Fuggita da un riformatorio in una notte di tempesta, la giovane Susana arriva in una fattoria isolata dove, fomentando il desiderio di tre uomini, porta al collasso la situazione. Sullo schema di una tipica commedia ranchera , il regista dissemina i ribaltamenti ironici del suo umorismo. “Lo feci in 20 giorni, ma questa non è una buona scusa.” (L. Buñuel). Inadatta alla parte, R. Quintana, moglie del produttore Sergio Kogan, nuoce al racconto. Altro titolo originale: Susana, demonio y carne.
Alla vergine Marie, figlia di benzinaio e fidanzata schiva di Joseph, Gabriel annuncia che avrà un figlio. Joseph smania e si dispera, ma grazie all’amore finisce per capire e accettare il figlio non suo. Epilogo degno di Buñuel. Sotto il segno della luna è un film che prende la storia della vergine Maria come modello in controluce, parafrasandolo attraverso figure contemporanee. È un film mistico, forse non cristiano, ma nemmeno blasfemo, benché non privo di un sottile umorismo in filigrana. Visivamente splendido. Distribuito in Italia – con il corto (25′) di Anne-Marie Miéville Il libro di Maria – in una edizione mal tradotta e scorciata di qualche minuto. Violenti e sdegnati attacchi di cattolici francesi e italiani (con intervento personale del papa Wojtyla). Premio della giuria ecumenica del Festival di Berlino.
I protagonisti sono una coppia di violinisti, Marta (Nilsson) e Stig (Stig Olin) la cui relazione è nata nei ranghi dell’orchestra filarmonica di Helsingborg diretta da Sönderby (Victor Sjöström). Il film è essenzialmente basato sul contrasto tra la sublimità della musica apportatrice di gioia (l'”Inno alla gioia” di Beethoven ne è la colona sonora) e la pochezza delle vicenda umana apportatrice di dolore e miseria.
Harley ama Ilya di un amore cieco e maniacale, folle e maledetto, come in un film, come una droga. I fratelli Safdie, filmakers newyorkesi, hanno conosciuto Arielle/Harley mentre faceva un lavoretto temporaneo e viveva ancora per strada, a 19 anni, consumata dalla passione per il misterioso Ilya e dall’uso dell’eroina, che li stringeva in un doppio legame. Arielle Holmes stessa e Caleb Landry Jones, giovanissimo attore noto per le sue immersioni pericolose nei ruoli che accetta, sono i belli e dannati di Heaven knows what, adattamento delle 150 pagine di memoir che Arielle ha scritto a pezzi, nei tanti Apple Store di New York, su richiesta dei due registi. Non si può non rimanere coinvolti, pressoché travolti dal film, grazie a queste premesse e allo stile visivo adottato, in contatto a dir poco ravvicinato con la vita della strada, con la testardaggine dell’autodistruzione, il mito romantico che l’avvolge e la nutre, la confusione mentale e l’appetito fisico che la conservano e la perpetuano.
Ali, Mathias e Udo organizzano abitualmente orge con degli sconosciuti. Questa volta rispondono all’appello la Cagna, lo Stallone, l’Adolescente e la Star. La nottata sarà l’occasione, per i bizzarri personaggi, di gettare la propria maschera e rivelarsi in maniera autentica, dando vita a un’imprevedibile successione di scoperte sensazionali. Per Yann Gonzalez la sessualità è il vascello per navigare sul limite estremo di caducità dell’essere, sul confine tra vita e morte, che, inevitabilmente, passa anche dalla “piccola” morte. Tanto sono presenti erotismo e sensualità nei dialoghi o nelle maliziose allusioni dei personaggi, quanto sono assenti in termini di immagini esplicite e soddisfacenti per l’amante del porno. Risulta chiaro fin da subito il gioco di Yann Gonzalez – ex membro del gruppo musicale M83 – un seduttore che si serve della coolness di francesissime musiche e di scenografie dal gusto impeccabile per confezionare un lunghissimo videoclip in cui le innumerevoli ingenuità o parentesi grottesche (l’esibizione di un fallo palesemente finto da parte di un audace Eric Cantona) risultano più che accettabili, una volta inscritte nell’affascinante disegno globale.
Ragazza-madre che ha partorito un figlio morto dopo 12 giorni, Angela scappa da un istituto religioso per andare nella pineta del Tombolo (LI) in cerca di un fratellino e diventa l’amante di Jerry, sergente nero USA. Come e più che nel precedente Il bandito, Lattuada contamina la volontà neorealistica di documentazione sociale col melodramma, ricco di echi del cinema gangsteristico hollywoodiano e del cupo fatalismo dei film prebellici di Carné e Duvivier. Alta tensione stilistica, competente direzione degli attori professionisti e non, bianconero di taglio espressionista (Aldo Tonti), scene e costumi di Piero Gherardi, musica di Nino Rota. Fellini (anche aiutoregista) collaborò al soggetto e alla sceneggiatura col regista e Tullio Pinelli. In concorso a Venezia 1948; Nastro d’argento a G. Masina attrice non protagonista. Appena discreto il successo in Italia, in altri paesi europei e in USA: il tema di un amore interetnico era ancora tabù.
