Yosuke, gentile impiegato disoccupato, viaggia da Tokyo in un villaggio della penisola di Noto alla ricerca di un tesoro che non c’è. V’incontra la bella Saeko che ha la prodigiosa qualità di traboccare d’acqua (di vita) ogni volta che ha un accoppiamento sessuale o quando trasgredisce a una legge sociale. I suoi flussi d’acqua tiepida ridanno vita alle piante e attirano frotte di pesci. Tratto da un racconto di Yo Henmi, carico di rimandi ai miti e alle credenze popolari nipponiche, denso di simboli e di metafore, legato soprattutto al tema dell’acqua e alle immagini del cibo, dello specchio e del rosso ( akai , colore legato in Giappone all’erotismo), il film coniuga la concretezza fisica, tipica di I. Shohei, col fiabesco e il surreale. Lo fa con una scrittura semplice, leggera, gentile, persino ironica. È un inno alla vita terrena e alla necessità di trasgredire regole e convenzioni per riaffermarne i diritti. Anche per ragioni anagrafiche, evoca la libera leggerezza dell’ultimo Buñuel.
Uomo Ragno 2099 (Spider-Man 2099), è stata una serie a fumetti incentrata sulla versione futuristica del personaggio immaginario dell’Uomo Ragno, qui alter ego di Miguel O’Hara, creato da Peter David (testi) e Rick Leonardi (disegni) nel 1992 e pubblicata negli Stati Uniti dalla Marvel Comics nella linea editoriale Marvel 2099 nella quale vennero proposte le reinterpretazioni, ambientate nel futuro, di personaggi della serie classica della Marvel e di altri creati per l’occasione.
Lavorando ad esperimenti sulla mutazione genetica degli animali (in particolare armeggiava attorno a un “progetto ragno”), l’ottuso e invidioso capo-progetto, Aaron Delgato, lo spinge a sperimentarlo su un uomo, che muore. Disgustato dall’immoralità della Alchemax, tenta di rassegnare le dimissioni, discutendo con il boss, Tyler Stone. Tyler per tutta risposta, lo costringe a rimanere, somministrandogli con l’inganno il Rapture, una droga allucinogena che crea fortissima dipendenza, molto costosa, ma perfettamente legale e, guardacaso, prodotta in esclusiva dalla Alchemax.
Per niente soddisfatto, Miguel torna di sera nei laboratori per applicare le sue teorie mutageniche su sé stesso, per eliminare la droga. Non visto, l’invidioso Aaron Delgato sabota le macchine, ma Miguel ne esce vivo, e mutato. La lotta che ne consegue uccide Delgato, e Miguel scopre di avere acquisito capacità ragnesche simili a quelle dell’ormai dimenticato eroe del ventesimo secolo Uomo Ragno.
Uncanny Avengers è una serie a fumetti pubblicata negli Stati Uniti d’America dall’editore Marvel Comics da dicembre 2012. Fu il primo titolo edito all’interno del progetto di rilancio editoriale Marvel NOW!, esordio della nuova fase dell’universo Marvel dopo gli eventi del crossover Avengers vs. X-Men. Questo nuova versione del gruppo dei Vendicatori, noti come “squadra unione”[1], vede Capitan America dare vita ad un team di Vendicatori composto sia dai componenti storici che da mutanti X-Men alleatisi per proteggere l’umanità e portare avanti il progetto di Charles Xavier.
Nel 2012 la Marvel, al fine di rilanciare le varie serie a fumetti che pubblicava, diede vita al progetto Marvel NOW! che nasce come conseguenza degli eventi narrati nel crossoverAvengers vs. X-Men.[3][4] A seguito di questo rilancio, dopo la miniserie Avengers Versus X-Men[5], a dicembre 2012 esordisce la nuova testata Uncanny Avengers (vol. 1[6]), scritta da Rick Remender, che dà il via all’evento Avengers and the X-Men: AXIS, che vede Capitan America dare vita ad un team di Vendicatori composto sia dai componenti storici che da mutanti X-Men; la serie venne edita fino a novembre 2014[7] e sostituita da una seconda serie omonima, Uncanny Avengers (vol. 2), pubblicata per cinque numeri nel 2015[8].
