Nel 1865, alla morte del padre rovinato, la figlia di un piantatore del Kentucky scopre che sua madre era una schiava nera. Sola al mondo, è comperata da un enigmatico gentiluomo che l’ama appassionatamente tanto da farne la padrona dei suoi possedimenti. Nell’adattare il bel romanzo di Robert Penn Warren l’interesse di Walsh è rivolto più a sottolineare le lacerazioni interne dei personaggi che alla tematica positiva dell’antirazzismo. Ne esce il suo film più faulkneriano, sostenuto dalla stupenda fotografia di L. Ballard e dagli interpreti che si prestano bene all’inversione dei ruoli dei rispettivi personaggi. Rimesso in circolazione come La frusta e la carne .
Sopravvissuta alla prigionia di un lager nazista, Karin si sostituisce ad un’amica rimasta uccisa e raggiunge l’America dove vive il figlio della defunta. Tutti credono che sia lei la madre del bambino che, nel frattempo, ha ereditato un patrimonio. I soldi fanno gola a molti
La domanda è: si puo fare un film originale con degli zombie al giorno d’oggi? Shaun of the dead è l’inattesa risposta affermativa. Il titolo, ovvio omaggio a Dawn of the Dead di Romero, contiene la chiave di lettura del film che riesce a coniugare commedia e horror come non si vedeva da tempo. Parliamo quindi di un brillante esordio alla regia per Edgar Wright coadiuvato dal protagonista e co-sceneggiatore Simon Pegg; i due, dopo aver lavorato assieme alla acclamata serie “Spaced” (1999) per il circuito televisivo, si confermano qui coppia affiatata. Ci troviamo da subito catapultati nella vita di Shaun, trentenne che non riesce a dare una svolta alla propria vita, e a dire la verità, nemmeno ci prova. Lo stralunato protagonista è messo alle strette dalla fidanzata, e in poco convinti tentativi di “cambiare” riuscirà solo a ingarbugliarsi fino ad essere scaricato. Immerso nei propri guai e pensieri, una mattina si renderà improvvisamente conto in compagnia dello sfaccendato ed inseparabile amico Ed che le strade sono invase da zombi. Comincerà così una spassosa corsa per raggiungere i propri cari e mettersi al sicuro. La commedia e le relazioni tra i personaggi si svilupperanno con risultati sorprendenti in uno scenario ameno, quale può essere una Londra infestata da morti viventi. La trama non è certo un capolavoro ma è ben lungi dall’essere un pretesto per girare un film con morti viventi, anzi, l’intreccio risulta gradevole e l’idea di girare un Love Actually in mezzo agli zombi è veramente carina; in più l’opera risulta molto divertente e stupisce riuscendo a non cadere nel baratro senza ritorno della demenzialità e a evitare le brutture dello splatter. Un buon lavoro quindi, sorretto da una strepitosa colonna sonora integrata attivamente in molti indimenticabili siparietti. Film non per tutti i palati, ma che indubbiamente ha da dire la sua.
Due commesse, un commesso viaggiatore, un autista, una comparsa trascorrono un giorno di vacanza nei boschi intorno a Berlino. Interpretato da attori non professionisti in un ambiente naturale, questo semi-documentario realizzato con poco costo fu l’ultimo film tedesco muto di qualche valore. Anche se Béla Balazs gli rimproverò il suo “fanatismo dei fatti “, quest’opera, ispirata indirettamente a Flaherty e Vertov, era uno studio sociale che fece epoca, e i suoi autori ebbero in seguito carriere assai diverse, nel cinema americano.
Antonio Sernesi, detto Bob, è un giovane meccanico che fa il gallo. Corteggia cinque ragazze contemporaneamente. Vivace esordio di V. Zurlini che ricrea con garbo, brio e freschezza l’atmosfera pittoresca e i personaggi coloriti della Firenze del romanzo (1952) di Pratolini. Ottima direzione di attori. Sceneggiato da L. Benvenuti e P. De Bernardi. L’attrice M. Mariani morì nel 1956 in un incidente aereo sul Terminillo. Aveva partecipato ad altri 6 film tra cui Senso .
Storia della passione che travolge una vedova borghese e un ventenne in una cittadina balneare dell’Adriatico nella tragica estate del 1943 (25 luglio, 8 settembre). Uno dei rari e più trascinanti film d’amore nella storia del cinema italiano. Zurlini riesce a coniugare le lezioni di Rossellini, Antonioni e Visconti con una partecipazione sentimentale giocata sul pedale della malinconia e una morbidezza di linguaggio senza compiacimenti estetizzanti che restituiscono l’aria del tempo. La più bella interpretazione di E. Rossi Drago. 2 Nastri d’argento: attrice protagonista e musica (Mario Nascimbene). Venduto in 26 Paesi.
