Un film di Olivier Assayas. Con Virginie Ledoyen, Laszló Szábó, Cyprien Fouquet Drammatico, durata 92′ min. – Francia 1994. MYMONETRO L’eau froide valutazione media: 3,75 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Nel 1972 Gilles e Christine, entrambi figli di genitori divorziati, vivono diversamente i loro problemi. Dopo un furto in comune di dischi in un supermercato, lei è spedita dal padre in un istituto psichiatrico da dove fugge. Fugge da tutto, ma insieme con Gilles, verso una maturità impossibile. Versione lunga di un film TV di un’ora (La Page blanche) della bellissima serie “Tous les garçons et les filles de leur âge”, 9 film, 3 per decennio, sull’adolescenza dagli anni ’60 a oggi. Ricco di emozioni forti, momenti teneri, rabbia e disperazione, è un bellissimo e struggente film che meriterebbe come epigrafe un famoso incipit di Paul Nizan: “Avevo vent’anni e non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”. C’è anche una coinvolgente colonna sonora, formata da canzoni e motivi del 1972: “Knockin’ On Heaven’s Door” di Bob Dylan, “Janitor of Lunacy” di Nico, “School ‘s Out” di Alice Cooper, “Me & Bobby McGee” con la voce di Janis Joplin.
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Bellissimo film. Il mio Assayas preferito
E’ incredibile che questo film, così riuscito, trovi ancor oggi un felice riscontro non solo tematico, ma anche come raro cinema d’autore, nel nuovo film di Assayas: “Qualcosa nell’aria”. Devo proprio constatare che l’ex critico dei “Cahiers du Cinéma” si è confermato davvero un buon regista.
Ho trovato l’eau froide uno tra i migliori film sull’adolescenza, i rapporti di famiglia, la crescita difficile e la formazione dell’identità senza facili compromessi. Un viaggio nel mondo e nella testa dei ragazzini che non sanno salvare il mondo, ma almeno provano a non soccomberci. Sono andato, spinto da questo ricordo, a vedere “Qualcosa nell’aria” sperando di trovarvi la stessa bella energia. Invece, francamente, ho ritrovato solo il delicato approccio filmico e la gentilezza con la quale il regista tratta gli adolescenti pieni di magagne. Mi è sfuggita però completamente la sincerità nel e la necessità di parlare di quel mondo, di quelle esperienze. Tra le immagini di “qualcosa nell’aria” (che commenterei con uno dei pochi versi di Elio e le storie tese che mi piace: “c’è qualcosa nell’aria, che mi dice che io morirò”) ho visto un cinquantenne brizzolato, che immagino si sia comprato gli occhiali con la montatura in plastica rossa, che ricorda i bei tempi della gioventù, dove le ragazze erano fate che vivevano il sesso con l’aura innocenza delle ninfe, e i giovani erano tutti artisti, nella vita, nel dormire fino a tardi e volevano viaggiare e conoscere il mondo. Facendo esperienze. Vuote, vuote come i ricordi di Assayas, vuote come chi dopo anni riprova il suo miglior film sperando di ritornare, con il mestiere migliorato e spingendo sulla nostalgia, a quegli anni andati, che tutti rimpiangiamo perché fuori c’è il buio. Rimane il mio rispetto per il regista che ha scritto ottimi testi e fatto comunque film degni di nota.
Peccato bollare “Qualcosa nell’aria” come roba da reduci ormai in età di pensione, mi sembra fin troppo facile, riduttivo e un po’ tipico della pigrizia sbrigativa di certa critica. Con questo non sostengo che “Après mai” sia un capolavoro, del resto per me non lo è nemmeno “L’eau froide”, ma Assayas sa semplicemente raccontare, a mio parere molto bene e soprattutto con assoluta onestà, quello di cui ha una grande conoscenza, per averlo direttamente vissuto, perché nel cinema come in letteratura tutto è autobiografico e niente è autobiografico. Comunque: de gustibus non disputandum est.