La serie venne edita fino a novembre 2014[7] e sostituita da una seconda serie omonima, Uncanny Avengers (vol. 2), pubblicata per cinque numeri nel 2015[8].
A seguito degli eventi narrati nel crossoverSecret Wars, parte nel 2014 un nuovo rilancio delle serie a fumetti della Marvel denominato All New All Different Marvel. All’interno di questo progetto venne rilanciata anche, nel 2015, Uncanny Avengers (vol. 3)
Spawn è un personaggio dei fumetti creato nel 1992 da Todd McFarlane, inizialmente disegnatore e autore delle storie. Il personaggio è protagonista di una delle prime e più longeve serie della casa editrice Image Comics, di cui McFarlane è uno dei fondatori e attuale Presidente[1]. McFarlane, sotto l’egida della Image, ha fondato l’etichetta Todd McFarlane Productions per la quale realizza e supervisiona le opere di cui detiene il controllo dei diritti tra le quali Spawn e gli spin-off derivati dalla serie principale[2]. Il primo numero di Spawn vende oltre 1 milione e ottocentomila copie diventando il fumetto indipendente più venduto di tutti i tempi.
Il personaggio è una creatura infernale, o HellSpawn, creata da Malebolgia, Re dell’ottavo girone degli Inferi. Il nome Malebolgia si ispira al nome con cui Dante Alighieri nomina l’ottavo girone dell’Inferno nella Divina Commedia, ovvero Malebolge, dove si puniscono le anime dei fraudolenti. La genesi che ci viene presentata all’inizio del fumetto avviene attraverso un patto che l’anima dannata dell’agente della CIAAl Simmons è disposta a stipulare col Diavolo pur di tornare sulla Terra per rivedere la moglie. Nel corso dei secoli vi sono però state altre anime a reincarnarsi come progenie infernale denominate Hellspawn.
Regia di Luigi Magni. Un film con Nino Manfredi, Serena Grandi, Alberto Sordi, Massimo Wertmüller, Luca Barbareschi, Elena Sofia Ricci.Cast completo Genere Storico – Italia, 1990, durata 110 minuti. – MYmonetro 3,73 su 15 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. Siamo nel 1849, nel momento in cui la Repubblica romana dovette arrendersi alle truppe dell’esercito francese capitanate dal generale Oudinot. La cronaca dell’avvenimento in questione e gli altri accadimenti a Roma e nel resto dell’Italia sono la materia del film di Luigi Magni. Molti sono i personaggi che sfilano: il prete barnabita Ugo Bassi, papa Pio IX, Luciano Manara, celebre esponente monarchico, i patrioti Daverio, Messina, Narducci, Dandolo, il poeta Belli e Goffredo Mameli, autore dell’inno italiano. Affresco condotto con mano sicura da Magni anche se le interpretazioni non sono mai folgoranti.
Un commando di terroristi rapisce un diplomatico americano e chiede un riscatto di 10 milioni di dollari. I componenti del gruppo vengono identificati grazie a un filmato e il commissario incaricato del caso fa assalire la fattoria in cui sono nascosti e li fa massacrare tutti, tranne il loro capo. Tratto da un romanzo di Jean-Patrick Manchette, che l’ha anche adattato con Chabrol, è un film d’azione il cui tema centrale è la stupidità del fanatismo, da qualunque parte stia. Il guaio è Chabrol: il film rivela che gli interessano poco o niente i personaggi della storia, poliziotti o terroristi. Si limita a dirigere il traffico come un qualsiasi artigiano della regia. Si oscilla così tra la convenzione e la caricatura.