Un film di John Woo. Con Chow Yun-Fat, Anthony Wong Titolo originale Lashou Shentan. Poliziesco, durata 125 min. – Hong Kong 1992. MYMONETRO Hard Boiled valutazione media: 3,17su 5 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Durante un’azione di polizia in una sala da tè, perde la vita un agente amico di Tequila (Chow Yun-fat). La sete di vendetta di quest’ultimo lo porterà involontariamente a ostacolare i piani dell’agente Alan (Tony Leung), infiltrato nell’organizzazione del sadico trafficante d’armi Johnny (Anthony Wong). The Killer rappresenta il lirismo dello heroic bloodshed, A Better Tomorrow la componente più melò ed essoterica,A Bullet in the Head il lato più politico e nel contempo personale; ma se si cerca la summa del cinema d’azione duro e puro secondo John Woo occorre rivolgersi a Hard Boiled. Nonostante le ingenuità di sceneggiatura e gli eccessi, è evidente sin dalla prima di una lunga serie di coreografie action, la sparatoria nella sala da tè, che Hard Boiled rappresenti una sfida lanciata da Woo a se stesso, per verificare fin dove è possibile alzare l’asticella dell’action movie, aggiornando la lezione di Siegel e Peckinpah alle esigenze, in termini di sangue ed energia cinetica, di fine millennio. La balistica dei proiettili e le evoluzioni aeree dei contendenti sono esaltate da coreografie impensabili (la morgue o una sala da tè usati come corpi cinematografici funzionali allo shoot-out, immobili in un contesto in cui uomini e macchina da presa sono acrobati in perenne movimento), che portano alle estreme conseguenze l’invincibilità di eroi e malvagi e la sostanziale inesauribilità dei proiettili. Se i villain sono autentiche caricature, con Philip Kwok nei panni del killer spietato e infallibile e l’eclettico Anthony Wong in quelli del boss psicopatico Johnny, è il lavoro sugli eroi a esaltare la concezione del mondo e dei rapporti umani secondo John Woo. Tequila è uno dei personaggi più emblematici di Chow Yun-fat, nel contempo umile sergente che preferisce l’arte (il clarinetto) e il disimpegno (nelle relazioni) alla carriera, ma che è immediatamente disposto a sacrificare la vita per assicurare i criminali alla giustizia o per vendicare un amico; impagabili i siparietti con un barista ex-poliziotto interpretato da Woo stesso e che – ovviamente – incarna alla perfezione gli ideali del regista. Ma ancor più suggestivo di Tequila è il personaggio di Tony Leung Chiu-wai, il cui approccio minimalista contrasta con la recitazione sopra le righe di Chow e Wong; è dal contrasto stridente tra gli stili recitativi che viene evidenziata la peculiarità di una psiche complessa (o comunque più complessa della media Woo) come quella di Alan, scissa tra personalità multiple e contrastanti: oggi killer implacabile delle triadi e domani poliziotto pronto a tutto pur di mettere fine al racket di Johnny. Un anticipo del tema sull’identità su cui Alan Mak costruirà la trilogia intera di Infernal Affairs. Metafore come il richiamo a Shakespeare – quintessenza del dubbio – sono semplici e dirette, ma è il linguaggio che Woo meglio conosce per esporre la propria etica. Quando ricorre alle parole, naturalmente; per il resto c’è pur sempre il piombo.
Uscito solo in videocassetta. Questo film, diretto dal più bravo regista d’azione di Hong Kong, ruota sulla vicenda di un gangster. Uscito dal carcere, vuole rifarsi una vita e conquistarsi il rispetto del fratello poliziotto che lo crede assassino del loro genitore.
