Un film di Zhang Yimou, Yang Fengliang. Con Gong Li, Li Boatian, Wei Li, Li Baotian, Zhang Yi, Li Wei, Zhen Ji-an Yang Drammatico, durata 95′ min. – Cina 1990. MYMONETRO Ju Dou valutazione media: 3,54 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dal racconto Fuxi Fuxi di Liu Heng. Cina, anni ’20. Ju Dou (Gong), bella e giovane contadina, è comperata in sposa dall’anziano Jin-Shan (Wei), proprietario di una tintoria, che spera, benché semimpotente, di avere da lei un erede. Maltrattata dal dispotico consorte, s’innamora del giovane nipote che lavora come garzone per lo zio. Nasce un bambino, ma il vecchio rimane paralizzato e i due amanti decidono di eliminarlo. Cresciuto, il bambino muto si trasforma in uno spietato “angelo della morte”. È lui il vero motore dell’azione sul versante nero di questo melodramma rusticano con risvolti sociali e grotteschi passaggi da horror. Dal décor della tintoria all’impiego creativo della luce e del colore (giallo e rosso specialmente), usati per suggerire la tragica energia della vicenda e dei personaggi, tutto è di un’ammirevole coesione narrativa. Il coregista è un funzionario del ministero della Cultura, messo al fianco di Yimou come inutile garante dell’ortodossia di un film che, postprodotto a Tokyo, non fu mai distribuito in Cina.
Lu Yanshi è un oppositore del sistema negli anni della rivoluzione culturale, per questo è perseguitato e deve nascondersi dalla sua stessa famiglia. Intenzionato a rivedere la moglie di cui è innamorato una notte ritorna a casa ma la figlia (plagiata dai ricatti della compagnia di ballo nella quale danza e che le ha negato un ruolo da protagonista proprio per il fatto di avere un padre dissidente) decide di tradirlo. Così il giorno dopo agenti governativi lo catturano alla stazione proprio mentre la moglie sta per avvertirlo.
Possente, iperrealista, figurativo, saturo di colori. Hero, recentemente tornato a mani vuote dagli Oscar, è il personalissimo omaggio di Zhang Yimou al genere wuxapian.La storia, ambientata nella Cina di 2000 anni fa, divisa in sette regni, racconta delle gesta di Senzanome, interpretato da un Jet Li finalmente convincente dopo una troppo lunga serie di ottusi film americani. L’eroe del titolo che, tramite flashback, racconta al re di Qin, futuro imperatore, come sia riuscito a sgominare i sicari che lo stesso re gli aveva sguinzagliato contro: Spada spezzata, Neve volante e Cielo (traduzione letterale).Se La Tigre e il Dragone aveva stupito molti per la bellezza coreografica dei combattimenti, Hero ridefinisce uno standard per questo tipo di produzioni: le sfide tra gli eroi sono vere e proprie danze con i contendenti immersi in scenari favolistici. Ogni battaglia ha un suo stile preciso ed un suo colore dominante. L’attenzione che il regista pone al particolare è maniacale: alcune scene sono persin soffocanti per un gusto che eccede spesso nel barocco come la sequenza iniziale col combattimento “acquoso” tra Li e Leung e quello tra le prime donne Ziyi e Cheung immerso in una pioggia di foglie dorate. Difficile descrivere a parole la leggerezza, la soavità ed al tempo stesso la violenza e la asprezza delle battaglie di gruppo che, per maestosità e pathos, superano anche l’assedio al fosso di helm d Il signore degli anelli.Tutto in Hero è ridondante: le scenografie, i costumi, la musica. I colori, sempre importanti nella filmografia del regista, qui diventano veri e propri protagonisti al pari degli attori.Gli interpeti sono fenomenali ed il cast di all-stars mantiene le promesse. Oltre al tonico Jet Li completano il quadro Maggie Chung,Donnie Yen, Zhang Ziyi e Tony Leung: praticamente il meglio del cinema made in Hong Kong contemporaneo. Esercizio di stile o nuovo capolavoro del regista? Indubbiamente non è un film per tutti ed il ritmo sincopato del film non aiuta la “digeribilità” dello stesso da parte dei non appassionati del genere. Alcune sequenze sono talmente esagerate da apparire paradossali e dietro l’angolo c’è sempre il rischio del comico involontario. Ma proprio l’esagerazione consapevole, il non voler utilizzare semitoni e l’acuta analisi che svolgono, in maniera diversa, i protagonisti sulla guerra e sul ruolo “pacificatorio” che la stessa può avere (temi drammaticamente attuali) rendono Hero un’esperienza indimenticabile.
