Liberamente tratto dall’ Idiota di Dostoevskij, narra di un rapinatore, Mickey, che conosce Léon, un transfuga ungherese che s’innamora della sua donna, Marie, costretta a fare la mantenuta nella gang dei quattro loschi fratelli Venin. I due amanti vengono coinvolti in una serie di crimini. Léon, sempre un po’ candido, viene travolto dagli eventi.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, due angeli – Damiel e Cassiel – svolgono la missione loro assegnata, aggirandosi nella Berlino odierna, ascoltando i pensieri lieti o tristi delle persone incontrate, che essi vedono solo in bianco e nero. Ma Damiel, più partecipe dell’altro alle ansie degli umani, come alle loro infinite piccole gioie, sente fortemente l’attrazione esercitata dalla città e dalla sua stessa gente
Chuck Noland è un agente di una compagnia di trasporti. Vive a Memphis, ha una ragazza, Kelly. I due sono molto innamorati. Mentre da Memphis vola verso la Tailandia per lavoro, il suo aereo precipita in mare. Si salva miracolosamente e si trova su un’isola deserta. Solo. Si tratta di sopravvivere. Beve il succo delle noci di cocco, succhia la polpa dei granchi, si ferisce coi coralli. Disegna due occhi e un naso su un pallone, lo chiama Wilson, sarà il compagno con cui parlare, per non impazzire. Passano quattro anni. Chuck tenta la carta disperata della fuga dall’isola. Con una zattera supera la barriera corallina.È stremato, quasi morente, quando una nave lo raccoglie. Torna alla vita, ma non normale. Tutti lo credevano morto. Kelly si è sposata e ha un figlio. Si ritrovano, l’amore è rimasto intatto, ma la realtà li deve dividere. Chuck è morto e tornato alla vita, e dovrà dolorosamente ricominciare. Hanks guarda dritto l’obiettivo mentre finisce il film. Chissà quale sarà il destino. Se c’è una metafora è proprio questa: si può ricominciare. E c’è dell’altro: l’isola solitaria non è un paradiso perduto, è un inferno. Valgono di più i rapporti. Meglio se si trasformano in sentimenti forti. Ed è questa la differenza con Robinson Crusoe, che trecento anni prima lasciava la sua isola, dopo ventotto anni, a malincuore. Spaventoso (dunque magnifico) l’incidente aereo. E quell’isola sempre grigia, sempre tempestosa. Hanks, come e più di sempre, straordinario.
Nato e cresciuto in un paesino dell’Alabama, Forrest Gump, che alla scarsa intelligenza accoppia la generosità del cuore, riesce a laurearsi perché è un campione di corsa, diventa un eroe in Vietnam, fa i miliardi con la pesca dei gamberi, diventa una specie di guru, è ricevuto da tre presidenti alla Casa Bianca, provoca lo scandalo Watergate, dopo anni di attesa sposa il suo grande amore che gli dà un figlio e muore di qualcosa che assomiglia all’Aids. Tratto dal romanzo di Winston Groom – che è stato sottoposto a un lavaggio hollywoodiano – è un film che, come scrisse un critico americano, non ti fa pensare ma sentire, oppure ti fa pensare al modo con cui si sente. Bravissimo Hanks, idiota gentile anche nei minimi dettagli. Efficaci gli effetti speciali con nuove tecniche di editing digitale che consentono a Zemeckis di inserire Hanks in vecchi telegiornali accanto a Nixon, Kennedy, Johnson, John Lennon e di moltiplicare le comparse davanti al Lincoln Memorial di Washington. 6 Oscar: film, regia, attore protagonista, sceneggiatura, effetti speciali, montaggio.
Il film è tratto dal romanzo Washington Square di Henry James. Una giovane donna timida e scialba si innamora di un uomo che mira soltanto alla sua dote. Il padre della ragazza tenta di dissuaderla e per questo la porta in Europa, ma al ritorno il cacciatore di dote riprende l’assedio. La ragazza annuncia al giovanotto che rinuncerà all’eredità paterna pur di poterlo sposare, e da quel momento l’innamorato sparisce. Si ripresenta dopo che il padre della fanciulla è morto, ma trova la porta irrimediabilmente chiusa. È un film eccellente. William Wyler era uno dei registi americani di gusto europeo. I tre protagonisti diedero il massimo; Clift, dopo essersi fatto conoscere l’anno prima col Fiume Rosso, si affermò del tutto.
