Kun ha quattro anni e un’infanzia felice. Almeno fino a quando non arriva Mirai, la sua sorellina. Geloso fino alle lacrime, Kun cerca tra capricci e ricatti di attirare l’attenzione dei genitori, monopolizzata dai bisogni primari di Mirai. Il suo unico rifugio al disappunto è il giardino di casa dove accadono ogni giorno prodigi straordinari. Ai piedi di un grande albero genealogico e magico, Kun fa la conoscenza degli affetti più cari, colti in età diverse della loro vita: la madre bambina, la sorellina adolescente, il nonno ragazzo, il padre fanciullo. In un viaggio tra passato e futuro, Kun scopre la sua storia e trova il suo posto nel mondo. Un posto che comprende anche Mirai.
Space Symphony Maetel – Galaxy Express 999 Outside (宇宙交響詩メーテル ~銀河鉄道999外伝~, Uchū kōkyōshi Maetel ~Ginga tetsudō 999 gaiden~?) è un anime televisivo in 13 puntate realizzato nel 2004, su soggetto originale di Leiji Matsumoto. In Italia è edito in DVD dalla Yamato Video.
Essendo sia prequel di Galaxy Express 999 che sequel di Maetel Legend (il quale è comunque un prequel dello stesso Galaxy), spiega molte cose degli antefatti della storia originale, ed è inoltre collegato anche a La regina dei mille anni, il quale narra la storia della madre di Maetel, Promethium.
Maetel è la figlia della regina Ra Andromeda Promethium del pianeta Lahmetal, un pianeta errante, nonché uno dei primi gruppi civilizzati che hanno meccanicizzato i propri corpi. Infatti, la regina Promethium nel tentativo di salvare i suoi sudditi dal clima impietoso del pianeta, aveva deciso di meccanizzare tutto; ma gli uomini meccanici di Lahmetal iniziarono a meccanicizzare lo spazio galassia dopo galassia contro il volere di molti esseri umani, scatenando così numerose rivolte. Maetel viene richiamata su Lahmetal per succedere alla madre, dove scopre le grandi sofferenze causate da quest’ultima. I pirati Harlock ed Emeraldas (sorella di Maetel) lavorano assieme per assassinare Promethium, e chiedono a Maetel di farlo.
Heidi è una bambina di 6 anni che vive con la zia Dete. Dovendo andare a lavorare a Francoforte, la zia decide di affidare Heidi alle cure del nonno, un uomo che vive da solo in una baita nel cuore delle Alpi Svizzere e che viene soprannominato in paese “Il vecchio Burbero”. L’arrivo della nipotina cambierà presto il suo cuore.
Lupin III – Ritorno alle origini (ルパン三世 PART5 Rupan Sansei Pāto Faibu?) è la quinta serie televisivaanime di Lupin III, nata per festeggiarne il 50º anniversario.
Lupin III e Daisuke Jigen si trovano in Francia. La storia inizia nella stanza di un appartamento nel paesino di Riquewihr dove indagano su un sito oscuro chiamato ‘Marco Polo’, dove puoi comprare qualsiasi cosa, come droga e armi da fuoco. Per rubare una moneta digitale, Lupin, invade un enorme server strettamente sorvegliato chiamato “Twin Towers” alla ricerca della misteriosa hacker Ami. Lupin affronterà la trappola di Marco Polo con Ami che però nasconde un intrigante mistero che piano piano verrà a galla.
