Regia di Aleksey German. Un film Da vedere 2013 con Leonid Yarmolnik, Dmitriy Vladimirov, Laura Lauri, Aleksandr Ilin, Yuriy Tsurilo. Cast completo Titolo originale: Trudno byt bogom. Genere Fantascienza – Russia, 2013, durata 170 minuti. Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni.
Rumata è uno scienziato inviato sul pianeta Arkanar per aiutare la sua civiltà nel processo evolutivo. Quel mondo è nel pieno dell’età medievale e, diviso tra il dover intervenire in qualche maniera e il non poter uccidere o compiere gesti troppo eclatanti, Rumata si sente come un Dio, incaricato di migliorare un popolo intero con tutte le difficoltà del caso.
Esplorando, muovendosi e camminando di borgo in borgo lo scienziato tenterà di salvare gli intellettuali come risorsa per superare la fase medievale, ma l’impresa si rivelerà decisamente più ardua del previsto.
Un film dotato delle proporzioni di un kolossal. Per quasi tre ore la steadycam accompagna i protagonisti nell’esplorazione di un vero e proprio mondo, senza mai passare due volte negli stessi luoghi, in un tripudio di dettagli di scenografia, comparse, animali, fango, pioggia, escrementi ed elementi naturali che, nel cinema del regista russo, sembrano contare tanto quanto le comparse umane. In questo senso È difficile essere un Dio prosegue il discorso iniziato con la messa in scena caotica di Khrustalyov, mashinu! ma asciugando il tono da ogni traccia di grottesco.
Questo regista-esploratore abituato ad ambientare le sue storie piccoli microcosmi, questa volta esagera e si muove in set che sembrano non finire mai, rifiutando l’ondivago movimento poetico della videocamera del Faust di Sokurov (altro film russo di questi ultimi anni che pare fondato sull’esplorazione degli scenari) ma immergendosi nel fango e nella materia fecale di continuo, quasi come accadeva in Proverka na dorogakh con la neve. E proprio in questo abitare i suoi stessi scenari con sguardo vergine, come se non li conoscesse, sta il pregio maggiore di un film che accumula una quantità tale di dettagli ed elementi sempre diversi, posti a pochissimi metri dall’obiettivo, da saturare la visione alla ricerca di una vertigine “quantitativa” nello spettatore che non tarda ad arrivare.
La storia come sempre appare marginale, un mero pretesto per scatenare l’esplorazione e per potersi muovere nei maestosi esterni (in German è talmente forte la passione per le riprese all’aria aperta che anche gli interni sembrano ripresi come fossero esterni). La fantascienza suggerita dalla trama non si ritrova minimamente nel film, come del resto nemmeno il discorso teologico, paiono lontante anche le vaghe notazioni di genere che comparivano di tanto in tanto in My Friend Ivan Lapshin, e sono semmai gli elementi più bassi, triviali e duri della vita e anche dell’umanità come la conosciamo (incapace di riconoscere e apprezzare nulla di “alto”) a dominare ogni momento di ogni immagine.
Anche per questo in È difficile essere un Dio più che mai pare che il contesto sia nettamente più importante dei personaggi che lo abitano, perchè il vero Dio, alla fine, è proprio il regista, demiurgo e creatore di set dotati di un livello di precisione e di dettaglio ben superiore alla realtà che conosciamo, un mondo in cui come sempre nel cinema tutto risponde ai suoi comandi (dal meteo fino alle infinite comparse, dagli animali agli oggetti che cadono) ma che per proporzioni scavalca ogni altro epigono possibile.
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