Un film di Zhang Yimou. Con Gong Li, Wen Jiang Titolo originale Hong Gaoliang. Drammatico, durata 100′ min. – Cina . MYMONETRO Sorgo rosso valutazione media: 3,13 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Giovane povera è costretta a sposare un ricco e anziano distillatore affetto da lebbra. Dopo la morte violenta del marito, si risposa con un lavoratore che si comporta da prode quando negli anni ’30 i giapponesi invadono la Manciuria. Opera prima di un ex operatore e attore, vinse l’Orso d’oro a Berlino ’88. Sinfonia in rosso maggiore, è una saga campestre _ raffinata e insieme ingenua _ in cui la vita contadina ha scarti di violenza e risvolti avventurosi. Dalle prime 2 delle 5 parti del romanzo Hong gaoliang jiazu (1988) di Mo Yan che l’ha sceneggiato. Yimou s’impose a livello internazionale con i successivi Ju Dou, Lanterne rosse e La storia di Qiu Ju.
Si tratta del primo film di Ymou ambientato al presente e senza la compagna Gong Li. Girato con la macchina da presa a mano mette in primo piano il bisogno del regista di rinnovarsi e di sperimentare. La storia è molto semplice, di sapore pirandelliano. Xiao Shuai è innamorato di una ragazza che ha rapporti con un riccone molto potente. Un giorno viene picchiato dagli scagnozzi del rivale. Durante il pestaggio il computer portatile di un passante viene rotto e questi vuole il risarcimento da Xiao Shuai. Lui invece vuole tagliare la mano del riccone e così si arma di mannaia. Grande ironia e qualche risata.
Una maestrina (con o senza la penna rossa) va in cerca della pecorella smarrita, lo scolaretto scomparso dalla sua classe. La classe di Yimou non è acqua, anche con un soggetto deamicisiano. Uno di quei film fatti apposta per vincere il Leone a Venezia. Cosa che si è puntualmente verificata. Dalle opere in costume, Lanterne rosse, ai soggetti contemporanei, lo stile perde un po’.
Moglie incinta di un contadino, colpito da un calcio al basso ventre durante una lite con il capo del villaggio, insoddisfatta della troppo mite sentenza locale, va in città a reclamare giustizia e scuse ufficiali. 5° film del talentoso Z. Yimou, tratto da un romanzo di Chen Yuan Bin, sembra _ ma non lo è _ più allineato dei precedenti. L’aneddoto esile, ma robusto come uno spago, serve a raccontare la Cina d’oggi in immagini chiare e distinte, cariche di emozione con la sordina. Leone d’oro a Venezia 1992 con premio a G. Li (1965) il cui incanto di artigliata dolcezza è soffocato da panni pesanti. Scoperto soltanto il volto che è una finestra sul mondo.
In un piccolo villaggio sui monti del Passo Jiayu vivono il vecchio e avaro Wang (proprietario di un negozio di spaghetti cinesi), la sua giovane moglie che ama il suo dipendente e due servi. Un giorno arriva una carovana di mercanti persiani e la donna compra un’arma nuovissima: una pistola. Solo con quella potrà liberarsi del depravato marito. Wang viene però informato dell’acquisto dell’arma e dell’adulterio. Decide allora di assoldare un killer: il poliziotto Zhang. Il quale si mette subito all’opera per incassare la ricca somma che gli è stata promessa.
