Un film di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia Forte. Drammatico, durata 150 min. – Italia, Francia 2013. – Medusa uscita martedì 21 maggio 2013. MYMONETRO La grande bellezza valutazione media: 3,45 su 223 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Jep Gambardella, giornalista napoletano da tempo trasferito a Roma, uomo di successo disilluso, che non ha più scritto libri dopo l’apprezzato L’apparato umano , festeggia i 65 anni con un grande party, però i frequentatori sembrano la parodia di loro stessi: affacciati su una Roma magnifica e decadente, intenti a parlare girando a vuoto. Romano, drammaturgo frustrato e cavalier servente di donne che ne approfittano; Lello produttore di giocattoli, erotomane inguaribile, sposato con Trumeau; la ricca Viola, segnata dalla follia del figlio; Dadina, la nana capo del giornale per cui Jep lavora; Stefania, scrittrice con appoggi politici, cui si aggiunge Ramona, spogliarellista non più giovane, un po’ rifatta fuori, ma intatta dentro. La lingua biforcuta di Jep infilza tutti con velocità e precisione, mentre ci si trascina tardamente tra brusio e pettegolezzo in una Roma caput mundi che non si è accorta che il mondo è molto degradato e che la testa puzza. Sorrentino ripercorre La dolce vita 50 anni dopo (molti sono gli spunti ripresi dal film di Fellini), ma questo non è un momento epocale, i quadri che Sorrentino compone sono disomogenei, talvolta sono piccoli capolavori (la pennellata dell’incontro notturno con Fanny Ardant). Altri sembrano solo pittoreschi (il cardinale cuoco, gli artisti performanti). Funzionano meglio i dialoghi. Distribuito da Medusa. Oscar come miglior film straniero nel 2014.
« Il Gattopardo – Criterion Collection – bdrip 720p h264 ita Magnolia – bdrip 720p h264 ita/eng subita/eng »
Due sono, a mio parere, i giovani registi che fanno ben sperare nel cinema italiano contemporaneo: l’uno è Matteo Garrone, l’altro è Paolo Sorrentino. Mentre il primo, sempre a mio parere, ha confermato nelle sue ultime quattro realizzazioni tutto il suo grande talento, il secondo credo che sia molto più difficile decifrarlo. La cifra stilistica di Sorrentino, infatti, pare piuttosto ancora “work in progress”, intenta a raccontare l’attuale squallore in cui viviamo, ma in forma sperimentale, surreale e tale da essere, a volte, sostanzialmente solo compiaciuta e di maniera. “La grande bellezza” sembra non smentire queste impressioni, cioè di un film dalle immagini rutilanti, di rara bellezza, ma sfuggente nella sua natura più intrinseca (almeno ad una prima lettura). Dunque, virtuosismi con la macchina da presa, attori molto bravi e magistralmente utilizzati, citazioni letterarie a volontà, ma il dubbio dell’autocompiacimento, del predicatorio, della ricercatezza superflua, purtroppo resta. Aggiungo, a scanso di equivoci, che invece “Il Divo” è un film del tutto riuscito, ma per ora rimango nel dubbio che sia la classica eccezione che conferma la regola.
Sono d’accordo con il commento di Papini, anche se credo che il film di Sorrentino – non solo questo – sia sempre da leggere nell’immediato: la musica, la scena, la foto, il personaggio. Insomma per dire che si riesce tranquillamente a non aspettarsi un inizio e una fine, spesso è tutto da vedere dimenticandosi della trama… non so se mi sono spiegato, è godibile in tutto il suo sviluppo
citazione: “…ma il dubbio dell’autocompiacimento, del predicatorio, della ricercatezza superflua, purtroppo resta…”
forse questo è voluto, molti dei personaggi hanno gli stessi “difetti”
A momenti sembra quasi che Sorrentino si diverta a mettere volutamente in difficoltà lo spettatore, e alcune volte usa sapientemente anche la musica per creare ambientazioni ma anche dissonanze, anche se nei suoi film narra sempre storie e personaggi incredibilmente veri , contemporani, con una chiave personale molto molto realistica.
