Direttore d’orchestra gelosissimo si convince dell’infedeltà della moglie e immagina di vendicarsi uccidendola e facendo ricadere la colpa sull’amante presunto. Rifacimento riduttivo di Infedelmente tua (1948), è una storia di equivoci, ricca d’invenzioni e di lazzi, che conserva un po’ del fascino originale. Il punto di forza è l’interpretazione di Moore.
Tokyo, oggi. Hirayama è un sessantenne giapponese che pulisce i bagni pubblici della città con attenzione meticolosa ai dettagli e dedizione certosina al suo lavoro. Ogni giorno segue la stessa routine: un’attenta pulizia personale prima e dopo quella dei bagni altrui, un’innaffiata alle piante che ha salvato dalla disattenzione cittadina, un panino al parco all’ora di pranzo. Lungo il suo percorso talvolta si ferma a osservare le piante che lo sovrastano scattando foto alle chiome, o fa uno spuntino presso qualche tavola calda. E ogni tanto fa qualche incontro: con Takashi, il ragazzo che rileva il turno pomeridiano di pulizia dei bagni, con una ragazza al parco, con un senzatetto scollato dalla realtà, con la proprietaria di un ristorante che gli riserva piccoli trattamenti di favore. E quando sale a bordo del suo furgone ascolta Lou Reed (con e senza i Velvet Underground) e Patti Smith, The Animals e Van Morrison, Otis Redding a Nina Simone, così come quando è a casa legge William Faulkner e Patricia Highsmith, ma anche la “sottovalutata” Aya Koda.
L’uomo svolge il suo lavoro con gesti precisi ed essenziali, accogliendo l’occasionale contatto umano (anche nella forma anonima di una partita a tris proposta su un foglietto) con generosità e rispetto. Tutto in lui è rimasto analogico, come le musicassette che ascolta o la macchina fotografica i cui rullini vanno fatti sviluppare, e le fotografie vengono collezionate in scatole numerate che archiviano la nostalgia del tempo che passa.
Wim Wenders, in veste di regista e sceneggiatore (con Takuma Takasaki), mette a frutto la sua grande familiarità con il documentario per creare un film di finzione che segue le giornate del suo protagonista come una camera nascosta, e poi però racconta i sogni di Hirayama come un’elaborazione artistica del giorno appena vissuto.
La concezione architettonica di Wenders incastona la figura umana in spazi ben squadrati e confinanti (a cominciare dal formato 4:3 che ad un certo punto diventa quello ancora più ristretto dell’inquadratura da cellulare), e in una Tokyo in cui il sole sorge (non a caso siamo nel Paese del Sol Levante”) accompagnato dalla canzone perfetta (The House of the Rising Sun). La fotografia nitida e precisa di Franz Lustig accompagna il ritratto della serena e composta solitudine di un uomo che sa di appartenere ad un’altra epoca e che ha fatto pace con i suoi errori del passato.
Un film di Peter Walker. Con Anthony Sharp, Susan Penhaligon, Stephanie Beacham Titolo originale House of Mortal Sin. Giallo, durata 104 min. – Gran Bretagna 1965.MYMONETRO La casa del peccato mortale valutazione media: 2,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Padre Meldrim, un prete cattolico pieno di inibizioni, è stato forzato alla scelta ecclesiastica dalla madre, che sperava in questo modo di tenerlo legato meglio a sé. Ma ora la sessualità repressa di Meldrim si manifesta con spaventosa aggressività. Il sacerdote incomincia a registrare le confessioni delle giovani penitenti, le ricatta e le corteggia, uccidendo con gli strumenti del ministero sacerdotale tutti coloro che lo ostacolano.
Un film di Edward Yang. Con Elaine Jin, Nien-Jen Wu, Issei Ogata, Kelly Lee Titolo originale Yi yi. Drammatico, durata 172 min. – Taiwan, Giappone 2000.