Nell’antica Baghdad un giovane ladro, mani leste e testa fine, aiuta il Sultano, detronizzato dal malvagio Gran Visir, a riconquistare il trono. Celebre versione muta di un racconto delle Mille e una notte nata dall’incontro felice tra due grandi personalità del muto, tra l’energia narrativa di Walsh e l’ilare atletismo di Fairbanks: dinamismo, umorismo, esotismo, erotismo. Come film di Fairbanks gli sono preferibili, forse, Robin Hood (1922) o The Gaucho (1928) perché l’ambientazione favolosa e il fasto cinematografico si sovrappongono qua e là al personaggio; come film di Walsh è un punto d’arrivo, notevole per l’entusiasmo con cui il giovane regista si lanciò nel gioco della sperimentazione linguistica per far coincidere la magia araba con quella del cinema.
Prodotto dei fratelli Korda, è una piacevole mistura di azione, fantasia e musica in grado di battere, in materia di affabulazione e di effetti speciali, la concorrenza americana e, per i suoi ammiccamenti sornioni, modello per le nuove avventure della nuova Hollywood. Trucchi ottici e meccanici strepitosi per l’epoca, e un eccellente Technicolor. 3 Oscar per la fotografia (Georges Périnal), la scenografia (Vincent Korda) e gli effetti speciali (Lawrence Butler e Jack Whinney).
Ghost in the Shell (攻殻機動隊 GHOST IN THE SHELL Kōkaku kidōtai Ghost in the Shell?, lett. “Squadra mobile con corazza offensiva”[3]) è un manga scritto e disegnato da Masamune Shirow, serializzato per la prima volta in Giappone sulla rivista Young Magazine dal 1989 al 1991. Successivamente è stato pubblicato in volume unico il 2 ottobre 1991 da Kōdansha. Shirow ha continuato la serie con due sequel, pubblicati dal 1991 al 1997 su Young Magazine e poi raccolti in due volumi, Ghost in the Shell 2: ManMachine Interface nel 2001 e Ghost in the Shell 1.5: Human-Error Processer nel 2003.
Nel XXI secolo l’informatica, la robotica e le nanotecnologie hanno fatto passi da gigante, e la gran parte della popolazione è interconnessa alla rete, a cui gli individui possono accedere non soltanto mediante terminali fisici, ma soprattutto in tempo reale attraverso micro-impianti situati nel loro stesso cervello, posizionati alla base del cranio, tra la pelle e la spina dorsale. Questi “cyber-brain” permettono inoltre di utilizzare la propria memoria con la stessa elasticità di quella di un computer, e aumentano di molto le potenzialità della mente umana nell’analisi di dati e nella trasmissione di informazioni. Protesi e innesti robotici, sviluppati per rimpiazzare organi danneggiati o per migliorare le prestazioni del corpo umano, sono la norma, e le persone che si sono sottoposte a tali operazioni sono diventate cyborg, ovvero esseri in parte organici in parte robotici[4].
A ogni livello della società trovano impiego robot dall’intelligenza artificiale e corpi biogenetici estremamente sofisticati, tanto che sono praticamente impossibili da distinguere a prima vista dai cyborg. Purtuttavia un elemento che continua a caratterizzare gli esseri umani rispetto alle macchine è rappresentato dal “ghost”, un termine colloquiale per riferirsi alla mente o essenza di un essere, ovvero ciò che ha scientificamente ridefinito l’anima di un individuo. Questo elevato livello di interconnessione e di cibernetizzazione espone la società a nuovi tipi di crimine, come la pratica di hackerare i cyber-brain o le intelligenze artificiali per prendere il controllo delle proprie vittime, intercettare, censurare o modificare le informazioni ricevute, clonare i ghost o distruggere e riscrivere le memorie altrui[4][5].
