Firenze. Anni Trenta. Il bambino Luca (Zeffirelli nella sua infanzia) è figlio illegittimo di un ricco mercante di tessuti e di una sarta. Resta orfano di madre e viene allevato da un gruppo di raffinate signore della comunità inglese che ammirano Mussolini fino a quando verranno confinate a San Gimignano. Grandi interpreti femminili per un difficile affresco storico.
Un quinquennio nella vita di Francesco d’Assisi (1182-1226) e di Chiara (1193 circa-1253) dalla guerra con Perugia (1204) sino all’approvazione della regola francescana da parte di papa Innocenzo III. Fantasia paramusicale al glucosio su Francesco, visto come precursore dei “figli dei fiori” e messo in immagini da cartolina in tricromia per il pubblico americano. Persino Guinness è un papa moscio. Musiche di Ritz Ortolani e Claudio Baglioni. “Se fossi Papa, lo brucerei” (Stanley Kauffmann). Scritto da S. Cecchi D’Amico, L. Wertmüller e K. Ross con il regista.
Dal romanzo omonimo di Zhang Ling, Aftershock . 2006, Tang shan (Cina nord-orientale). Padre, madre e due gemelli, dormono in un’afosa serata di luglio. All’improvviso uno dei più catastrofici terremoti della storia colpisce la zona: oltre 200 mila morti. Sopravvissuti ma separati, i gemelli intraprenderanno strade diverse. 2008, un altro evento sismico colpisce la Cina: il terremoto del Sichuan, meno grave per numero di vittime ma altrettanto devastante. Xiaogang costruisce un dramma che scandisce il tempo e azzera la distanza tra le 2 catastrofi, unendo idealmente gli eventi con la presenza dei protagonisti, vittime da bambini, unità di soccorso da adulti. La sequenza da brividi del terremoto iniziale ne rende perfettamente il trauma e la portata: 5 lunghissimi, duri minuti, in cui il regista non risparmia i particolari più cruenti. L’ aftershock , la scossa di assestamento, è ancora più struggente e insostenibile, mentre la disperazione è palpabile in ogni fotogramma. Buona l’ambientazione e fedele il modo in cui si racconta il cambiamento drastico avvenuto nella Cina degli ultimi 40 anni. Vincitore del Far East Film Festival di Udine nel 2011.
Un film di Erick Zonca. Con Grégoire Colin, Élodie Bouchez, Natacha Régnier Titolo originale La vie rêvée des anges. Drammatico, durata 153 min. – Francia 1998. MYMONETRO La vita sognata degli angeli valutazione media: 3,50 su 11 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Storia di due ragazze, una on the road e l’altra seduttrice. Sono diversissime dunque, e siccome gli estremi si attraggono, diventano amiche e mettono su casa insieme. Frequentano tanta gente, i rapporti non sono mai facili. Film vivo con due brave interpreti – Bouchez e Regnier – che hanno vinto la Palma d’oro a Cannes per la migliore interpretazione femminile.
The Killing Jar è un film di genere Drammatico del 2010 diretto da Mark Young con Amber Benson e Kevin Gage. Durata: 92 min. Paese di produzione: USA.
Uno straniero armato di fucile prende in ostaggio sette avventori di un solitario ristorante per camionisti. Mentre i morti aumentano, i sopravvissuti scoprono loro malgrado che uno degli ostaggi si potrebbe rivelare ancora più pericoloso del rapitore.
Leuca, estrema punta meridionale pugliese. La crisi economica è arrivata anche lì e Adele e Vito non riescono più a gestire l’azienda di famiglia che confeziona abiti per le aziende del Nord. I cinesi lavorano a prezzi impossibili e gli usurai incalzano. Vito emigra. Adele svende casa e con la madre, la sorella che sogna di diventare attrice e la figlia 18enne svaporata e superficiale, si trasferisce nella malmessa masseria, in campagna, per campare di prodotti della terra e baratto. Winspeare prosegue la sua personale indagine sul territorio del Salento e i suoi abitanti con una storia tutta al femminile, gli uomini sono sullo sfondo, in genere poco affidabili. Dialetto stretto, tempi particolari, storia che sfiora il neorealismo: punta sui sentimenti, sull’empatia nei confronti dei personaggi e delle loro vicende. Distribuito da Good Films.