Il film di Edward Yang è ritenuto da molti un Magnolia orientale. Vi si narrano le vicende di più famiglie con la scansione della quotidianità problematica. Il padre di famiglia, socio di una ditta di computer in crisi, scopre una possibilità meno arida di lavoro (grazie, fatto eccezionale, a un giapponese) e ritrova l’antico primo amore. La moglie ha la madre in coma e scopre di non avere nulla da dirle: entra quindi in crisi esistenziale. La figlia adolescente scopre che l’amore non è facile sin dal suo primo presentarsi. Il piccolo di casa, di 8 anni, dileggiato dalle compagne a scuola ma capace di osservare il mondo e di “fotografarlo” sia con i pensieri che con la pellicola. E tanti altri personaggi. Siamo a Taiwan ma potremmo essere a Roma, Firenze, Milano. Ovunque nel mondo a chiederci se sia possibile trovare nella vita quei legami che le diano un senso. Potrete anche trovarlo un film lento, ma si tratta di una lentezza carica di sensibilità.
Dietro la consueta apparenza del triangolo amoroso, lei, lui, l’altro, si cela un terribile e mostruoso segreto. Anna, moglie di un uomo d’affari berlinese, vive una doppia vita scandita dagli omicidi e si congiunge carnalmente con un mostruoso essere gelatinoso.
Si comincia con un feroce assedio della Casa dei 1000 corpi , di cui il 2° film di R. Zombie, anche sceneggiatore, è il seguito solo in un certo senso. Catturata la tremenda matriarca, tre componenti della demente famiglia Firefly (lucciola, i nomi sono presi dai personaggi dei fratelli Marx) fuggono in auto dall’Alabama verso il Texas. Li insegue uno sceriffo che in materia di violenza li vale. Da anni l’horror hollywoodiano vive di rendita sul passato e di imitazione degli asiatici. Quello di Zombie, cinefilo di talento che sa copiare bene, è un film di terrore più che di orrore. Non è solo sadico, ma sadiano. Superiore al 1°, è un film d’autore anche a livello stilistico: montaggio originale, uso del fermo-immagine, scelta delle facce, vena ironico-grottesca, tocchi di macabro gotico fantastico, uso del materiale plastico e soprattutto la capacità, come il finale rivela, di dare una dimensione epica alla violenza. In inglese, “devil” contiene “evil”, il male. Anche nel toccare il fondo della malvagità umana, è un film laico.
Scritto, diretto e co-musicato dall’ex leader del gruppo musicale White Zombie, è una notevole, benché almeno in Italia poco notata, opera prima che miscela con accorta disinvoltura prestiti e rimandi al cinema horror degli ultimi 30 anni, specialmente a Non aprite quella porta e Suspiria , nel raccontare le spaventevoli vicissitudini di quattro ragazzi che capitano nelle grinfie di una famiglia di maniaci satanisti e antropofagi, governata da una demente “madre di famiglia”, una K. Black che più dark di così non potrebbe essere. “Abile nell’evitare le trappole di un naturalismo fuori senso, grazie anche a una sceneggiatura adeguatamente delirante” (Marcello Garofalo).
Una delle prime versioni cinematografiche tratte dai romanzi di Lewis Carroll; il film aveva come protagonista Viola Savoy. Nata nel 1899 a Brooklyn, l’attrice interpretò sullo schermo solo questo ruolo insieme a un altro film, The Spendthrift.
Alice, recatasi a un picnic con la sorella, mentre quest’ultima legge ad alta voce vicino a un ruscello, si mette a sonnecchiare. In sogno, Alice è condotta dal coniglio bianco nel paese delle meraviglie dove la ragazza vivrà una serie di avventure: incontrerà un bruco che fuma il narghilè, la duchessa, Panco Pinco e Pinco Panco, lo Stregatto. Giocherà a croquet con il re e la regina di cuori usando come mazza un fenicottero e vedrà eseguire la quadriglia da trichechi e aragoste. Dopo essere stata chiamata come testimone a un processo che potrebbe finire con una condanna capitale, lei si rifiuta di testimoniare dichiarando che tutti i partecipanti non sono altro che un mazzo di carte da gioco.
Sette banditi rapinano una banca e scappano attraverso il deserto. Arrivano a un villaggio abbandonato, dove trovano una ragazza e un vecchio che cerca l’oro. Un classico del western, robusto e asciutto.