Cosa sia capolavoro non l’ho mai capito. Etichetta tra molte. Sulla capacità di racconto di Assayas sono d’accordo (tanto che ha “il mestiere migliorato”). Sul fatto che abbia vissuto certe esperienze, altrettanto d’accordo. Sul fatto che metta in scena quello che ha vissuto e non il distillato di quello che gli piace ricordare, non mi ricredo.
Sull’Elio-pensiero vorrei specificare che quella frase è un ricordo del 1986, primo anno delle superiori, quando John Holmes era uno dei miei eroi. Poi con gli anni, per fortuna, sono diventato adulto, affezionandomi agli Skiantos e a tutto il male che di quel pensiero possono dire, grazie ai carotaggi nelle idee di altri bassi, e ormai immunizzati come dice bene papinvirginio, pensatori. Rimango comunque dell’idea che “Qualcosa nell’aria” sa di chiuso, fino a quando “certa – altra- critica” che non so quale sia, mi farà cambiare strada portandomi lontano dalla mia “pigrizia sbrigativa”.
Sa di chiuso e di quello stantio che ho ritrovato nell’acclamato “La grande bellezza” dove il cinquantenne-sessantenne (attore-regista-sceneggiatore) riguarda con animo nostalgico (qui rammaricandosi per averli prodotti, in Assayas rimpiangendoli per averli perduti) i bei tempi andati (per favore non si pensi che stia paragonando neppur con il canocchiale il “jet set romano demmerda” agli “anni della contestazione”). Nel film di Sorrentino ho trovato, nella condanna senza pietà di un mondo allo sfascio, un senso di compresenza, di aria ferma, di sguardo opaco che non può fare a meno di incontrare il proprio fantasma. Insomma una condanna fuori tempo massimo, che vira al grottesco perché altrimenti dovrebbe giocare contro di se’. Due film diversissimi, ma che lasciano trasparire qualcosa in comune: il gioco a rimpiattino con la nostalgia.
Per fortuna non scrivo su nessuna rivista specializzata e il tutto, ovviamente, non è altro che un’opinione viscerale 😉
1) Quarto potere, La regola del gioco, I racconti della luna pallida d’agosto, Viale del tramonto, ecc.,ecc., sono semplicemente per convezione dei capolavori, cioè opere cinematografiche il cui valore non ha fortunatamente solo un riscontro soggettivo.
2) Per “certa critica pigra e sbrigativa”, ma sarebbe stato meglio dire codina e reazionaria, ecco un esempio:
“Presuntuoso, arzigogolato e noiosissimo dramma del trombone francese Olivier Assayas (…). Una barba da non credere, con un protagonista dalla frangetta sugli occhi di rara antipatia. Al titolo manca un aggettivo: «fritta».” (Massimo Bertarelli, ‘Il Giornale’, 17 gennaio 2013)
3) Capisco che il “sessantotto” sia stata un epoca fortemente caratterizzata, nel bene e nel male, tant’è che pochi avrebbero trombonato di operazione-nostagia se si fosse trattato di un altro periodo storico, significando con questo che troppi si siedono a vedere un film per la prima volta con la critica già in tasca.
4) “Qualcosa nell’aria” non è la traduzione del titolo originale “Après mai”, allora perché partire dal titolo con cui il film è stato distribuito in Italia, di cui Assayas non è responsabile, per imbastire delle elucubrazioni sull’ Elio-pensiero? La risposta temo che sia quella di non risparmiare i colpi bassi, quando si è pregiudizialmente intenzionati a liquidare un’opera.
uhm, interessante.