Tonio ha soltanto dodici anni quando viene investito da un’auto in corsa. Cinzia, l’automobilista che lo ha investito, non si ferma a prestargli soccorso ed il bambino si risveglia in ospedale scoprendo di avere, a quanto sembra, il potere di guarire gli ammalati. Questo acuisce il conflitto già in atto fra i suoi genitori e scatena l’interesse del mondo della comunicazione. Edoardo Winspeare, alla sua opera terza, realizza un film molto più compiuto sul piano formale ma, per assurdo ma non tanto, proprio per questo meno emotivamente ‘forte’ rispetto al suo precedente “Sangue vivo”. L’ambiente rimane sempre la Puglia (questa volta non il Salento ma Taranto) e l’attenzione al mondo dei marginali (in questo caso i bambini sempre più ‘a lato’ nella nostra società) e si sente che Winspeare aderisce laicamente al tema che sta trattando con grande rispetto ma anche con il giusto disincanto. I miracoli nascono dall’amore e in un’epoca di maghi e cartomanti a pagamento sembra sempre più difficile poter contare sulla gratuità di un gesto che vuole essere solo solidale e con il pudore del non chiedere nulla in cambio. Tutto questo è interessante e palpabile nel film ma non scatta mai la partecipazione. Neanche la sempre splendida musica degli Zoè riesce a compiere il miracolo.
Helen è un’adolescente anticonformista in rapporto conflittuale con i genitori. Sta praticamente sempre con Corinna, la sua migliore amica, con la quale infrange un tabù sociale dopo l’altro. Il sesso è per lei una forma di ribellione, un modo per contrastare l’etica borghese convenzionale. Quando si taglia malamente cercando di rasarsi le parti intime, Helen finisce all’ospedale, dove in poco tempo solleva un gran polverone. E conosce Robin, un infermiere di cui si innamorerà…
Adolf Hitler – Lui – si sveglia improvvisamente nella Berlino dei giorni nostri. Stranito dalla multiculturalità e dalla tecnologia, è accolto come un fenomeno da baraccone e tedeschi e turisti scattano foto con lui. Inizia una carriera in un programma TV comico. Diventa famoso. Scrive un libro. Continua a far ridere. L’unica a riconoscerlo è un’anziana ex deportata, ma dal momento che oramai è “fuori di testa”, nessuno le crede. Le cose orribili, che Lui proclama, rischiano di trovare terreno fertile in una Europa invasa da un odio xenofobo mai sopito. “Tutti mi avevano seguito perché tutti erano come me, non ci si può liberare di me perché sono una parte di voi. Ora le condizioni sono favorevoli!” Tratto dall’omonimo romanzo di Timur Vermes (oltre 2 milioni di copie solo in Germania e tradotto in 40 Paesi), già disponibile su Netflix Italia, è uscito in sala distribuito da Nexo Digital, purtroppo solo per 3 giorni. Wnendt fa interagire il suo Hitler con attori professionisti che seguono un copione e con improvvisazioni di gente vera in giro per la strada. Le 380 ore di materiale girato sono state montate in un film che fonde fiction e documentario in un’amara commedia di satira sociale. Film tedesco col maggiore incasso del 2015. Si riflette.
Un film di Italo Zingarelli. Con Bud Spencer, Terence Hill, Joe Bugner, May Dlamini, Hugh Rouse, Dawn Jurgens, Ben Masinga, Lee Marcowitz, Malcolm Kirk, Nick Van Rensburg, Sandy Ngkomo, Mike Schutte, Johan Naudé, Joseph Szucs Avventura, durata 109 min. – Italia 1979. MYMONETRO Io sto con gli ippopotami valutazione media: 3,50 su 11 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un commerciante africano di pochi scrupoli cattura numerosi animali e intende spedirli in Canada. Tom e Slim, due simpatici avventurieri amici della natura (affittavano armi caricate a salve ai cacciatori), si mettono da soli contro l’organizzazione dell’uomo d’affari e riescono a liberare gli animali.