Ostacolato da poliziotti, capitalisti e politicanti, ragazzo vive in un vecchio rifugio antiaereo e studia come poter volare con le proprie forze. Poi rinuncia per amore. Apologo sulla rivolta dei giovani nella società americana. Brillante nella forma e pessimista nelle conclusioni. Bizzarra commedia nera di acri succhi satirici mescolati con squarci lirici. Diseguale, ma insolito.
Pulita, non eccezionale (e certo non la migliore occasione interpretativa per una Lilla Brignone decisamente poco convinta) biografia della celebre attrice d’inizio secolo. La cosa più divertente è la colorita (e molto maligna) recitazione di Giancarlo Sbragia nei panni di D’Annunzio.
Diversi e originali personaggi e le loro intricate vicende sfilano in un grande albergo di Parigi. Zio e nipote investigatori cercano di far luce su un vecchio delitto, una coppia in crisi deciderà di separarsi, un vecchio mafioso sceglierà di ritirarsi, un impresario di boxe lascerà libero il suo pugile suonato. Ma una morte violenta e casuale arriva, inaspettatamente per alcuni. Opera minore di Godard con la rockstar francese Halliday.
Una ballerina dell’Opera di Stoccolma, rievoca tredici anni dopo un’estate felice al mare con uno studente che morì tragicamente. Il suo blocco emotivo si scioglie quando decide di accettare un nuovo amore. 10° film di Bergman, il più risolto del primo periodo: gli aprì la via al successo internazionale. Malinconia struggente nel mito di un’estate irripetibile, caducità dell’adolescenza, erotismo lirico, polemici accenti contro la divinità: il giovane Bergman mette il suo cuore a nudo. Scritto con Herbert Grevenius. Splendido bianconero di Gunnar Fischer, musiche di Chopin e &8 iajkovskij. Titolo originale: Giochi d’estate.
L’artista Saul Tenser e la sua assistente Caprice eseguono performance di asportazione di nuovi organi di natura tumorale dal corpo dello stesso Tenser. Quando i due decidono di registrare il brevetto dei nuovi organi generati nel corpo dell’artista, il loro percorso incrocia quello di una setta dedita a mangiare plastica, già nel mirino delle forze dell’ordine dell’unità Nuovo Vizio.
Fondendo l’estetica dei suoi primi film e gli elementi psicanalitici dei suoi ultimi lavori, David Cronenberg realizza un film di fantascienza inconsueto, spiazzante, in cui l’estetica vintage si pone in secondo piano rispetto a un contenuto radicale.
Le protesi e i dispositivi tecnologici sembrano realizzati secondo una antica idea del futuro che caratterizzava gli anni Ottanta – le visioni aliene di H.R. Giger, ancor più che i primi film di Cronenberg – mentre la storia raccontata completa e canonizza il lavoro di eXistenZ e Crash, tra autocitazione e aggiornamento di una poetica alla contemporaneità.
Crimes of the Future invita a smarrirsi in un futuro remoto che è al contempo una verosimile prosecuzione del nostro presente. Un mondo grigio e quasi inabitabile, in cui la sovrastimolazione del corpo, sollecitato ed eccitato anche durante il sonno o durante il pasto, ha portato a un’esasperazione e nel contempo a un annullamento del piacere e del dolore. In questo panorama piatto e orizzontale il film stesso sceglie di non evolvere e di procedere in accordo con le musiche di Howard Shore, come un bordone mononota che dilata emozioni statiche.
L’intrigo noir, che vede Tenser alle prese con un’indagine su un omicidio e su una setta di plasticofagi, è il pretesto per esplorare una nuova dimensione della sensualità, che ha esteso la profanazione del corpo dall’esteriorità all’interiorità, rimpiazzando il sesso con la chirurgia. La fame di celebrità e l’adorazione per gli artisti è legata al senso che questi riescono ad attribuire ad attività che in realtà tutti sembrano praticare: Cronenberg insiste proprio su questo contrasto, in una possibile allegoria del rapporto tra arte e consumo di massa, incarnate dalle performance concettuali di Tenser da un lato e dai mangiatori di plastica dall’altro.