avevo cominciato così un lungo post che rispondeva punto su punto “giocando a rimpiattino” con la nostra intelligenza. Se vuoi te la mando in privato… Ma preferisco chiederci se quello di Assayas, con Aprés mai, sia stato il miglior modo per ragionare sul reflusso di una stagione straordinaria (nel bene e nel male). Io l’ho trovato un film fatto molto bene, che affonda nei sentimenti con tenerezza. Ma vi ho anche letto una sorta di incapacità di elaborazione della “sconfitta” delle istanze di cambiamento, che non sono finite con il “maggio”, ma sono continuate nella vivacità e nella violenza dei ’70. Forse, e qui stava la mia critica buttata lì un po’ provocatoriamente, la distaccata, algida, eterea fanciulla, sogno di un ragazzo pieno di magagne, non è altro che il sogno infanto del “maggio francese”, un periodo che si è per molti nutrito di spirito borghese nel suo essere luce brillante che sfuma come una moda. Al di là di cosa sono stati quegli anni per molte persone, questo ho letto nel film di Assayas: la tristezza di un autore che si rende conto di essere stato superficiale ma non lo ammette, e si salva abbattendo su un’intera generazione l’accusa di riflusso individualistico. In questo mi ha deluso rispetto al suo primo film, che non sarà un capolavoro ma ha avuto il pregio di raccontare con partecipazione la pesantezza di un adolescenza che deve fare i conti anche con chi, dalla sua parte, ti capisce ma ti tira le orecchie verso un po’ di leggera normalità.
Magari ho preso fischi per fiaschi, o magari sono Bertarelli dietro un nick name, ma ci sono film che mi fanno tremare e altri che mi fanno arrabbiare. Aprés mai, con mia grande delusione, è più spostato tra questi ultimi.
Mi rendo conto che potremmo andare avanti all’infinito, ognuno sulle proprie posizioni, ma la sede che stiamo utilizzando pone dei limiti, ovvero il rischio di annoiare chi a certi discorsi non è giustamente interessato. Sono i limiti della tecnologia, che non potrà mai sostituire i rapporti diretti fra le persone. Comunque, a mio parere, essere sempre d’accordo non necessario. Il confronto, anche se aspro, può essere magari più utile, se ovviamente sussiste la buona fede degli interlocutori. Nel caso, buone vacanze.
Questa è una sede perfetta se entrambi avete voglia altrimenti scambiarci i numeri di telefono. .:-)
Intendevo solo dire che non mi piace essere troppo invadente, e soprattutto abusare della tua ospitabilità, invece va a finire che ti ho addirittura urtato. Comunque, buone vacanze Iper.
Non mi hai urtato per niente. Era solo per dire che mi fa molto piacere che ci siano questi scambi di idee e che se volete potete continuare all’infinito
Grazie iper, se non è questo il posto 🙂
Già, all’infinito, ognuno dietro la propria barricata. Non è mia intenzione. Anzi, quello che volevo col mio post precedente, era il tentativo di infrangere barricate mentali (le mie innanzitutto, dato che la mia compagna mi svelato pavoneggiarmi col rimpiattino) con una domanda. Assayas ragiona sulla fine di un periodo di lotta o si giustifica accusando un’intera generazione di chiusura nel solipsismo artistico? In una sua intervista ha detto che il ’68 ha avuto un sbocco estetico e non politico. Io invece credo che gli anni 60/70, e non solo il maggio (sic), abbiano avuto l’enorme esito politico di segnare la sconfitta delle istanze di cambiamento che sono state massacrate da una reazione tanto violenta che ci infanga ancora oggi (troppo lungo e decisamente ot proseguire la mia opinione in merito). Di estetico c’è stato, secondo me, solo il percorso artistico dell’intellettuale Assayas (riparato prima e riparato poi come molti “figlio di”) oggi attento osservatore delle sfumature del tempo, ma non del tutto capace di guardare quegli anni senza ipocrisia e costretto, appunto, in uno sguardo ‘estetizzante’ che di politico ha solo un carattere reazionario mostrando la sua sconfitta come la sconfitta di una generazione.
Concordo che essere troppo d’accordo possa portare solo all’imbarbarimento nel consenso e che la buona fede, la voglia effettiva di capire – non approvare – al di là dei limiti imposti dal tempo, dalla voglia, dalla tecnologia, le ragioni dell’altro, sia il primo passo per un dialogo non sterile.
