appassionata della sua dignità.
Ambientato nel 1914, è il racconto di una gita-premio che gli allievi di una terza liceo mista di Bologna fanno, a piedi, attraverso l’Appennino fino a Firenze. Scritta col fratello Antonio, la vicenda è raccontata in flashback da un’anziana prof. di disegno, unica superstite dei partecipanti alla gita con qualche buco nella memoria, rispettato nello script , abilmente sospeso tra l’ottimismo di una happy end e l’amarezza di un finale triste. Secondato da Riz Ortolani, il regista dà al film ritmi, magie, stereotipi di commedia musicale. 1° film come protagonista del bravo Delle Piane. Multipremiato ai Festival di Venezia, Prades, Bastia. 5 Nastri d’argento: film, soggetto, attore protagonista, colonna sonora, attrice emergente (L. Broccolino).
Dal romanzo Roger’s Rangers di Kenneth Roberts _ di cui fu filmata soltanto la 1ª parte _ su sceneggiatura di Lawrence Stallings e Talbot Jannings. Da Portsmouth (Virginia), alla fine del ‘700, il maggiore Robert Rogers organizza un corpo di volontari, i Rangers, per una spedizione verso il Nord. Ha due scopi: trovare e distruggere un villaggio di Irochesi, alleati dei Francesi; cercare un passaggio, attraverso la baia di Baffin, tra l’attuale Canada e la Groenlandia. Girato nell’Idaho e nell’Oregon. Fotografia: Sidney Wagner, William V. Skall e 1° film a colori per K. Vidor e S. Tracy. Il paesaggio _ in uno squillante Technicolor _ ha una funzione importante in questo film d’avventure dove si racconta con rara forza la mistica del militarismo e della violenta conquista coloniale: i pellerossa sono presentati come selvaggi da domare o distruggere alla pari degli elementi naturali da superare nella lunga marcia. Il Rogers di Tracy è visto come un leader col carisma, “l’uomo forte”, ma è tutt’altro che esaltato. Prevale il tono epico, specialmente in 2 sequenze: il trasporto delle imbarcazioni attraverso la montagna (ripresa in altri modi da R.S. Sarafian nel 1971 e da W. Herzog nel 1982) e il passaggio del fiume attraverso una catena umana
Il più lungo processo per crimini della storia degli Stati Uniti giunge sullo schermo ad opera di un grande Vecchio del cinema americano: Sidney Lumet. Dopo anni di indagini la polizia riuscì a incriminare 20 membri della famiglia Lucchese con 76 capi d’imputazione. Il processo durò 21 mesi (1987-88) in un’aula in cui erano presenti 20 imputati con 19 difensori. Perché questa disparità? Perché il mafioso Jackie Dee DiNorscio (già condannato a 30 anni) non solo rifiutò di collaborare con la Giustizia ma decise di difendersi da solo. La sua incultura mista a uno spirito caustico e a una assoluta identificazione con la lealtà dovuta alla famiglia trasformò questo dibattimento in un evento. Il regista di film che rimangono nella storia del cinema giudiziario e poliziesco, con la libertà che è propria dell’età inoltrata si interessa a questo caso e ne trae una tragicommedia che ribalta i ruoli. Sin dall’inizio si fa il tifo per i cattivi (grazie anche a un Vin Diesel strepitoso nella versione originale) e che questo accada in un “Lumet’s movie” potrà forse indispettire qualcuno. Altri potranno invece (più proficuamente) chiedersi il perché. I tempi cambiano. Al cinema e nella realtà.
Junior Bonner si guadagna la vita come faceva il vecchio e gagliardo padre, ex campione di rodeo. Il fratello, invece, vuole coinvolgerlo nei suoi affari e nella vita “borghese”. Dopo l’orgia di violenza di Cane di paglia , Peckinpah torna alle sue origini di regista profondamente americano, tradizionalista e rurale. Bravo e credibile McQueen. Qualche momento di lirica malinconia in questa quieta storia su coloro che “devono tener fermi i cavalli”.
Mrs. Columbo, successivamente Kate Columbo, Kate The Detective ed infine Kate Loves A Mystery, è stata una serie televisivastatunitense creata da William Link e Richard Levinson per la NBC, trasmessa nel 1979, per la durata di due stagioni[1]. La serie è stata fortemente voluta dall’allora presidente del network Fred Silverman[2]. Entrambe le stagioni della serie sono inedite in Italia.