Si tratta del primo film di Ymou ambientato al presente e senza la compagna Gong Li. Girato con la macchina da presa a mano mette in primo piano il bisogno del regista di rinnovarsi e di sperimentare. La storia è molto semplice, di sapore pirandelliano. Xiao Shuai è innamorato di una ragazza che ha rapporti con un riccone molto potente. Un giorno viene picchiato dagli scagnozzi del rivale. Durante il pestaggio il computer portatile di un passante viene rotto e questi vuole il risarcimento da Xiao Shuai. Lui invece vuole tagliare la mano del riccone e così si arma di mannaia. Grande ironia e qualche risata.
Un prete cattolico è coinvolto in una serie di assassini che hanno come vittime sacerdoti e suore cattoliche. Il prete viene avvicinato dall’omicida che gli svela in confessione che ucciderà ancora. A poco a poco la verità salta fuori
Un western vecchio stile. Lo sceriffo salva il vecchio Pop che sta per essere linciato per un omicidio non commesso. Ha tutti contro, specie gli allevatori. Finale trionfo per i buoni.
Uno dei film meno noti di Sean Connery, ma tra i più intensi della sua carriera. Nell’estate del ’32 tra le montagne della Svizzera si consuma furtivamente la relazione tra Douglas, medico cinquantenne, e Kate, la giovane nipote. Raccontata attraverso flashback, la storia d’amore tra i due trova la massima espressione in una collana che si rompe facendo rotolare rumorosamente le perle sul pavimento. Giuseppe Rotunno regala una fotografia mozzafiato e contribuisce a fare della pellicola un capolavoro.
Un direttore d’orchestra rifiuta di pagare una tangente a un bandito per avere la possibilità di suonare in vari locali. Per costringerlo a cedere, il fuorilegge ammazza uno degli orchestrali e lui, scoraggiato, accetta le imposizioni. Un episodio di violenza contro una cantante lo spinge però a ribellarsi di nuovo. Durante una sparatoria, riesce ad avere la meglio sul bandito.
Gianni era un bravissimo imitatore con un grande problema psicologico che gli impediva di riconoscersi allo specchio e affermare la propria vera identità. Un problema con radici in un trauma infantile e che, insieme al grande senso di colpa per aver preso parte ad uno schema criminale servendosi del proprio talento vocale, lo ha portato al suicidio. Anni dopo la figlia Giulia indaga sulla morte del padre cercando di scoprirne le ragioni e comincia la sua ricerca dallo psicanalista che aveva in cura Gianni. Ma la ragazza non si limita ad una lettura psicanalitica e, a suo rischio e pericolo, percorre anche la pista delle collaborazioni di suo padre a quel piano criminale che ha coinvolto magistrati e servizi segreti, produttori televisivi e giornalisti, ministri ed escort. La voce narra la storia dark dell’Italia come un B-movie vecchio stile, assai contrastato nei toni, con dialoghi sopra le righe e una fotografia sporca, fatta di primissimi piani e luci di taglio. Una vicenda scritta e diretta da Augusto Zucchi, attore, sceneggiatore e regista teatrale qui al suo lungometraggio di esordio. L’idea di partenza è davvero interessante, perché fa leva su un personaggio che ha segnato la televisione (e la cultura pop) italiana con la sua presenza carismatica e inquietante: Alighiero Noschese, l’imitatore che si è tolto la vita, pare, in seguito ad una profonda crisi di identità. Noschese è davvero un personaggio di grande potenziale drammaturgico, ed è sorprendente l’interpretazione di Rocco Papaleo nei panni dell’imitatore tormentato dal fantasma del suo illustre predecessore. Papaleo mette a frutto la sua versatilità d’artista e la duttilità della sua voce per calarsi nei panni di un uomo-maschera che vive un’esistenza allucinata e straniante misurando per gradi lo scollamento progressivo dal proprio vero sé e la graduale distanza dalle convenzioni di un mondo che lo esclude. Per quanto la messinscena sia eccessivamente artigianale ed eccessivamente caricata (al limite del caricaturale, con l’eccezione di Papaleo), spesso cinematograficamente sgrammaticata e totalmente priva di mezzi toni e sfumature, il risultato è curiosamente disturbante. Chi ha nostalgia dei film complottisti anni Settanta (di grana grossa) e chi è curioso di vedere alla prova il talento drammatico di Rocco Papaleo, con tanto di scena en travesti, è invitato alla visione.