Lo scienziato inglese Jack Griffin (Rains), diventato invisibile per un siero che si è iniettato, cerca di trovare un antidoto, ma ci rinuncia quando si rende conto che l’invisibilità ha i suoi vantaggi. Intanto, però, un effetto collaterale del siero è la megalomania che lo spinge a commettere furti e omicidi. Sceneggiato con fedeltà al romanzo (1897) di H.G. Wells pari alla stringatezza da R.C. Sheriff e Philip Wylie, il film comincia in cadenze di commedia e diventa gradatamente drammatico e cupo: l’invisibile Griffin è uno dei primi insani malvagi della storia del cinema, pur suscitando insieme paura e compassione. Fece una star di Rains, esimio teatrante inglese dalla voce bellissima e inconfondibile, esordiente sullo schermo in una parte che gli permette di mostrare il volto soltanto alla fine, nell’immobilità della morte. Fu il suo compatriota Whale a imporlo ai capi dell’Universal che avrebbero voluto Boris Karloff. Gli effetti speciali di John P. Fulton, insuperati per molti anni, contribuiscono molto alla riuscita del film. Le riprese richiesero 4 mesi, durata insolitamente lunga per quel tempo. Molti seguiti, tutti assai inferiori, fra i quali: Il ritorno dell’uomo invisibile (1940) di J. May; La donna invisibile (1941) di A.E. Sutherland; Invisible Agent (1942) di E.L. Marin. Non mancò un Gianni e Pinotto contro l’uomo invisibile (1951) di C. Lamont.
Un film di Karel Zeman. Con Lubor Takos, Arnost Navratil, Miloslav Holub, Miroslav Holub, Jana Zatloukalovai, Lubor Tokos, Frantisek Cerny Titolo originale Vynález Skázy.Fantastico, b/n durata 85 min. – Cecoslovacchia 1957. MYMONETRO La diabolica invenzione valutazione media: 3,53 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari
La vicenda narrati svolge alla fine del diciannovesimo secolo: l’inventore Roch e il suo assistente Hart sviluppano un esplosivo così potente da sostituire l’energia ottenuta da petrolio e carbone. Il conte Artigas cerca di impadronirsi del materiale e rapisce i due rinchiudendoli all’interno di un’isola vulcanica. Karel Zeman, regista cecoslovacco e massimo esponente del genere d’animazione europeo negli anni Quaranta e Cinquanta, crea un film visionario ispirato a un romanzo di Jules Verne, “Face au Drapeau” scritto nel 1896. La diabolica invenzione costituisce una prova di grande tecnica cinematografica, nella quale attori in carne e ossa si muovono all’interno di scenografie ispirate alle incisioni di Rion e Benett, illustratori delle prime edizioni dell’autore francese. Retini e filtri sono adoperati per rendere le immagini granulate e per suggerire l’impressione di zincografie. L’effetto è quello di una patina antica e preziosa che va a stendersi su uomini, oggetti e ambienti, restituendo l’aspetto favolistico del racconto. I personaggi sono tratteggiati con tocchi essenziali: un mite scienziato che paradossalmente realizza un’arma distruttiva, un cattivo mascherato da buone intenzioni, un giovane eroe idealista e romantico. Protagonisti, che si ritrovano coinvolti all’improvviso in un avventuroso viaggio all’interno di un piccolo regno. La stessa esperienza per certi versi, onirica e sensoriale, che cattura piacevolmente lo spettatore.
A Parigi, durante i festeggiamenti per l’esposizione universale del 1889, cinque ragazzini si impadroniscono del favoloso vascello volante costruito dal professor Findeis e dopo aver sorvolato l’Europa atterrano su un’isola sconosciuta la cui strana geografia ricorda la forma di una farfalla. Inseguiti da alcune spie che vogliono rubare l’avveniristico dirigibile per usarlo come arma da guerra. Zeman costruisce una nuova piacevolissima avventura per ragazzi ispirandosi liberamente alle pagine di Jules Verne. Gli attori in carne ed ossa si muovono su sfondi dipinti con lo stile delle incisioni di fine ‘800. Il racconto del viaggio sullo straordinario dirigibile suggerisce un elementare itinerario dei piccoli protagonisti verso una nuova consapevolezza: un percorso che inizia dalle meraviglie e dai sogni spensierati dell’infanzia e che si conclude con una raggiunta maturità, tracciato con impareggiabile gusto da un mago della cinematografia cecoslovacca. Conosciuto negli USA con i titoli: The Stolen Airship, The Stolen Balloon, Two Years Vacation, Two Year’s Holiday.In Italia ha come titolo alternativo Il dirigibile rubato.
Un giovane poliziotto è infiltrato in una banda di ladri di automobili. Il giovane scopre che il capo della gang è il fratello della ragazza di cui si è innamorato. Non è facile superare le remore che vengono dai legami affettivi.