Io sono d’accordo anche che bollare un film come quello con “roba da rincojoniti” sia semplicistico e volgarmente Bertarelliano, ma ancora vorrei cercare di aprire un corridoio per mostrarti la mia visione: il riflusso estetico dell’etica di un regista protetto come Assayas. Purtroppo il discorso si amplia fino a comprendere “cosa pensiamo di quegli anni”, io ho già sforato ma cercherei di evitare ulteriormente l’ot per rimanere sulla critica del film. Purtroppo2 io l’ho visto tempo fa e mi è impossibile fare un’analisi ponderata del suo lavoro. Comunque magari lo riguardo……
Per quanto mi riguarda, devo dire che con il mio primo commento intendevo parlare solo di cinema e, in tal senso, volevo rendere omaggio ad uno dei tanti autori che stimo. Potevo, quindi, fare delle considerazioni sull’opera di Assayas, come viceversa potevo farle su quelle di Reisz, visto che si tratta forse del meno invecchiato (artisticamente) degli esponenti del Free cinema. Ma le cose a volte prendono una strana piega e sono finito, senza volerlo in una diatriba che francamente adesso mi lascia piuttosto obnubilato. Infatti, più che di cinema, mi sembra che si sia finiti col psicanalizzare Assayas, facendo un processo alle sue intenzioni politoco-artistiche, che col suo film proprio non c’entrano niente, o, addirittura, si è finiti col psicanalizzare un’intera generazione. Ripeto: ogni autore è autobiografico, nel senso che la sua opera non può che riflettere le sue esperienze di vita, ma nel contempo non è autobiografico, perché deve essere emblematico, cioè andare al di là di un tempo e di un luogo specifico, per farsi universale. E’ su questo che si misura principalmente la riuscita di un’opera (oltre al contenuto c’è però anche un livello tecnico-formale che bisognerebbe considerare). Per me Assayas questo è riuscito a farlo, per altri forse no, ma allora perché usare espedienti retorici, invocando la sua intenzione “inconscia” di fare un’operazione nostalgica o da reduce. Tutto questo succede (e anche qui devo ripetermi) perché Assayas ha avuto la ventura di parlare di un periodo storico ancora capace di suscitare forti contrasti di natura politico-sociale, nonostante l’enorme tempo trascorso, in tal senso parlare di sconfitte individuali e sconfitte generazionali vuol dire solamente sconfinare in un’analisi sociologica raffazzonata, che però non ha niente a che vedere col film in questione. A questo punto può sembrare che mi sia voluto trincerare solo sul discorso cinema, ma assicuro che così non è, perché di quegl’anni posso tranquillamente parlarne, a patto che sia chiaro che si tratti di un altro cosa.
Sono d’accordo sull’obnublilamento. Tanto che leggo pochi passi avanti e qualcuno indietro.
La critica per me è discorso generale, talvolta anche generico visto che in questo caso si tratta di opinioni da blog privato, allo scopo è parlare delle emozioni, delle idee, delle impressioni che mi ha lasciato un film. Quello che ho visto, quello che ho provato, quello che vi ho letto, ho cercato di dirlo. Non volevo fare processi né psicanalizzare nessuno. Quel film non mi ha coinvolto completamente perché ho letto (in una totale incomprensione?) l’esperienza personale di un regista (la parte autobiografica) messa in scena come un romanzo di formazione generazionale (e qui l’intenzione, a mio parere riuscita, di farne un emblema) per offrire un commento artistico e politico sul “sessantotto”. Questo risultato generale, secondo me, è la parte debole del film.
Si di obnubilamento si tratta, dovuto a chi è solo interessato a sollevare un’inutile polverone per mettersi in mostra, parlando di tutto per non dire niente su un film che probabilmente non ha visto. Quello che ha visto, infatti, deve essere stato un documentario fatto da Storace sul sessantotto, mandato in onda dalla RAI quando l’ex MSI aveva influenza nel suo Consiglio di amministrazione. Del resto, non posso credere che una persona intelligente vada ad assistere ad un’opera lirica accorgendosi solo dello sfondo di scena, senza tener conto della musica e dei cantanti.