La serie è ambientata principalmente in Giappone, nella città di Newport City (ニューポートシティ Nyūpōto Shiti?), e segue le attività della Sezione di Sicurezza Pubblica numero 9 (公安9課 Kōan Kyūka?), conosciuta più semplicemente come Sezione 9, un’unità specializzata nel contrastare attività illecite in ambito politico-istituzionale e terroristico. Le varie opere e capitoli che compongono la serie presentano solitamente la risoluzione di singoli casi isolati
The Walking Dead è una serie mensile americana survival horror a fumetti pubblicata dalla Image Comics a partire dall’ottobre 2003, creata da Robert Kirkman ed illustrata da Tony Moore per i primi 6 numeri e da Charlie Adlard per i successivi. Tratta delle vicissitudini di un gruppo di persone che cercano di salvarsi da un’invasione di zombie, che ha portato al crollo delle istituzioni centrali e alla fine della civiltà così come la conosciamo. In Italia l’opera viene pubblicata in due diversi tipi di raccolte: il trade paperback (composto da 6 numeri regolari americani) venduto esclusivamente nelle fumetterie dal2005, e il formato bonelliano (composto da 4 numeri) ristampa venduta anche nelle edicole a cadenza mensile, a formato e prezzo ridotto dal 2012. Entrambe le pubblicazioni sono realizzate da SaldaPress. La pubblicazione dell’opera di Kirkman continua tuttora.
Vagabond (バガボンド Bagabondo?) è un manga scritto e disegnato da Takehiko Inoue, liberamente ispirato al romanzo Musashi di Eiji Yoshikawa, che narra le vicende relative al samurai Musashi Miyamoto
È il 21 ottobre del 1600, e la battaglia di Sekigahara si è conclusa. Al suolo, sopravvissuti in mezzo a cadaveri ed armi, si trovano Takezo Shinmen e Matahachi Honiden, due amici arruolatisi nelle file di Toyotomi nella speranza di ottenere gloria nella battaglia. Così inizia Vagabond.
I due ragazzi si trovano a dover affrontare molti pericoli, per tornare al villaggio Miyamoto, da cui provenivano; difatti, gli appartenenti alle truppe sconfitte venivano cercati sia dagli abitanti delle zone limitrofe al campo di battaglia, per vendetta, sia dai soldati vincitori, che cercavano i nemici per eliminarli.
Sulla strada per il ritorno, feriti ed ammalati, vengono raccolti e salvati da due donne, Oko e sua figlia Akemi.
Fin da bambino vede i morti nel loro ultimo attimo di vita, ne ascolta l’ultimo pensiero. È diventato poliziotto presso la Regia Questura di Napoli, e riesce spesso a utilizzare questa sua capacità per rendere giustizia a chi è morto di morte violenta.
Dopo secoli di medioevo e di convinzione di appartenere a una stirpe eletta, il Giappone inizia ad aprirsi all’Occidente. Ma non tutti sono felici di questa decisione politica. Una corrente xenofoba formata prevalentemente da ronin (samurai senza padrone) stermina qualsiasi straniero metta piede nel Paese del Sol Levante, e complotta azioni terroristiche ai danni del governo. Gen Tsukinosuke è un saishi, ovvero uno dei pochi frutti dell’unione fra un essere umano e una belva superstiti dallo sterminio operato anni prima ai danni della sua razza. La sua tecnica di spada è micidiale, ma il suo corpo lo è ancora di più: un essere umano che entri in contatto con uno qualsiasi dei suoi fluidi corporei è destinato a morte certa. Onore, sesso e violenza: i tre punti cardinali intorno a cui ruotano molte storie di Ryoichi “Crying Freeman” Ikegami, qui raggiungono il massimo della loro intensità. Finalmente completo e integrale, con tutti i capitoli, e con un volume aggiuntivo, ecco la saga di RYUGETSUSHO, nella nuova veste intitolata (anche in Giappone) col termine italiano BESTIA. Un Ikegami alla ennesima potenza! Trama tratta dal sito dell’editore italianoStar Comics.