La serie segue le vicende di Kate Columbo, moglie del famoso tenente Colombo, una reporter che si diletta nella risoluzione dei crimini mentre cerca di crescere la sua piccola figlia.
Questa serie è inedita in Italia. Non ho trovato sottotitoli, neanche in inglese.
La serie racconta la storia di una famiglia di schiavi negli Stati Uniti a partire dal 1750, nascita in Gambia nel villaggio mandinka di Juffure del capostipite Kunta Kinte, il quale giunto all’età di quindici anni, viene portato con altri coetanei in un luogo per l’iniziazione e la circoncisione, secondo i precetti dell’Islam. Tornato a casa sua nonna Nyo Boto gli comanda di andare nella giungla per procurarsi un tronco di legno per fabbricare un tamburo, ma viene catturato dagli slatì, membri di altre tribù ingaggiati dai taubob, gli europei, per catturare schiavi.
Dopo aver saputo della grave malattia polmonare del figlio, l’ex campesino Alfonso torna dopo 17 anni nella casa dove vivono la moglie, la nuora e il nipote. Il suo podere è stretto nella morsa di un’immensa piantagione di canna da zucchero che lo sommerge di polvere e ceneri. Come salvare la famiglia? Il 28enne autore colombiano Acevedo firma, come opera prima, una tragedia senza tempo che non è solo quella dei contadini cacciati dalle loro terre dal capitalismo agrario ma soprattutto quella di due inconciliabili ragioni che dividono gli oppressi: resistere fino alla morte o fuggire sperando in una rivincita. Crudo realismo, che nulla concede al mélo , attori non professionisti e tempi quasi reali sono sublimati dalla bellezza delle inquadrature – tanto più suggestiva quanto più povera, spoglia, essenziale – che ricorda Van Gogh. Decisivi i contributi di Mateo Guzmán (fotografia), Marcela Gómez Montoya (scenografia), Maria Camila Botero (costumi) e dell’unico commento musicale, una struggente canzone popolare colombiana sull’amore che “si scrive col pianto”. Caméra d’Or per il miglior esordio e altri 3 premi minori a Cannes 2015.
La professoressa di letteratura Vivian Bearing, studiosa di John Donne, si trova improvvisamente di fronte ad una terribile realtà: ha un cancro terminale alle ovaie. Da quel momento inzia il suo calvario tra chemioterapie ed esami. Il solito film sulla malattia dunque? No. Perché (e qui sta la novità) Vivian commenta ironicamente quanto le succede mostrando il disagio del malato senza cadere nel patetismo. Assistiamo cosí alla visita ginecologica compiuta da un medico di fresca nomina più imbarazzato di lei o ai ricordi del suo passato più o meno recente che si materializzano nella sua stanza di ospedale o mentre viene sottoposta ad esami. Basato sul testo teatrale di Margaret Edson vincitore del Premio Pulitzer nel 1999, il film si avvale di una grande performance attoriale di Emma Thompson capace di affrontare tutte le variazioni di umore e di atteggiamento del personaggio tenendolo sempre in equlibrio sulla corda tesa di un umorismo che non deve mai trasformarsi in comicità.
Nel 1865, alla morte del padre rovinato, la figlia di un piantatore del Kentucky scopre che sua madre era una schiava nera. Sola al mondo, è comperata da un enigmatico gentiluomo che l’ama appassionatamente tanto da farne la padrona dei suoi possedimenti. Nell’adattare il bel romanzo di Robert Penn Warren l’interesse di Walsh è rivolto più a sottolineare le lacerazioni interne dei personaggi che alla tematica positiva dell’antirazzismo. Ne esce il suo film più faulkneriano, sostenuto dalla stupenda fotografia di L. Ballard e dagli interpreti che si prestano bene all’inversione dei ruoli dei rispettivi personaggi. Rimesso in circolazione come La frusta e la carne .