Premessa: la presente recensione si basa sulla visione di due delle 15 parti in cui è suddivisa l’opera e, più precisamente, sulla Parte 5 “1939-1952 – La devastazione della guerra e un nuovo linguaggio filmico” e la Parte 9 “1967-1979 – Il nuovo cinema americano”. Nel 2004 usciva il libro “The Story of Film” del critico e produttore Mark Cousins nel quale si mostrava come i registi venissero influenzati al contempo dagli eventi storici del loro tempo e dalle opere dei colleghi. Cousins dimostrava, ad esempio, che i melodrammi di Douglas Sirk degli anni Cinquanta avevano influenzato l’opera di Rainer Werner Fassbinder oppure che la saga di Star Wars aveva origini La fortezza nascosta di Akira Kurosawa. Oggi queste suggestioni, espresse allora solo con parole, diventano anche immagini e quindi la testimonianza e le tesi si rafforzano e offrono allo spettatore una possibilità di verifica. Va dato onore al merito sia all’autore che alla produzione, a cui vanno associati coloro i quali nel mondo (in Italia BIM) hanno deciso di distribuire questa lunga maratona che, apparentemente, potrebbe sembrare dedicata alle scuole superiori e/o alle università. C’è invece una notevole originalità alla base delle scelte del regista. Cousins non si è limitato a riproporre sequenze o spezzoni di film (sono comunque più di mille) commentandoli. È andato nei luoghi dove sono stati girati i più importanti e significativi per ricercarne le tracce. Per quanto riguarda poi le testimonianze ha fatto un lavoro prezioso andando a ricercare coloro che avevano partecipato alla realizzazione dei film sia che fossero registi (preziose le dichiarazioni attuali di Stanley Donen ad esempio) sia che si trattasse di sceneggiatori, direttori della fotografia, attori ecc. C’è poi un elemento fondamentale che distingue quest’opera che si può definire monumentale senza per questo rinserrarla in una sorta di archivio polveroso. Cousins riesce a mostrare come la tecnica nel cinema sia stata fondamentale per permettere agli artisti di esprimersi. Nella Parte 5 ad esempio ribadisce più volte il concetto e il valore della scoperta della profondità di campo. Lo fa senza pedanteria, mostrando e dimostrando ogni volta in maniera brillante ma non per questo meno puntuale e precisa, come la scoperta di questa modalità di messa a fuoco abbia consentito al cinema di fare un fondamentale balzo in avanti sul piano della significazione. Possiamo immaginare che anche il John Ford che rispondeva a monosillabi spiazzanti al Bogdanovich che gli poneva domande da cinefilo appassionato (e che qui viene mostrato nel suo ostinato rifiuto a qualsiasi teorizzazione) direbbe il suo “Yes” a questa storia che si fa viva memoria.
Questa serie la trovate anche su RaiPlay in streaming.
Un film di Ishirô Honda. Con Russ Tamblyn, Kipp Hamilton, Gill Simon Fantascienza, durata 80 min. – Giappone, USA 1976. MYMONETRO Kong uragano sulla metropoli valutazione media: 2,25 su 5 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un gruppo di scienziati crea un mostro benefico dal nome di Kong. Purtroppo da una cellula di questi si genera un secondo mostro ferocissimo che semina terrore e distruzione in tutto il Giappone. Il cattivo Kong sarà sistemato alla fine dallo stesso Kong buono.
La stirpe delle tenebre (闇の末裔Yami no matsuei?) letteralmente “I discendenti delle tenebre”, conosciuto anche come Eredi del buio (titolo italiano dell’anime) è uno shōnen’ai dai toni dark. È la prima opera della giovanissima e poco conosciuta in ItaliaYoko Matsushita. Composto da 11 volumi ed edito da Hakusensha dal 1996, il manga è stato sospeso nel 2002 con 11 volumi all’attivo: sembra, infatti, che Matsushita abbia smesso di disegnare per incomprensioni con l’editore giapponese. In Italia i volumi sono stati pubblicati dalla casa editrice Star Comics fra il 2003 e il 2004 per mancanza di materiale proveniente dal Giappone. Nel 2000 lo studio di animazione J.C.Staff ha prodotto un anime in 13 episodi, trasmessi dal network giapponese WOWOW. In Italia l’anime è stato distribuito da Yamato Video per il mercato home video ed è andato in onda su Man-Ga nel 2011, ad eccezione dell’ultimo episodio. Dall’11 ottobre 2013 al 3 gennaio 2014 è stato pubblicato per lo streaming su internet sul canale di YouTubeYamato Animation. Nel mondo dei morti, chiamato Meifu, esiste un’organizzazione, il Juohcho che giudica i peccati che i defunti commettono nella loro vita. Gli Shinigami, ossia Dei della morte, operano nell’Enma-cho, uno dei dieci uffici del Juohcho. Il loro compito è scortare le anime dalla Terra al Meifu. Nella storia i protagonisti, Asato Tsuzuki e il suo collega Hisoka Kurosaki, due shinigami diventati tali per cause misteriose, scoprono le vicende che hanno caratterizzato le loro vite passate e quelle del loro principale antagonista: un dottore psicopatico chiamato Muraki Kazutaka, il cui passato è legato soprattutto al giovane Hisoka, sedicenne dal carattere difficile.