Irlandese di povere origini, l’ambizioso Chris campa a Londra come maestro di tennis finché trova l’occasione di fare una rapida scalata nell’alta borghesia britannica. Quando gli si frappone un pericoloso ostacolo – un’attricetta americana senza lavoro, sensuale ma povera, che pur gli ha messo i sensi in fantasia – se ne sbarazza. Siccome è anche fortunato, c’è il delitto, ma non il castigo. Conta il modo in cui si ritarda il più possibile la scoperta della vera natura di Chris. La sua volgarità è soltanto morale. Analisi clinica dei rapporti di classe che condizionano il comportamento umano. Il cinismo e Dostoevskij c’entrano poco: Allen racconta il suo mediocre Chris con saggio e lucido disincanto: Crimini e misfatti non è lontano. Un altro punto vincente nella carriera della cangiante Johansson.
Jean-Luc Godard imbastisce una situazione sullo scenario futuribile di un mondo uscito da una “Chernobyl” che ha azzerato secoli di arte e di pensiero. Tra gli stravaganti personaggi che popolano questo mondo polveroso, c’è William Shakespeare Jr. Quinto, discendente del Bardo, che persegue la missione di ricostruire i testi delle tragedie del grande antenato delle quali, ormai, si tramandano confusamente soltanto alcune battute. Instancabile ricercatore, egli sorprende Don Lear, un vecchio malavitoso, mentre recita alcuni versi del “Re Lear” a sua figlia Cordelia. Seguendo i due, Shakespeare Quinto raggiunge una piccola comunità che un certo Pluggy tiene in soggezione servendosi delle immagini che egli stesso monta e proietta da una rudimentale cinepresa cucendo assieme vecchi pezzi di pellicole dimenticate.
Un film di guerra così non si era mai fatto. È il 1° sulla 92ª Divisione dei Buffalo Soldiers, l’unica dell’intera US Army che durante la guerra 1939-45 – quando furono reclutati 1 milione di cittadini afroamericani adibiti ai servizi nelle retrovie – fece parte della Quinta Armata, impiegata sul fronte italiano e formata da 15 000 fanti agli ordini di ufficiali bianchi, spesso sudisti. Quello dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (Lucca, 12-8-1944: 560 vittime civili tra cui donne, bambini e il parroco) è solo un episodio nella storia di 4 fanti della Buffalo bloccati, al di là delle linee nemiche, in un paese della valle del Serchio che attraversa la Garfagnana. Uno dei 4 porta con sé un bambino italiano scampato alla strage. Scritto da James McBride (da un suo romanzo del 1993) con Francesco Bruni, è un film corale e complesso, polemico e favolistico. Sullo sfondo storico s’innestano varie storie private. Agli orrori della guerra e alla polemica sul modo con cui erano trattati e mandati al macello i Buffalo Soldiers dai loro superiori bianchi, si alternano episodi di compassione, amicizia, dignità, differenza di pelle e di lingua con la popolazione dell’Appennino tosco-emiliano. Purtroppo è un film riuscito a metà. A una 1ª parte dove quasi tutto funziona, coinvolge e convince, segue una 2ª in cui quasi tutto ha un suono falso, approssimativo, convenzionale e turgido fino a diventare inverosimile e confuso nella battaglia nel paese. Lee ha saputo raccontare con brio gli italoamericani perché li ha frequentati nel Bronx, ma non ha la più pallida idea di quel che sono e soprattutto di quel che erano gli italiani nel 1944. E che dire del finale sdolcinato in riva al mare che si contrappone al fulmineo avvio nell’ufficio postale di Harlem 1983?