Luo Yusheng ritorna al villaggio natale nel nord della Cina, per l’improvvisa morte del padre avvenuta durante la sua permanenza in città. Lo zio e il capo del villaggio lo informano delle ultime volontà del padre e dei funerali che dovranno essere celebrati, secondo la madre, osservando le antiche tradizioni rituali: la donna affranta da quella perdita desidera che il marito venga ricondotto a “braccio” sulla strada verso casa e che un drappo tessuto di sua mano ne avvolga le spoglia. A Luo tutto questo sembra, in principio, irragionevole, ma la memoria dell’amore straordinario che unì indissolubilmente la madre e il padre lo convincerà a raccontarla e a onorarla come si onora un “testamento”. E così se il presente si scolora in un bianco e nero raffreddato dalla neve, il passato si dipinge dei colori dell’amore. E nella lunga “strada verso casa” la storia individuale di due maestri diventa la Storia di un popolo che può pensare il futuro solo celebrando il passato. Allora il regista reintegra ciò che la Rivoluzione culturale aveva “ricordato” di dimenticare: la Tradizione e l’Individualità.
C’era una volta, nella Cina del decimo secolo, la grande dinastia dei Tang. Nella città imperiale lo sfarzo e la ricchezza si respirano in ogni dove. L’imperatore, l’imperatrice e i loro figli sono serviti e riveriti da uno stuolo di servitori adoranti. Ogni minima azione quotidiana avviene nel rigore e nel rispetto di rituali millenari, nella magnificenza quasi surreale di un mondo estetizzato e dorato. Ma, come in ogni famiglia e favola che si rispettino, il male, il segreto, l’intrigo sono dietro l’angolo. La famiglia imperiale nasconde segreti inconfessabili fino al giorno in cui, durante la festa del Chong Yang, la festa dei crisantemi legata alla famiglia e alla sua solidità, ogni minimo intreccio verrà disvelato.
Un film di Zhang Yimou. Con Gong Li, He Caifei, Cao Cuifeng, Jin Shuyuan Titolo originale Dahong Denglong Gaogao Gua. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 126′ min. – Cina 1991. MYMONETRO Lanterne rosse valutazione media: 4,21 su 19 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Tratto dal romanzo Mogli e concubine di Su Tong, ambientato nella Cina del Nord dei primi anni ’20, è la storia di una studentessa povera che interrompe gli studi per diventare la quarta moglie, dunque concubina, di un ricco signorotto. Situata in un bellissimo edificio di articolata struttura architettonica, è una dolente sinfonia in rosso minore sulla condizione femminile, il rapporto dei sessi, le logiche del potere dove lo splendore formale si coniuga col rigore morale e l’asciuttezza narrativa. Leone d’argento a Venezia, non distribuito nella Cina Popolare.
Wuxiapian è un termine che ultimamente sta tornando di moda e dopo aver visto La Foresta dei Pugnali che Volano non si fatica certo a capirne il motivo. Zhang Yimou, dopo il superbo Hero, propone un’altra opera sospesa nel tempo e avvolta in un impalpabile velo di poesia. Siamo nell’859 D.C., la dinastia regnante dei Tang è in declino. Numerosi gruppi rivoluzionari caldeggiano nell’oscurità la caduta delle forze imperiali, ritenute responsabili per la decadenza morale che affligge il paese. Una danzatrice cieca è sospettata di appartenere al pericoloso clan chiamato “la casa dei pugnali volanti”: due ufficiali dell’esercito tenteranno di far uscire allo scoperto gli alti vertici della fazione fuorilegge usando la ragazza come esca, ma l’amore giocherà loro dei brutti scherzi
1937, seconda guerra sino-giapponese, assedio di Nanchino. Un becchino chiamato a seppellire il prete di una chiesa cattolica, scopre una volta arrivato a destinazione che il cadavere non c’è più. In cerca del denaro che avrebbe ricevuto e stimolato dal pericolo della guerra ne assume il ruolo. Nella chiesa, oltre alle 13enni studentesse del collegio irrompono anche altrettante prostitute in cerca di un nascondiglio. Nessuno è intenzionato ad aiutare l’altro ma tutti dovranno darsi una mano.
Nella Shangai degli anni Trenta il quattordicenne Shuisheng si mette al servizio della donna di un grande boss. Ben presto è completamente coinvolto nelle fortune e sfortune del “capomafia”.
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