L’Uomo Tigre (タイガー・マスク Taigā Masuku?, Tiger Mask) è un manga scritto da Ikki Kajiwara e illustrato da Naoki Tsuji. Venne pubblicato in Giappone dal 1968 al 1971 dalla casa editrice Kōdansha.[1] Dal manga sono state poi tratte tre serie televisive anime[1], prodotte da Toei Animation e destinate a un pubblico adulto: la prima del 1969, la seconda del 1981 e la terza del 2016. Entrambe le versioni dell’opera, manga e anime, hanno riscosso un grande successo.
Naoto Date è un orfano cresciuto dopo la fine della seconda guerra mondiale. Un giorno, facendo visita a uno zoo insieme ai compagni di orfanotrofio, alla vista della gabbia con i grandi felini capisce di voler diventare forte come una tigre per combattere le ingiustizie nei confronti degli orfani come lui.
Allora scappa, lasciando i compagni attoniti, e incontra l’emissario della Tana delle Tigri, un’associazione a scopo di lucro che addestra lottatori di wrestling, provenienti da ogni parte del mondo. Si reca così sulle Alpi, dove ha sede la Tana delle Tigri, e lì trascorre i successivi dieci anni, sottoponendosi ad allenamenti durissimi.
Tiger Mask W (タイガーマスクWTaigā Masuku Daburu?) è una serie televisivaanime basata sul mangaL’Uomo Tigre di Ikki Kajiwara e Naoki Tsuji, prodotta da Toei Animation e diretta da Toshiaki Komura. È stata prodotta in 38 episodi, trasmessi per la prima volta dalla TV Asahi a partire dal 1º ottobre 2016, 47º anniversario della prima del prequel.[1] Rientra nelle iniziative per festeggiare i sessant’anni di attività della casa produttrice. La New Japan Pro-Wrestling ha partecipato attivamente al progetto e al suo interno ci sono diversi camei di atleti della federazione in versione anime La nuova storia inizia verso la fine del 2016, quarantacinque anni dopo la fuga di Naoto Date la notte del 3 settembre 1971[3], e finisce nell’estate del 2017. Il Giappone è ora un moderno paese sviluppato e la vecchia Japan Pro-Wrestling Association dei tempi di gloria non esiste più.Racconta le vicende di Naoto Azuma, un giovane orfano che, tre anni prima, nel 2013, era unito a Takuma Fujii dalla passione per il puroresu. Per questo frequentavano entrambi la piccola palestra Zipangu Pro-Wrestling gestita da Daisuke Fujii, il padre del secondo. Tuttavia, le loro vite vengono drammaticamente sconvolte un giorno di fine marzo[4] in cui, durante un match organizzato dalla GWM (Global Wrestling Monopoly), una potente federazione di wrestling americana, il malvagio Yellow Devil sconfigge senza pietà Daisuke, lasciandolo invalido e condannando così la Zipangu alla rovina.
Alla morte dell’amata moglie Tanya, Miron, proprietario di una cartiera, chiede ad un suo fidato dipendente, Aist, fotografo e scrittore, di accompagnarlo per compiere il rito di addio, secondo le tradizioni della cultura dei Merja, un’antica etnia ugro-finnica di una remota regione del centro-ovest della Russia, scomparsa circa quattrocento anni fa e di cui, come ricorda il regista, le sole tracce rimaste, sono i nomi dei fiumi. Nel corso del viaggio, il marito rivelerà, secondo le usanze merja, particolari della vita intima della donna. Silent Souls prende spunto da un racconto di Aist Sergeyev, The Buntings, la cui particolarità risiede nell’avere, come protagonista della vicenda, un uomo che è ormai “al di là dello specchio”. Tenerezza e nostalgia si fondono in questa pellicola, dando vita ad una fiaba di struggente e raffinata poesia, dove l’acqua è l’elemento primordiale a cui fare ritorno, nel quale immergersi per ritrovare la propria amata e la propria identità. Nel rendere omaggio al popolo dei Merja e ai suoi rituali di passaggio, il matrimonio e il funerale, Aleksei Fedorchenko – che a Venezia è già stato ospite nel 2005 col mockumentary, Pervie na lune e che ha al suo attivo una discreta produzione cinematografica – mostra i luoghi in cui è ancora forte e percepibile la presenza di questa cultura, esplorandone ogni angolo remoto. Figure fantasmatiche si muovono in uno spazio che prende vita dalle parole sussurrate in fuori campo, che si rianima, riportando alla superficie dell’acqua i ricordi, gli amori, le esperienze dei suoi protagonisti. Vite trascorse nell’osservanza di riti arcaici, come quella ad esempio di gettare nelle acque gelate del fiume l’oggetto cui si tiene di più, nella maestosa immensità di un paesaggio silente, dove appena si può udire il dolcissimo canto degli zigoli, che danno il titolo al film.