Regia di Luigi Magni. Un film con Nino Manfredi, Serena Grandi, Alberto Sordi, Massimo Wertmüller, Luca Barbareschi, Elena Sofia Ricci.Cast completo Genere Storico – Italia, 1990, durata 110 minuti. – MYmonetro 3,73 su 15 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. Siamo nel 1849, nel momento in cui la Repubblica romana dovette arrendersi alle truppe dell’esercito francese capitanate dal generale Oudinot. La cronaca dell’avvenimento in questione e gli altri accadimenti a Roma e nel resto dell’Italia sono la materia del film di Luigi Magni. Molti sono i personaggi che sfilano: il prete barnabita Ugo Bassi, papa Pio IX, Luciano Manara, celebre esponente monarchico, i patrioti Daverio, Messina, Narducci, Dandolo, il poeta Belli e Goffredo Mameli, autore dell’inno italiano. Affresco condotto con mano sicura da Magni anche se le interpretazioni non sono mai folgoranti.
Nell’antica Baghdad un giovane ladro, mani leste e testa fine, aiuta il Sultano, detronizzato dal malvagio Gran Visir, a riconquistare il trono. Celebre versione muta di un racconto delle Mille e una notte nata dall’incontro felice tra due grandi personalità del muto, tra l’energia narrativa di Walsh e l’ilare atletismo di Fairbanks: dinamismo, umorismo, esotismo, erotismo. Come film di Fairbanks gli sono preferibili, forse, Robin Hood (1922) o The Gaucho (1928) perché l’ambientazione favolosa e il fasto cinematografico si sovrappongono qua e là al personaggio; come film di Walsh è un punto d’arrivo, notevole per l’entusiasmo con cui il giovane regista si lanciò nel gioco della sperimentazione linguistica per far coincidere la magia araba con quella del cinema.
Prodotto dei fratelli Korda, è una piacevole mistura di azione, fantasia e musica in grado di battere, in materia di affabulazione e di effetti speciali, la concorrenza americana e, per i suoi ammiccamenti sornioni, modello per le nuove avventure della nuova Hollywood. Trucchi ottici e meccanici strepitosi per l’epoca, e un eccellente Technicolor. 3 Oscar per la fotografia (Georges Périnal), la scenografia (Vincent Korda) e gli effetti speciali (Lawrence Butler e Jack Whinney).
Ritratto di una vittima che finisce per diventare un mostro. Nella Napoli del 1936 un giovane proletario uccide il seduttore di una delle 7 (brutte) sorelle, è rinchiuso in un manicomio criminale da cui esce come volontario di guerra, finisce in un lager tedesco e diventa kapò. Rientrato a Napoli, trova madre e sorelle che si sono rimpannucciate con la prostituzione. 8° film di Wertmüller e uno dei suoi migliori, è un’analisi feroce della filosofia della sopravvivenza a ogni costo: la vitalità di Pasqualino è mortuaria. In misura minore, gli eccessi e i difetti della regista sono presenti anche qui, ma compensati dall’aggressiva felicità del linguaggio, dalla ricchezza delle invenzioni (cui contribuiscono le scene di Enrico Job, suo marito, e la fotografia di Tonino Delli Colli), dall’ottima direzione degli attori. Molti premi internazionali tra cui 4 candidature agli Oscar (regia, sceneggiatura, G. Giannini attore protagonista, miglior film straniero) negli USA dove fu distribuito come Seven Beauties . Giannini maiuscolo. Musiche di E. Jannacci. Circola anche in copie di 93 minuti.
Per fronteggiare l’ondata di protesta contro l’intervento militare nel Sud Est asiatico, il governo americano rispolvera una legge degli anni ’50 e deporta nel “Punishment Park”, un campo di prigionia sulle Bear Mountains, un gruppo di circa 600 giovani, accusati di attività sovversive perché pacifisti, hippies o semplicemente sospetti. In attesa di essere trasferiti in un penitenziario, ai prigionieri viene concessa la possibilità di sfuggire alla detenzione se saranno capaci di sopravvivere ad una fuga attraverso il deserto. Coloro che accettano devono coprire a piedi un lungo percorso, senza viveri e senza armi, inseguiti da pattuglie armate pronte ad ucciderli.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.