Bene adesso per chi non l’ha visto è l’ora di “Le conseguenze dell’amore”. Mi raccomando vediamolo . Posso fare qualcosa per metterlo in archivio, ciao
L’aver commentato Sorrentino per me significa affrontare un regista che in ogni caso merita che se ne parli (anzi, come ho detto, confido molto nel suo indubbio talento). Non mi spiacerebbe affatto, pertanto, se le mie impressioni sul suo ultimo film dovessero, ad una seconda lettura, rivelarsi troppo affrettate (magari tenendo conto anche delle osservazioni interessanti di gipilui). L’accenno, però, di gipilui sul film “Le conseguenze dell’amore” mi da l’opportunità di chiarire meglio, forse, quello che intendevo dire. Mi soffermerei, quindi, su due lunghe sequenze di questo film. Entrambe le sequenze riguardano la malavita organizzata che prima “processa” e poi “condanna” il protagonista, perché non restituisce il denaro che le è stato sottratto. La teatralità, in entrambi i casi, mi sembra del tutto evidente: nel processo risulta troppo ricercata, voluta e artificiosa, nella condanna la trovata della gru potrebbe ritenersi un po’ troppo sfruttata (si pensi a Kitano e al suo film “Sonatine”). C’è una teatralità, insomma, solo per dimostrare la propria bravura, oppure la potenza drammatica e shakespeariana del “ Il padrino: Parte II” di Coppola, per non parlare poi di “Gomorra” di Garrone, in cui la malavita organizzata è raccontata in modo essenziale, senza fronzoli ed effetti inutili.
Sorrentino è incredibilmente bravo, e ha indubbiamente collaboratori altrettanto dotati, in primis nella fotografia e scenografia. E’ un film questo che ho visto ieri per la prima volta ma stasera ho voglia di rivederlo. Quello che cercavo ieri sera era una trama, che non ho trovato alla fine, e questo mi ha distratto da una buona parte di inquadrature meravigliose. Questo per dire che Sorrentino è cosi, con lui va guardato il fotogramma e non l’insieme se lo si vuole apprezzare ma allo stesso tempo è l’insieme che permette di capire il fotogramma.
Forse il paragone è azzardato, anzi sicuramente lo è, ma ho rivisto in questo film l’intenzione di non dire nulla o comunque di lasciare allo spettatore la voglia di capire quello che lui voleva dire, che anche Stanley Kubrick ha avuto in 2001 Odissea nello Spazio. Mi ricorda anche la regia astratta e psicadelica in alcuni punti di Twin Peaks.
Ps Virginio, ho paura del tuo commento al mio commento…vacci piano!!:-)
Se un autore come Sorrentino non lascia indifferenti, se suscita emozioni, in ogni caso può ritenersi soddisfatto. Che ognuno, poi, abbia una propria sensibilità critica è persino banale dirlo. E’ però anche indubbio che vi siano dei parametri “oggettivi”, ai quali non si può sfuggire, quelli che, soprattutto nel tempo, fanno dire se un’opera cinematografica è più o meno riuscita, proprio come per un quadro, una scultura, un brano musicale, ecc. Essenzialmente, quindi, è il tempo che saprà dirci se i nostri spunti di riflessione siano stati abbastanza lungimiranti da resistere alla sua impietosa e spassionata opera (personalmente spero solo che i miei tre commenti su Sorrentino reggano almeno qualche giorno!!).
sono talmente in un altro mondo che mi sono perso questo bello scambio.
Sono molto d’accordo sull’indubbia maestria di Sorrentino nel gestire gli attori, la macchina da presa, il senso della scena e ciò che quella scena necessita per rendere al meglio “l’impatto cinematografico” (l’inquadratura come si è detto sopra). Ma sono anche convinto di quello che dice papinivirginio. E cioé che la potenza delle immagini, anche se non credo si tratti solo di autocompiacimento, sia un virtuosismo solo estetico (nel senso di solo ‘immagine’ appunto) e non spinto da una necessità espressiva. La sua mi pare una scelta di stupire più che di mostrare entrando nella carne della storia.
Quello che mi ha lasciato La grande bellezza è la conferma di questa sensazione che ho provato negli altri suoi film. Una grande forza cinematografica, visiva e ritmica (con tutto quello che ne compete a ricaduta sugli altri campi della pratica cinematografica che non sono solo la regia pura), ma una certa vacuità, nell’alternanza di violenza e compassione della condanna del bel mondo romano, che mi si è tradotta in “ma che mi vuoi dire?”
Più che il grande dubbio sull’esistenza e il futuro dell’umanità, incrisalidato nel bambino spaziale di 2001, ci vedo un po’ più di ‘cattiva coscienza’.
Osando un commento dal carattere un po’ psicanalitico (come mia cattiva abitudine 🙂 Quello che mi ha lasciato il film è una grande esperienza visiva, atta a giustificare l’indulgenza nella condanna di un jet set che in parte sostiene e che lo sostiene.