Un uomo in fuga (Montefiori), inseguito da un prete (Purdom), si ferisce gravemente mentre cerca di scavalcare il cancello di una villa abitata da una ragazza semiparalitica, dal suo fratellino, dalla baby-sitter e da qualche domestico. Condotto in ospedale, i medici disperano di salvarlo, ma, incredibilmente, le ferite si rimarginano e l’uomo, uccisa un’infermiera, elude la sorveglianza. Il prete spiega alla polizia che l’assassino è uno psicopatico al quale, tempo prima in Grecia, uno scienziato ha inoculato un siero che rigenera le cellule: praticamente indistruttibile e immensamente forte, può essere annientato soltanto con una pallottola nel cervello.
Tiziano Terzani (1938-2004) si è ritirato con la moglie Angela in una casa isolata sull’Appennino tosco-emiliano. Malato di tumore, serenamente pronto a morire, chiede al figlio Folco, che non vede da anni, di raggiungerlo: gli vuole raccontare la sua vita e il senso che è riuscito a darle. Folco passa con lui 3 mesi. E nel 2006 pubblica il libro La fine è il mio inizio . Scritto da Folco e dal produttore Ulrich Limmer, girato (Cinemascope: Judith Kaufman) nella stessa casa di Terzani a Orsigna (PT). Senza flashback, consiste nel dialogo tra Ganz e Germano e, in piccola misura, con Angela, ai quali si aggiungono verso la fine la sorella di Folco, Saskia, con il piccolo Novi. Cinema di parola, dunque, film d’attori, sulla base di uno script rischioso e, in un certo senso, senza precedenti. Quella di Ganz è una interpretazione fuori dal comune. L’ha doppiato Luca Biagini, ma rimane intatto il modo con cui recita, con tutto il corpo, quello “che sta per lasciare”. Non gli sta dietro, nel suo difficile ascolto attivo, ma anche negli scontri umorali col padre, il duttile Germano, il migliore attore italiano della sua generazione. È il 1° film del bavarese Baier distribuito in Italia (Fandango). Si è messo al servizio della sceneggiatura e degli attori.
Un film di Jacques Tourneur. Con Victor Mature, Yvonne De Carlo Titolo originale Timbuktu. Avventura, Ratings: Kids+13, b/n durata 91 min. – USA 1959. MYMONETRO La prigioniera del Sudan valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un ufficiale francese di stanza a Timbuctu, nel Mali, cerca di domare la ribellione nazionalista araba capeggiata da Mohamed Adani. Ha con sé la bella moglie Nathalie: la vicenda personale si inserisce in un complesso piano politico che costerà la vita all’eroico ufficiale.
Nella Venezia invernale di fine Novecento uno studente tedesco d’arte butta il suo tempo oziando, finché conosce un amichevole connazionale, distinto ed elegante, che si presenta come Edgar Allan. Molto presto dietro quest’uomo il giovane scopre risvolti inquietanti: chi era veramente costui?
Gheni (L. Sota) e Gherti (J. Sota), due giovani albanesi che fanno i lavapiatti a Roma, vanno ad abitare in casa del fotografo Corrado (Sassi) che diventa presto amico del primo, mentre Gherti, più irrequieto, lega con Lino (Mura), anziano immigrato sardo che ogni giorno accompagna in giro per la città la moglie malata (Ramires). Il taglio del 2° film di Garrone è esistenziale più che sociologico; il malessere di Gheni e Gherti, pur così diversi tra loro, non è tanto dell’immigrato, ma di chi è “straniero a sé stesso”, condiviso dagli altri due personaggi italiani. Quando passa a un discorso esplicito, scade a sceneggiato televisivo.
Dopo la morte del padre, Dennis l’Apprendista va in città. Ma la città e il regno intero sono terrorizzati dal terribile mostro Ciarlestrone (Jabberwocky). Sarà compito di Dannis salvare il regno.
Siamo nel 1910. Andrea e Nicola, figli di un capomastro toscano, rimasti senza lavoro, decidono di emigrare in America. Dapprima mandriani, passano in California e trovano lavoro, successo e denaro col grande D.W. Griffith che sta lavorando a Intolerance . I temi toccati sono molti (famiglia, artigianato, orgoglio, speranza) e innervano un film che ha l’andatura di un romanzo. Ricco di citazioni e trappole emotive, questa saga familiare allinea una folta, vigorosa galleria di bravi attori, tra cui spicca Dance (Griffith). Oleografico l’epilogo sul Carso. Musiche di N. Piovani.
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