Non ho più questo film sul mio hard disk, lo sto cercando.
Il pianeta S-1 è ormai invivibile a causa dell’eccessivo inquinamento. Il suo dittatore Gattler decide quindi di conquistare un nuovo pianeta, e trasferire lì i suoi sudditi. Il pianeta scelto è la Terra, che però troverà nel gigantesco Baldios il suo difensore. Baldios è pilotato da Marin, un abitante del pianeta invasore, fuggito dal suo pianeta durante il colpo di stato di Gattler. Il giovane Marin si trova così a combattere contro la sua stessa razza per difendere un pianeta che lo guarda con sospetto. Il supremo Gattler è deciso a dare una casa agli ultimi superstiti di S-1, che ha portato con sé attraverso il subspazio fino al terzo pianeta di quel lontano sistema solare. Il tiranno è affiancato dalla bella Aphrodia decisa a seguirlo ovunque l’avesse portata per vendicare la morte del fratello, ucciso da Marin. La follia dilaga in uno scontro tra due civiltà determinate a non estinguersi. E l’intera razza umana dovrà subire l’atroce beffa del suo destino. Dopo le prime puntate era evidente che Baldios – Il guerriero dello spazio soffriva, in Giappone, molto per l’infelice collocazione nei palinsesti, in diretta concorrenza con due successi come Lupin III e Rocky Joe 2. Era però anche evidente che il gradimento degli spettatori era elevato. Con grande sorpresa, l’emittente televisiva poté costatare che il pubblico di Baldios era, in buona parte, femminile: una novità assoluta nel panorama delle serie robotiche. La maggiore attrazione era data dal personaggio di Marin, attraente, cupo e romantico, e per assecondare questo sorprendente nuovo mercato, nella serie vennero accentuate le componenti romantiche, come attrazioni infelici e triangoli amorosi, mentre i protagonisti acquistavano storie personali romanzesche e drammatiche. Baldios – Il guerriero dello spazio sembrava non riuscire, però, a trovare una giusta collocazione nel palinsesto e, per tale ragione, fu deciso di troncare la serie all’episodio 31, nonostante altri tre episodi fossero completati ed esistesse materiale in preparazione per un finale. Anche in Italia non venne trasmesso l’epilogo della storia, che si concludeva all’episodio 32. Delle previste 39 puntate ne furono dunque portate a temine soltanto 34. Nel 1981, però, dietro grande insistenza dei fan e delle riviste di animazione che consideravano Baldios un capolavoro, venne realizzato un film per il grande schermo, in cui finalmente la conclusione della storia di Marin e compagni veniva narrata con la grandiosità e il ritmo necessari. Vennero riutilizzati materiali della serie, compresi quelli per le puntate mai andate in onda, e una buona percentuale di animazioni originali, soprattutto nell’epica conclusione della vicenda. Il lungometraggio dedicato a Baldios è, in definitiva, una sorta di condensato dei punti più salienti e toccati, con l’aggiunta, come si diceva, di un lungo epilogo. È significativo notare che anche nel film i combattimenti spaziali sono davvero molto pochi e lo stesso Baldios compare raramente. La storia segue principalmente il triangolo dei complicati rapporti che uniscono Marin, Aphrodia e Gattler, legati da un destino di odio e amore dagli esiti inevitabili. Del film per le sale vennero preparate due diverse versioni: una di 117 minuti ed una, che poi raggiunse i mercati internazionali, di 99 minuti.