La grande bellezza di Roma città eterna, che si disfa sotto i nostri occhi, e la grande bellezza di quel mondo di lacché e puttane, che però ci fa vivere e ci ospita sui suoi giornali.
Dire che il cinema di Sorrentino comporti dell’“autocompiacimento”, è senz’altro eccessivo. Si è trattato, però, solo di un segnale forte, da me utilizzato per rilevare la ricerca di un “nuovo” linguaggio cinematografico da parte del regista. Consapevole di questo possibile fraintendimento, ho cercato di spiegarmi meglio in un ulteriore intervento nell’ambito del film “This must be the Place” (commento colpevolmente troppo prolisso per invogliare a leggerlo). Rimando, comunque, a questo mio intervento per un possibile equivoco: quello di pensare che l’ermetismo, l’esoterismo e il carattere criptico di alcuni films di Kubrick (“2001: Odissea nello spazio”, ma anche “Eyes Wide Shut”) o di Lynch (“L’impero della mente” o “Mulholland Drive”) abbia qualcosa a che fare con la “voluta” mancanza di senso, di significato del cinema di Sorrentino. Nel primo caso, infatti, siamo pur sempre nel “cinema classico”, verso il quale a volte è necessario fare uno sforzo di esegesi per decifrare quello che il regista ha voluto dire o,magari, lasciato di proposito alla libera interpretazione dello spettatore. Nel secondo caso, viceversa, si tratta di un modo più o meno riuscito di fare un “nuovo cinema”, dove la scelta è puramente estetica e di stile, per cui alla parola/significato si deve sostituire una pura immagine/visione. Sorrentino, come ho già cercato di dire, sembra voler affermare che nel mondo attuale, privo di senso, anche l’unico significato del cinema è quello di non avere senso.
Interessante l’analisi della ricerca di Sorrentino. Credo anch’io lui sia uno sperimentatore, uno che cerca soluzioni alternative per raccontare un mondo. Vorrei porre l’attenzione sullo sceneggiatore, Umberto Contarello, che ha scritto con Sorrentino i due ultimi film. Ho avuto l’occasione di incontrarlo e conosco la sua passione per le non storie, per le piccole scoperte, per il quotidiano rivelatore (nonostante molti film che ha scritto in passato)… Devo dire che dal punto di vista della ‘trama’ mi pare si possa notare negli ultimi due film di Sorrentino un distacco da una storia forte o un mondo forte, verso una specie di astrazione (anche visiva come diceva ipersphera) su roma o su una ex rock star, per indagare delle derive, delle consonanze più che relazioni e dei fatti. Non so, forse sono solo distratto dal nome dello sceneggiatore, ma questa è un po’ l’impressione che ho avuto con entrambi i film, mi hanno lasciato un po’ vuoto. Astrai dalla storia, astrai dal senso/significato/messaggio, astrai l’esperienza filmica…. ok sperimenti. Ma cosa mi lasci?
Sono quindi anche d’accordo sulla chiusa di papinivirginio nel commento a This is the place. Il rischio del percorso di Sorrentino e anche per me quello di perdersi nell’estetismo, quando manca la ‘sintesi’.
Poi è interessante molto anche la distinzione tra classico e moderno, che mi pare vicina a Deleuze, anche se ricordo poco i suoi libri e personalmente ho fatto sempre un po’ fatica a distinguere con sicurezza. Perché dici che “Mulholland Drive” si rifà al cinema classico? Non è legato ai generi degli studios hollywoodiani, non ha una narrazione piana e lineare, il campo contro campo è sbranato dai piani sequenza, la voce è spesso dissociata dal video… In che senso dici che è classico? Perché non è senza senso come sorrentino? 😀
Evidentemente un semplice intervento non può essere articolato come un trattato. Allora bisogna cercare dei contenitori norma/tipo per esemplificare, usando l’accetta. Che Lynch, ma anche Kubrick, non siano facilmente etichettabili mi sembra scontato, quello che mi premeva era menzionare un cinema che pur nella sua complessità, originalità e di impatto disorientante, fosse comunque decifrabile con un approfondimento (mi sembrava davvero che non ci potessero essere dubbi su questo). Per dirla tutta, ho menzionato Kubrick e Lynch anche perché Iper lo aveva già fatto nel suo commento. L’intervento di Iper, infatti, come del resto quelli di Gipilui e Kiokok, sono senz’altro pertinenti (l’accenno a Deleuze/Guattari, per esempio, lo trovo più che appropriato). 😀