di Dusan Makavejev, con Milena Dravic, Ivica Vidovic, Jagoda Kaloper, Tuli Kupferberg (Jugoslavia1971)

La liberazione sessuale che era alla base delle teorie di Wilhelm Reich (allievo di Freud, tedesco e comunista, emigrato negli Stati Uniti, accusato di eresie scientifiche e di perversione morale fino all’imprigionamento ed dalla distruzione delle sue opere con il fuoco) serve al regista jugoslavo Dusan Makevejev per un parallelo, audace, insolito e per nulla gratuito, con il fascismo in tutte le sue forme e origini, il feticismo, il culto della personalità, l’oscurantismo.

Reich diceva, tra l’altro che la repressione sessuale può condurre a delle forme di violenza fascista. Makevejev riprende, quarant’anni dopo e con un linguaggio nuovo, lo stesso discorso. Partendo da uno schema egli ha fatto il film meno schematico fra quelli prodotti nei paesi dell’Est negli ultimi anni. Un film, anzi, sorprendentemente insolito e liberatore; un happening cinematografico di una fantasia spregiudicata, nel quale alterna via via la cronaca documentaristica al cinema verità alla Warhol, il lirismo poetico alla fanta-politica, lo psico-dramma all’erotismo. Makevejev non crede ai toni gravi per discutere gli argomenti gravi: e la sua opera è infatti un irrefrenabile inno di gioia, un piacere incontenibile di fare del cinema, di abbandonarsi ad un discorso scorrevole e disinvolto anche se si parla di repressione, di Stalin e di fascismo.

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