Seibei Ihuchi, dopo la morte della moglie per tubercolosi, è diviso tra i suoi doveri di samurai e gli obblighi nei confronti delle figlie e della madre anziana. L’uomo, dopo anni, incontra l’amica di gioventú Tomoe, tornata al paese dopo il divorzio da un prepotente spadaccino piú anziano di lei. Tra i due c’è una reciproca attrazione ma Saibei è riluttante a dichiararsi vista la sua disastrosa condizione economica e la sua dissestata vita famigliare. Ma durante un duello, armato di un solo bastone sconfigge Toyotaro, l’ex marito di Tomoe, e le sue doti di samurai sono rivelate. La voce si sparge e Seibei è costretto dai propri doveri feudali ad impugnare la spada
Cinque ladri salvano la vita a un ribelle messicano il quale, per approvvigionare il suo esercito, commissiona loro un favoloso colpo. Al momento di essere pagati, i compari decideranno di combattere al fianco dei rivoluzionari.
Si tratta del film d’esordio di Wenders, trasmesso coi sottotitoli in televisione. Tratto dal libro omonimo dello scrittore austriaco Peter Handke, narra di un uomo che uccide senza una ragione una commessa di cinema appena conosciuta. Dopodiché si mette in viaggio per nulla preoccupato delle conseguenze del suo gesto.
Tra autostrade desolate nel deserto, motel e cafeteries un uomo ricostruisce il rapporto col figlioletto, ma poi, affidatolo alla madre dalla quale s’era separato quattro anni prima, ricomincia il suo vagabondare. 2° film americano di Wenders, è un altro atto d’amore per “il paese che ha colonizzato il nostro inconscio”. Scritto da Sam Shepard, in bilico tra road movie e family movie , tra narcisismo e virtuosismo, riprende la consueta tematica di Wenders con un’ombra di manierismo. Bella colonna musicale (chitarra, pianoforte) di Ry Cooder. Sopravvalutato. Palma d’oro a Cannes.
Howard Spence e’ stato il protagonista nel passato di importanti film western. Ora e’ costretto a girare filmetti senza spessore. Un giorno fugge dal set e l’assicurazione del film scatena un segugio che deve trovarlo. Howard ha condotto per anni una vita sregolata e non vede sua madre da decenni. Sara’ proprio lei a fargli sapere che deve avere, in un luogo ben preciso, un figlio ormai divenuto un giovane uomo. Howard va a cercarlo ma si trova davanti ad un rifiuto: il ragazzo non vuole saperne di questo padre piovuto dal cielo. Nel frattempo compare una ragazza a cui e’ appena morta la madre. L’attore potrebbe essere padre anche suo… Con il sostanziale (ed ammesso come tale) contributo di Sam Shepard, Wim Wenders torna ai suoi temi ‘classici’: il viaggio e il tentativo di ri-costruzione di relazioni apparentemente impossibili. Lo fa con una rinnovata sensibilita’, con un omaggio non formale all’America che ama (che non e’ quella di Bush) e facendo reincontrare sullo schermo due attori che, mentre si ritrovano come personaggi, ne hanno l’occasione anche come persone che hanno condiviso parte delle loro vite: Sam Shepard e Jessica Lange. Ne nasce un film che affronta uno dei grandi filoni che attraversano questo festival: il riconoscimento del ruolo di padre. Wenders lo affronta in modo ruvido ed elegiaco insieme, consapevole com’e’ che c’e’ chi preferisce il cinema alla realta’. Ce le offre entrambe e lascia a noi la scelta.
Dall’incontro tra Wim Wenders e un bambino afgano nasce Il volo, un film in 3D, che racconta un luogo dove l’accoglienza è una possibilità concreta: a Riace e Caulonia. Il grande regista tedesco compie un viaggio nella Calabria che ha aperto le proprie case ai profughi di tutto il mondo.
Finn un fotografo il cui lavoro è molto apprezzato in campo internazionale, è un uomo costantemente in azione. Il suo cellulare è sempre in funzione, dorme pochissimo (e quando dorme ha incubi) e suo lettore mp3 è sempre in funzione. Una sera, mentre si trova alla guida della sua auto, vede, come si suol dire, la morte in faccia rischiando un incidente dalle conseguenze letali. Da quel momento la sua vita cambia. Abbandona la Germania e si reca a Palermo con l’alibi di un servizio fotografico con Milla Jovovich ma in realtà vuole azzerare la propria esistenza per ripartire da capo. L’ossessione della morte però non lo abbandona. Si vede colpito o sfiorato da frecce scagliate da un essere misterioso che lo segue. A mitigare solo in parte questa sensazione provvede l’incontro con Flavia, una restauratrice impegnata su un grande affresco cinquecentesco raffigurante il trionfo della Morte.
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