Le vicende sentimentali di tre adolescenti di Taiwan. Due amiche sono innamorate dello stesso ragazzo che è il bello della scuola. Storia stravista che però è vista con uno sguardo leggero e vitale dalla regia che riesce a ottenere dai suoi interpreti diciottenni il profumo della verità.
Un cameraman della TV si lascia convincere dal cognato, avvocato di pochi scrupoli, a fingere un gravissimo incidente, con conseguente menomazione, per ottenere una cospicua assicurazione. Film articolato in 16 capitoletti: “16 piccole, folgoranti ‘moralità’ che percorrono un universo balzachiano del comportamento economico” (A. Cappabianca). Scritto da Wilder col fido I.A.L. Diamond, è una maligna, aguzza, amara commedia di grande interesse sul piano tematico. Lo è un po’ meno sul piano della forma per la disarmonia della struttura e l’indecisione del tono. Al suo attivo il memorabile personaggio di Willie Gingrich (Matthau, Oscar come attore non protagonista) e la partita notturna a due, nello stadio deserto, tra Harry Hinkle (Lemmon) e il giocatore nero Boom-Boom (Rich).
Una donna si presenta a Sherlock Holmes chiedendogli di ritrovarle il marito, un ingegnere belga, misteriosamente scomparso. Il celebre detective si reca in Scozia con il suo fido Watson e nelle acque del lago di Loch Ness scopre il prototipo di un sommergibile che gli inglesi hanno camuffato in mostro per impedire ai tedeschi di identificarlo. Scopre anche che la donna, che aveva denunciato la scomparsa del marito, è in realtà una spia tedesca che si è servita di lui per scoprire il nascondiglio del sottomarino. Ovviamente, il nostro farà fallire il piano della bella spia.
Min, immigrato birmano clandestino, non può curare la sua dermatite in strutture pubbliche nonostante l’intercessione di Orn, la donna tailandese che gli sta procurando i documenti.Con Roong, la sua fidanzata, Min passa la giornata sul greto del fiume che scorre nella giungla bagnandosi e facendo l’amore.Contemporaneamente Orn fa visita a suo marito e gli porta via la moto per raggiungere la giungla con Tommy, impiegato nella fabbrica di cui suo marito è dirigente con cui ha una relazione. Una volta raggiunta la foresta Tommy scompare.
Un hotel situato sulle rive del fiume Mekong che separa la Thailandia dal Laos. Qui il regista Apichatpong aveva cercato di realizzare un film la cui lavorazione si era però interrotta. Ora ci ritorna per raccontare di una madre vampiro, di sua figlia e di due giovani amanti. Nella tradizione del nordest thailandese sono presenti i Pob, dei fantasmi che infettano gli esseri umani trasformandoli in esseri che si nutrono di carne cruda e di sangue. Il regista vincitore di un festival di Cannes affronta questo tema per continuare la sua sperimentazione stilistica che implica una costante interpolazione tra reale e immaginario. Qui a fare da ancoraggio alla realtà sono le inondazioni che avevano colpito la zona prima delle riprese e che hanno visto il governo intervenire con ritardo e, soprattutto, il fiume al quale viene dedicata, non casualmente, la lunghissima inquadratura finale. La rive di fronte è quella del Laos che è divenuto, dopo la guerra civile che lo ha tormentato, un Paese chiuso. Il ponte che prima collegava due popoli e che si vede sullo sfondo ora, per assurdo, li separa e alimenta le reciproche diffidenze. Non resta allora che guardare a distanza quel territorio così vicino, ma al contempo così lontano, per poi rifugiarsi in una storia semplice e misteriosa accompagnata dalla melodia ciclica di un chitarrista. Tutto questo conservando però un rigore stilistico che fa di questo regista un ricercatore non occasionale di nuovi percorsi visivi che non dimentica, al contempo, di sollevare interrogativi sul futuro della propria nazione.