Un’anziana donna sale l’ultima rampa di scale che conduce al tetto in un tipico edificio residenziale di Budapest. Poi si avvicina al cornicione, guarda giù, e si butta. Per un momento tutto si ferma, c’è silenzio. La vecchia signora ricomincia a muoversi, lentamente, in modo incerto… Sei vite, sei storie indipendenti, e nonostante tutto collegate in infiniti modi, che ci danno una visione grottesca e talvolta mistica della realtà che conosciamo bene.
Durante la seconda guerra mondiale, gli ufficiali di una base aerea americana su una spiaggia italiana trovano la morte a uno ad uno in circostanze misteriose. Solo uno si salva, l’americano di origine armena Jossarian che riesce fortunosamente a riparare in Svezia.
Bora, zingaro della Vojvodina ha una moglie anziana e se ne procura una giovane, l’irrequieta Tissa che ha in Mirta un patrigno che la concupisce. Bora lo uccide, protetto dall’omertà della tribù. Film di trascinante allegria furfantesca sul folclore tzigano, piuttosto ruffiano e sopravvalutato all’epoca. Il premio speciale a Cannes favorì il suo successo internazionale e la carriera di Fehmiu. Ma l’esplicita simpatia per il popolo tzigano di Petrovi&3 (al quale dedicò un 2° film – Bi&3 e skoro propast sveta , 1968, inedito in Italia) era anche una indiretta critica al tentativo di Tito di omologare dall’alto la complessità etnica della repubblica iugoslava.
Film in 3 episodi. “Il filo pericoloso delle cose” (scritto da Tonino Guerra – 29′). Un uomo litiga con la compagna e fa l’amore con una vicina di casa. Le due donne s’incontrano nude sulla spiaggia. Imbarazzante recupero di cascami anni ’60: “un pallido catalogo turistico di luoghi antonioniani” (A. Pezzotta). Induce a una domanda etica: c’è stata a monte una speculazione o una manipolazione a spese di un novantenne e del suo passato? Girato, si dice, nel 2002. “Equilibrium” (scritto da Soderbergh – 27′). Un uomo racconta i suoi sogni erotici a uno psicanalista distratto e guardone. Ma è tutto un sogno. Prolisso e pretenzioso, un giochino fuori tema, frettolosamente messo in immagini. Divertente. E allora? “La mano” (Scritto da Kar-wai – 42′). Un sarto s’innamora di una prostituta, sua cliente, e continua ad amarla in silenzio per anni. Quasi una protesi di 2046 : linguaggio, atmosfere, attori, ambienti, meccanismo narrativo sono i medesimi. Con masturbazione iniziale e finale. Per entrambi i film, il sospetto di manierismo autoriale è legittimo. Ha il vantaggio della breve durata.
Timido impiegato pubblicitario è costretto, per ragioni di lavoro e per i capricci di una top model, a esibirsi come celebre seduttore. Conciliare satira con comicità è meno facile di quel che si dice. Nell’adattare, seminandola di gag visive irresistibili, la commedia di G. Axelrod, Tashlin ci riesce. Uno dei più divertenti commenti sui costumi, la pubblicità, la TV, il sesso, il mondo degli affari americani degli anni ’50. La collinosa Mansfield marilineggia con piacere. “È il più all’avanguardia tra i film di Tashlin, e senza dubbio il più politico: di conseguenza, uno dei più incompresi” (J. Rosenbaum).
In una grande villa siciliana bella e fatiscente si celebra il funerale di Giuseppe. La madre riceve la telefonata della ragazza del figlio che sta venendo in visita da Parigi. La lascia arrivare, la ospita, le nasconde la morte di Giuseppe, le mente. Esordio di Messina – già aiuto di Sorrentino – che rielabora (molto) liberamente La vita che ti diedi (1925) di Pirandello. Il tema dell’elaborazione del lutto e la psicologia dei personaggi non sono approfonditi a sufficienza. Le loro azioni, il passato non sono volutamente spiegati. Risultato esteticamente buono, ma inerte. Troppo in primo piano la Binoche. E ovviamente – come in quasi tutti i film ambientati al Sud – non potevano mancare sequenze di una processione religiosa.
Chirurgo onesto cerca di smascherare le malefatte di un barone della medicina che si fa passare per benefattore dell’umanità. Zampa affronta un tema già trattato con successo in Il medico della mutua e lo fa con qualche eccesso di demagogia. Efficace progressione drammatica.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.