Regia di Liang Zhao. Un film Da vedere 2015 Titolo originale: Bei xi mo shou. Genere Documentario – Cina, Francia, 2015, durata 95 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 Valutazione: 4,00 Stelle, sulla base di 1 recensione.
Nel mezzo del cammin della sua vita un uomo nudo giace ripiegato su se stesso in posizione fetale nella Cina di oggi, al confine fra due mondi: un paradiso agreste che fa già parte di un passato irreversibile e un inferno minerario creato seguendo l’istinto distruttivo della mitologica bestia Behemoth. La terra è profanata da ruspe che scavano come artigli e viene trasportata lontano dai “giocattoli del mostro”, non prima di essere stata scandagliata da mani febbrili alla ricerca di qualcosa di prezioso che non dà gioia a chi lo trova. I minatori che popolano questo girone dantesco sono sproporzionatamente piccoli rispetto a ciò che producono, e facilmente rimpiazzabili, nel caso venissero spazzati via dalle esplosioni che sventrano le montagne, o fatalmente intossicati dal fumo e dal debris che esala dalle pareti violate, o arrostiti dalla lava che scorre dalle viscere stuprate come sangue incandescente. È una Divina Tragedia la cui guida non è un compositore di endecasillabi ma un uomo comune con uno specchio appoggiato sulle spalle che riflette il disastro a ritroso, e cerca segni di vita nel deserto.
Un film di Wim Wenders. Con Ry Cooder, Ibrahim Ferrer, Company Segundo, Omara Portuondo, Eliades Ochoa, Ibrahim Ferrer, Orlando Lopez, Ruben Gonzales Documentario musicale, durata 101 min. – Germania 1998. MYMONETRO Buena Vista Social Club valutazione media: 4,00 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il musicista Ry Cooder, invitato da Wenders, va alla scoperta dei musicisti del Buena Vista Social Club di Havana. I talenti che ospitava, erano (e sono) enormi, ma sconosciuti (fino a questo film) al grande pubblico. Wenders, col suo stile rigoroso, reale-espressionista (appunto, è solo suo) racconta la loro storia, lunga, misera e magnifica. I personaggi sono: Ibrahim Ferrer, cantante, Ruben Gonzalez, chitarrista, Manuel “Puntillita” Licea, pianista, Omara Portuondo, l’Edith Piaf cubana, Manuel Galban, chitarrista. E altri. Tutti oltre gli ottanta, qualcuno oltre i novanta. Il regime di Castro, inibendo loro il resto del mondo, li ha costretti a una vita povera anche se non infelice: lo dicono continuamente “la fortuna di essere cubano”. E comunque, per il successo nel mondo c’è voluto Wenders, che ama queste iniziative, basti ricordare i Madredeus, diventati internazionali grazie a Lisbon Story. Nella loro tournée americana i cubani guardano le vetrine della Quinta strada e non riconoscono le effigi di Kennedy e della Monroe. E tutti raccontano, di quegli anni lontani, del Club in cui si esibivano, loro, leggende tornate viventi. E naturalmente Wenders non ignora L’Havana, la povertà, i colori, le vecchie Cadillac rimaste lì dai tempi di Batista, gli alberghi lussuosi rovinati dal vento e dal mare e lasciati a marcire, le prostitute, i mendicanti, i bambini che rincorrono i turisti. Il film comincia col grande concerto di New York del gruppo, e ricordo dopo ricordo ritorna al concerto. Da allora i musicisti, vitali, eterni, girano i teatri del mondo e vendono milioni di dischi. Un grande film, il miglior Wenders.