Ma come si può permettere uno di rilasciare patenti di passi in avanti e di passi all’indietro, quando blatera su un periodo di cui non ha esperienza diretta, di cui tuttalpiù ha avuto solo sentore guardando la Tv o per aver letto qualche rivista dal barbiere. Non è certamente un merito, ma almeno io, essendo della generazione di Assayas, del sessantotto (o meglio degli “anni di piombo”) dovrei saperne qualcosa, visto anche che negli anni settanta mi sono laureato alla Statale di Milano, che non era certo un luogo periferico del “Movimento studentesco”.
Prima che mi passi l’incazzatura, vorrei chiedere a Iper se adesso è contento della piega degli eventi.
Non sto leggendo i commenti… sbrigatevela da soli
Non devo sbrigarmela con nessuno e non ti ho chiesto certo di prendere posizione.
E quindi cosa vuoi?
Non voglio proprio niente. Ti avevo fatto una semplice domanda, visto che eri intervenuto.
Un tempo su questo blog mi hai spronato a intervenire. Ora che l’ho fatto e non siamo d’accordo su un film, che smuove il passato e quindi il presente, ti incazzi. Mi sa che eviterò in futuro. O almeno mi preparerò alle tue sfuriate.
Eri partito molto lucidamente, poi hai sentito qualcosa che non ti andava, e a mio parere hai preso fischi per fiaschi con il bruciore acceso sulle ferite del passato, e hai sbroccato.
Mi spiace averti fatto arrabbiare. Ma certo, con chi ha la patente del “sessantotto”, e anche sul commento dei film sul “sessantotto”, non posso nulla. Io non capisco un cazzo.
Torno nel mio brodo o almeno a parlare con chi riesce ad abbattere qualche parete. Così magari imparerò qualcosa sul perché i reazionari ci stanno facendo il culo da 40 anni.
Parlatevi e chiaritevi, io non ho voglia di leggere tutto il thread. Prima di litigare e incazzarsi consiglio di calcolare che siete gli unici due che scrivono costantemente sul questo blog e mi dispiacerebbe molto perdere uno dei due. Anche perché avete la stessa passione. . Cosa rara
Anche in questo intervento non ti accorgi di usare un intollerabile tono paternalistico, rilasciando patenti e attestati, dando voti su questo o su quello, ma in base a quale autorità?Visto che ti interessa il sessantotto, allora almeno dovresti sapere che in quell’epoca una delle parole d’ordine era quella di combattere gente come te.
La tecnologia non aiuta e mi spiace. Il mio tono arrogante nemmeno. Avevo semplicemente letto in “almeno io, essendo della generazione di Assayas, del sessantotto (o meglio degli “anni di piombo”) dovrei saperne qualcosa” una frase di chi si arroga il diritto di parlare con più cognizione di causa di qualcosa. E il mio commento è stato: cosa ci posso fare io che sono nato dopo? Anche questo ragionamento non ha avuto lo sbocco che cercava ma è stato accusato per i toni intollerabili. Credo quindi che, ormai, qualunque cosa io dica la prenderai come un attacco, e non vedo sinceramente come evitarlo, tanto più che non corrisponde a quello che voglio esprimere. Con ciò saluto questo, davvero interessante, scambio di post, sperando di ritrovarci in altri luoghi di Vintagemovies. Se credi invece ci sia spazio di comprensione fammelo sapere, non è mia intenzione fuggire dalla nave che affonda.
Senza rancore e felice di aver litigato per qualcosa a cui tengo: esprimermi liberamente, farmi capire, lanciare qualche pietra, infrangere barriere. Le mie prima di tutto, che sono le più alte essendo le più nascoste, quelle che mi fanno provocare senza pensar tanto alle reazioni, che mi fanno scrivere più per rabbia che per voglia di comprendere. Comunque, in conclusione, mi sembra che quello a cui teniamo non sia così infinitamente distante. Alla prossima!