Un film di Nagisa Oshima. Con Yun-do Yun, Sato Fumio Watanabe, Toshiro Ishido, Masao Adachi, Mutsushiro Touda. Titolo originale Koshikei. Drammatico, durata 117′ min. – Giappone 1968.
L’impiccagione di uno studente, condannato per avere stuprato e ucciso due ragazze giapponesi, non riesce: l’uomo non muore e perde la memoria. Per ridargli un’identità, i burocrati della giustizia tentano una psicoterapia, improvvisandosi attori che mimano le fasi salienti della sua vita e i delitti da lui commessi. Per rievocare l’ultimo crimine si ricorre a una ragazza (non attrice) coreana come lui. L’imputato ritrova sé stesso e può essere impiccato. La botola si riapre, lui precipita nel vuoto, ma il cappio non stringe nulla. Uno dei più potenti film di Oshima: “un grido di rivolta (contro il potere), un insulto ai sacri principi (l’ordine, la legge e le sue ipocrisie), un divertimento macabro, una fiaba allucinata” (F. Di Giammatteo). Scritta dal regista con Tsumotu Tamura, Mamoru Sasaki e Michinori Faukao, è un’acre parabola satirica alla Brecht che nella 2ª parte s’ingorga e ridonda per un eccesso di simbolismi e di indignazione. Edizione italiana con sottotitoli. Titolo inglese Death by Hanging.
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Film per me importante per varie ragioni. Per primo perché considero la cinematografia giapponese tra le più importanti del mondo, per secondo perché Oshima è stato un regista davvero straordinario, terzo perché questo film è stato, fino a poco tempo fa, reperibile solo sui circuiti festivalieri più esclusivi (ennesimo plauso a Iper!). Nel merito, posso solo dire che si tratta forse del film più politico di Oshima, la sua denuncia alla xenofobia giapponese (l’impiccato in questione è un coreano), ovvero l’ipocrita paura della minaccia alla propria integrità razziale e culturale, è evidente. Ma Oshima non si lascia fagocitare solo dai temi forti, la sua cifra stilistica, davvero dirompente e originale, va oltre la cultura nipponica per farsi universale, tale cioè da richiamare persino gli occidentalissimi Brecht (straniamento) e Beckett (teatro dell’assurdo).
Da vedere, consigliato.