Ogni tanto gli anniversari non vengono per nuocere. È il caso del sessantesimo del Festival di Cannes che ha spinto il suo Presidente e mentore Gil Jacob a celebrare offrendo ai registi di cui sopra la possibilità di realizzare un film di 3 minuti avente al centro la sala cinematografica o comunque l’idea di film già realizzato. Quindi niente lavoro del set, registi e attori ecc.. ma l’opera finita e il suo rapporto con il luogo che resta ancora (almeno idealmente) al centro della sua fruizione. Ne è uscito un mosaico davvero interessante di letture e di spunti. È impossibile citarli tutti e quindi tratteremo, molto soggettivamente, di quelli che più ci hanno colpito. Lars Von Trier ha ancora una volta ‘esagerato’ (nel senso positivo del termine) mettendosi in scena nella proiezione ufficiale di Manderlay con a fianco un produttore che comincia a parlare di quanto sia divenuto ricco grazie al cinema. Lars lo massacrerà nel senso più preciso del termine. Takeshi Kitano si è regalato il ruolo di un proiezionista in un cadente cinema di campagna che, grazie alla sua imperizia, mostra all’unico spettatore in sala solo dei frammenti di un film distribuito dal…Kitano Office. Se i Coen mettono in scena un cowboy che va a vedere un film turco che finisce col piacergli Abbas Kiarostami stupisce tutti rendendo omaggio a Franco Zeffirelli e al suo Romeo e Giulietta mostrando un cinema pieno di donne che si commuovono dinanzi al film del quale sentiamo il sonoro della sequenza finale. Polanski ci riporta alla proiezione di Emmanuelle e a una coppia borghese scandalizzata da uno spettatore che, molte file più indietro, sembra intento a masturbarsi. Sembra… Non mancano i film densi di nostalgia (ben due omaggi a Bresson e tre, se non abbiamo contato male, a Fellini). A cui si aggiunge l’autocitazione di Lelouch e del legame che si era creato tra suo padre e sua madre e Ginger Rogers e Fred Astaire. Un’ultima annotazione per la nutrita presenza (i registi non sapevano nulla dei progetti altrui) di non vedenti in un film collettivo sul cinema. Non è per nulla strana come si potrebbe pensare in un primo momento. Il cinema ha un significato anche per chi non vede ed è giusto che la cecità abbia assunto qui il ruolo di metafora forte.
C’è un mostro che uccide personaggi in vista, ma prima di fare i suoi colpi avverte Valerio, un giornalista che gestisce una rubrica per signore. Valerio finisce a un certo punto in prigione e da lì fa la tragica scoperta.
Sulla faccia nascosta della Luna, un gruppo di scienziati idealisti ha gettato le fondamenta di una nuova società destinata a crescere libera e migliore di quella terrestre; ma, a mano a mano che scompaiono i “padri fondatori”, la nuova generazione si abbandona all’ignoranza, alla superstizione, alla rivalità interna. Il vecchio Jerzy, ultimo dei nobili colonizzatori, venerato dai giovani alla stregua di un profeta divino, lascia al popolo un testamento spirituale contenente gli insegnamenti per vivere in pace e, allontanatosi su una montagna al compimento dell’opera, affida la propria esperienza alle pagine digitali di un video-diario che spedisce con un razzo sulla Terra, a futura memoria per gli uomini. Il prezioso documento viene decifrato da Marek, solerte ricercatore spaziale e uomo psicologicamente tormentato, che decide di intraprendere un viaggio verso il mondo sconosciuto per verificare quanto realmente sia accaduto. Scambiato per la reincarnazione di Jerzy, Marek accetta di liberare il popolo caduto in soggezione di una crudele una razza di dominatori, ma durante la difficile guerra viene tradito e condannato a morte mediante crocefissione… La gente dovrà adesso affidarsi alle proprie forze e costruire responsabilmente una propria storia. Forse ripeterà gli errori degli uomini: di certo, crescerà nel religioso ricordo di un misterioso liberatore venuto un giorno dal cielo… Ispirato agli epici racconti della cosiddetta “Trilogia della Luna” scritta tra il 1900 e 1903 da Jerzy Zulawski (prozio del