Sei anni prima di Arancia meccanica di Kubrick, Andy Warhol propone la sua versione del romanzo di Anthony Burgess – o meglio, dei momenti salienti – raccontando nello spazio di 4 lunghi piani-sequenza l’allucinante esperienza di un giovane teppista, Victor (Gerard Malanga), sottoposto alle torture del trattamento di rieducazione che lo renderanno innocuo, remissivo, schiavo e vittima del sistema contro il quale si era ribellato. Esperimento cinematografico di Andy Warhol realizzato all’insegna di una estetica sado-maso e di una provocazione stilistica che ignora volutamente le più elementari regole del “fare cinema”. La recitazione e la sceneggiatura sono del tutto marginali rispetto alla definizione scenica del microcosmo claustrofobico imprigionato nell’inquadratura fissa. L’azione, intervallata in maniera irregolare da improvvisi effetti zoom, si risolve nella gestualità improvvisata dei personaggi e si dissolve in una dominante atmosfera soffocante e morbosa che confonde significante e significato: amici e collaboratori della Factory di Manhattan si espongono all’obiettivo come persone-attori, simulacri di creature animate da passioni indecifrabili, corpi da esplorare e spiare vojeuristicamente. Al di là della scarsa fruibilità del film da parte dello spettatore che può comprensibilmente restarne – a dir poco – deluso, l’architettura del gioco di immagini appare funzionale al suggerito spunto narrativo, forse oltre le stesse previsioni del regista.
L’ennesimo film di Zulawski da sempre combattuto tra il voyeurismo e l’intelletto. Girato a Biarritz e a Parigi, narra di due vite difficili unite dall’amore. L’uomo, di sangue nobile, segnato durante l’infanzia dal comportamento della madre e la donna che è stata maltrattata dal padre.
Jakub, un giovane nobile che ha deciso di unirsi al gruppo di cospiratori contro l’invasione prussiana del 1793, esce di prigione grazie all’intervento di un enigmatico uomo. Lungo il cammino alla scoperta del caos che regna nel Paese, il sovversivo Jakub, accompagnato dall’uomo che lo ha liberato e da una suora, assiste alla violenza e alla depravazione imperanti.
Germania 1945: gli americani arrivano in un campo di concentramento e liberano i prigionieri polacchi, che vengono alloggiati in una vecchia caserma nazista. Qui nasce l’amore tra un intellettuale e una giovane ebrea, che verrà uccisa da una sentinella. L’uomo, dopo aver attraversato un periodo di crisi, deciderà di tornare in Polonia nonostante il comunismo.
Il 17 settembre 1939 la Polonia viene invasa. Da ovest dalle truppe di Hitler e da est dall’Armata Rossa. 18.000 ufficiali dell’esercito, 230.000 soldati e 12.000 ufficiali di polizia vengono arrestati dai russi. Tutti i graduati vengono portati in campi di concentramento e nella primavera del 1940, su espresso ordine di Stalin, 15.000 di loro vengono uccisi con un colpo alla nuca e seppelliti in fosse comuni nella foresta vicino a Katyn. I tedeschi scopriranno le fosse nell’aprile del 1943 ma i russi scaricheranno su di loro la colpa del massacro. Solo nel 1990 per la prima volta ammetteranno la responsabilità. Wajda, che a Katyn perse il padre, racconta la vicenda attraverso la storia di Anna, la moglie di un capitano di Cavalleria che, pur non volendo accettarle, si troverà di fronte alle prove dell’esecuzione del marito così come accadrà ad altre donne. Al termine del conflitto, con la Polonia sotto l’influenza sovietica, una cortina di silenzio verrà fatta calare sull’accaduto e chi cercherà di sollevarla rischierà il carcere.
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