A New York l’ex detenuto Ray convince l’amatissima consorte Frenchy, ex spogliarellista, a investire i risparmi nel finanziamento di un colpo ladresco (svaligiare una banca, con tre amici lestofanti balordi come lui, scavando un tunnel). Come copertura lei apre un negozio di biscotti. Il colpo fallisce, ma i biscotti di Frenchy fanno furore. L’improvvisa ricchezza rischia di mandare a monte il loro matrimonio. Dopo 3 tiepidi successi di cassetta, al suo 31° film W. Allen torna al comico (quasi) puro: una gag dietro l’altra, battute spiritose a raffica, situazioni buffonesche sull’orlo dell’inverosimiglianza. S’intrecciano imperfettamente, fino a un epilogo rasserenante, 3 storie: il quartetto dei balordi con la loro sgangherata impresa; l’analisi satirica dell’alta società pseudoculturale di Manhattan; il patetico sbandamento di una signora di mezza età, corteggiata da un giovane, avido e ipocrita mercante d’arte. La confezione farsesca cela un’altra parabola aguzza sul successo made in USA. La trovata di partenza è presa in prestito da I tre furfanti (1942) di L. Bacon, a sua volta di origine teatrale. Sbarazzarsene, come molti critici italiani hanno fatto, perché la trovata di partenza è presa in prestito da I soliti ignoti , appare un ingeneroso gesto di goffo sciovinismo. Per la 2ª volta la fotografia è del cinese Zhao Fei. Godibile e raro il contributo di Elaine May.
Nera, bella, con tre uomini, Lola è una ragazza indipendente e disinibita. Tenta invano di stabilire un amichevole ménage à quatre , ma ogni uomo la vorrebbe solo per sé. Opera prima a basso costo di Lee, è una commedia libertina e tutta black , girata in bianconero con una sequenza a colori. Descrive il quadro di una piccola comunità nera senza demagogia. Belle le musiche di Bill Lee, padre di Spike.
Un gruppo di gangster, su commissione di un avvocato in cattive acque, compie una rapina in una gioielleria. Qualcosa non funziona. La banda, malgrado uno dei suoi componenti resti gravemente ferito, porta a termine il colpo. Ma uno degli organizzatori, messo sotto torchio dalla polizia, finisce col confessare. L’avvocato preferirà il suicidio all’infamante arresto. Ad uno ad uno gli uomini della banda vengono catturati o uccisi. Probabilmente il miglior film di gangster mai realizzato, cinematograficamente perfetto. Una visione livida e lucida di una comunità di emarginati, che ha un suo codice e che accetta la propria esistenza senza illusioni. Ogni personaggio ha una logica, anche il più marginale, nel disegno corale di una società che il regista mostra senza il fastidioso realismo poetico di stampo francese. Persino il personaggio del “professore”, il cervello della banda, è disegnato con precisione e senza coloriture dal grande caratterista Sam Jaffe. La perfetta esecuzione tecnica è dovuta probabilmente, oltre che al talento di Huston, al fatto che a produrre il film fosse la M.G.M, garante di una professionalità spesso travisata e giudicata un limite, senza la quale si può essere geni quanto si vuole, ma si finisce irrimediabilmente nella sciateria. Quasi sempre. Un film d’autore resta sempre tale, purché non si abbia la pretesa che ogni essere vivente abbia l’obbligo morale di assistervi e compiacersene. Giungla d’asfalto è un raro esempio di impegno artistico e professionale in perfetto equilibrio di valori. Uno stuolo di caratteristi, quali solo il cinema americano è in grado di sfornare, compongono la galleria di vincitori e vinti. Un gioco delle parti non privo di romanticismo, quello autentico, che scaturisce dalla mancanza di ferocia; un elemento ben presente nella società odierna. Sterling Hayden, che in seguito confermerà di essere come attore un perdente di successo, nel ruolo di Dix Handley ha una ruvidezza che nulla aveva a che fare con lo star system di allora. Né gli è da meno l’elegante e fatalista Louis Calhern, nel ruolo dell’avvocato. E Marilyn Monroe è inconsapevolmente la perfetta incarnazione di tutti i personaggi che avrebbe interpretato in seguito.
Dramma sociale a tinte forti con denuncia nei confronti di organizzazioni xenofobe come il Klu Klux Klan. Frank Taylor, un operaio interpretato da Humphrey Bogart, vede sfumata una promozione a causa di un immigrato polacco, Dombrowsy, che viene preferito a Frank per la sua maggiore capacità lavorativa. Frank allora si unisce all’organizzazione xenofoba “Black Legion” che combatte gli immigrati e le minoranze razziali con metodi violenti.
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