La popolazione femminile in età post-puberale è stata decimata dalla “malattia di Rouge”, l’epidemia che lo scomparso dermatologo Antoine Rouge ha imprevedibilmente scatenato nel tentativo di curare le patologie derivate dallo smodato uso dei cosmetici. Nella clinica House of Skin del dottor Adrian Tripod, allievo di Rouge, si cerca di scoprire una terapia per combatterla, o meglio per addomesticarla, ma gli esperimenti condotti in vari reparti simili a compartimenti stagni procedono stancamente. Tripod stesso si scopre passivo spettatore del lavoro dei suoi medici: uomini in camice bianco, con una gestualità da rituale stregonesco, asportano da se stessi e dalle loro cavie umane organi e tessuti per compararli tra loro e rigenerarli, mentre misteriosi individui venuti dal mondo esterno tentano di sottrarre dalle loro aberranti pratiche sessuali una enigmatica ragazzina che forse rappresenta l’ultima chance per la procreazione di una nuova specie. La clinica come microcosmo di un mondo in evoluzione; l’immaginazione come inesauribile motore della vita; la morte come stadio di passaggio verso una nuova oggettiva realtà; il concetto di corruzione assunto a struttura portante di un divenire libero dal peso di speculazioni morali; una razionalità che cerca le proprie giustificazioni nell’irrazionalità; un virus letale che necessariamente deve trasformarsi in fonte di sopravvivenza; un protagonista che è insieme artefice e spettatore di quanto si sta vivendo; la contraddizione come chiave di lettura del racconto… I temi, le ossessioni, lo stile ermetico e surreale di Cronenberg sono già tutti ben delineati in questa quarta opera semisperimentale, problematica e disturbante come poche altre sue pellicole. I crimini del futuro – la manipolazione genetica, l’ibrido sessuale, la violenza, la pedofilia – sono le vie che l’uomo, in un incerto domani, potrebbe trovarsi nella necessità di percorrere per piegare la malattia a strumento di rigenerazione.
Il bacio che la padrona gli ha scoccato casualmente alle ore 18 del 10 giugno 1940 ha cambiato la vita del pasticcere Vanni, immergendolo in un sogno d’amore astratto e duraturo. O un incubo? Dieci anni dopo la preparazione e l’attesa dell’evento del titolo si risolvono in un disastro. Opus n. 16 del regista bolognese, questa commedia amarognola appartiene al suo filone crepuscolare che inclina verso i buoni sentimenti. Lavoro di fino sul doppio registro dell’incanto e del disincanto, del pathos e della perfidia, della tenerezza e dell’ironia con qualche stonatura proprio nella scena della festa. 1° dei 4 David di Donatello per la musica vinti da Riz Ortolani al servizio di Avati.
Un film di Bertrand Tavernier. Con Philippe Noiret, Sabine Azéma, Maurice Barrier, François Perrot, Michel Duchaussoy. Titolo originale La vie et rien d’autre. Drammatico, durata 135′ min. – Francia 1989. MYMONETRO La vita e niente altro valutazione media: 3,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Nel 1920 una vedova di guerra, alla ricerca del marito disperso nel ’18, s’innamora, riamata, del capo dell’Ufficio di ricerca e identificazione dei militari caduti. In un clima di accesa necrofilia, con risvolti di satira antimilitarista e guizzi di follia, è il raro caso di un film pacifista senz’enfasi, aguzzo nel deprecare il recupero ideologico di quelle morti in battaglia. Un grande Noiret _ premiato con 1 César _ in un racconto corale.
Germain, ex poliziotto, e Gino, ex galeotto, sono amici. Un giorno alcuni vecchi compagni di Gino cercano di convincerlo ad unirsi a loro in una rapina, ma senza risultato. L’ispettore Gouatreau non crede alla sua innocenza e lo perseguita.
Il regista Gaspard Bazin si prepara per le riprese di un lungometraggio. Ancora in fase di casting, chiede aiuto a Giovanni Almereyda, un produttore con un grande passato alle spalle, ma ormai in declino. Con sempre maggiori difficoltà finanziarie, il brillante Almereyda viene a sua volta spronato dalla moglie Euridice, desiderosa di diventare una star del cinema. Tra i due uomini s’instaura così un gioco perverso, con il produttore che tenta in tutti i modi di accontentare la moglie pur conoscendo la reputazione di seduttore impenitente di Bazin…
M*A*S*H è una serie televisivastatunitense creata da Larry Gelbart, ispirata dal film M*A*S*H (1970) di Robert Altman, che a sua volta era tratto liberamente dal romanzo (e dai suoi seguiti): M*A*S*H: A Novel About Three Army Doctors (1968) scritta da Richard Hooker (nome d’arte di H. Richard Hornberger). La serie inoltre è influenzata dal romanzo Comma 22 (1961) di Joseph Heller.Andata in onda dal 17 settembre 1972 al 28 febbraio 1983, per un totale di 11 stagioni e 251 episodi, la puntata finale è risultata essere per molti anni la più vista della storia della televisione americana (con 105,9 milioni di telespettatori), record detenuto fino al 2010 e superato, con 111 milioni, dal SuperBowl.Oltre al grande successo di pubblico, la serie riscosse unanimi consensi dalla critica televisiva e colse numerosi premi, tra i quali 14 Emmy Awards(con ben 109 nomination) e 7 Golden Globe.La versione originale ha in sottofondo le false risate del pubblico, quella italiana ne è sprovvista.
M*A*S*H è una tragicommedia incentrata sulle vicissitudini del 4077th Mobile Army Surgical Hospital (Ospedale Chirurgico da Campo dell’Esercito) statunitense in Uijeongbu, Corea, durante la Guerra di Corea (1950–1953).Molte delle situazioni raccontate, anche le più assurde, sono realmente accadute, come testimoniano molti dei veterani del conflitto
Un marinaio siciliano comunista deve sottostare ai capricci della padrona, la viziata moglie di un industriale milanese, ma quando lo yacht naufraga in un’isola deserta lui si prende la sua rivincita.
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