regista), il film ne ricalca la ripartizione in tre parti (la colonizzazione e l’imbarbarimento; l’avvento del messia e la sua morte; la rivelazione finale). Il significato simbolico della pagina scritta è esaltato sullo schermo da una ricercatezza formale che impreziosisce l’immagine senza togliere al contenuto la valenza filosofica. Al regista Zulawski si può forse rimproverare un eccesso di barocchismo e una tendenza all’autocompiacimento nell’uso personalissimo della macchina da ripresa, ma non gli si può negare una sincerità d’intento che riflette una profonda partecipazione alla causa della libertà e l’esigenza di una rilettura critica della storia degli uomini. L’esito del film è strettamente legato alla lunga e travagliata lavorazione. Cominciato nel 1976 tra il deserto di Gobi e il litorale baltico polacco, fu interrotto in più riprese a causa di problemi finanziari, pesanti intoppi burocratici e feroci censure politiche. Il risultato finale – ottenuto mediante il recupero delle parti filmate in anni diversi, nuovo montaggio e ulteriori integrazioni – dà chiaramente la sensazione di un’opera cresciuta nel tempo e che del tempo tradisce i segni: una sorta di sofferta meditazione personale che il regista ha rivendicato a segno di una sua maturazione di pensiero ma alla quale il Festival di Cannes del 1988 non ha unanimemente riconosciuto valore artistico.
Milena è affascinata da Paul che le dichiara di averla amata in una vita precedente. Egli la conduce nella sua lussuosa casa londinese dove ritornerà spesso. Paul viene accusato dell’omicidio di una sua innamorata, Milena si sposa e torna nel Galles.
Un fotografo in cerca di immagini piccanti incontra per caso un’attrice non più giovane ma ormai dimenticata. L’uomo se ne invaghisce e si mette finanziariamente nei guai per lei.
L’americano Robert Jordan, che milita nelle file repubblicane durante la guerra civile, deve partecipare a una missione per la distruzione di un importante ponte. Si unisce a un gruppo di partigiani e s’innamora di un’orfana, vittima della guerra. Tratto dal romanzo (1940) di Ernest Hemingway _ per il quale la Paramount pagò una cifra enorme per quell’epoca (150000 dollari) _ e sceneggiato da Dudley Nichols che puntò sul versante sentimentale del rapporto Jordan-Maria, sacrificando quello politico, è _ nel bene e soprattutto nel male _ un tipico prodotto dell’industria hollywoodiana quando si cimenta con la letteratura “alta” e argomenti storici impegnativi come la guerra civile di Spagna. La coppia Cooper-Bergman funziona; i capelli corti di lei lanciarono una moda. Scene del geniale W. Cameron Menzies. Girato nella Sierra Nevada. 9 nomination, ma 1 solo Oscar per K. Paxinou, attrice non protagonista.
Padre assente, madre malata e bisognosa di cure, famiglia numerosa. Per Kim Byung-doo non ci sono molti modi di sbarcare il lunario in tempi rapidi, per sé e per i suoi cari, che non passino dalla criminalità organizzata; e così Byung-doo cresce nelle gerarchie mafiose, accettando ogni missione. Quando nella sua vita si ripresentano l’amico fraterno Min-ho, aspirante regista cinematografico, e il suo amore adolescenziale Hyeon-ju, commessa di una libreria, per Byung-doo crolleranno molte certezze. Ignorando le ragioni precise che hanno portato a un simile titolo internazionale, A Dirty Carnival, si lavora di intuito. L’ambizione di ritrarre in un affresco il più possibile ampio e diversificato l’universo mafioso e i suoi molteplici corollari ha forse condotto il talentuoso Yoo Ha verso la visione di un grande circo, di uno spettacolo iterativo, un loop tragicomico senza via d’uscita; fatto di tradimenti, avidità, colpi bassi, violenza e servilismo. Uno sporco carnevale con mazze da baseball vere, per una maschera quasi clownesca, spesso triste e tumefatta, come quella di Byung-doo, tragico exemplum di manovalanza mafiosa. C’è qualcosa di neorealista nell’analisi compiuta da Haa, nell’annullamento dei valori nel nome del denaro, come nella fatica percepibile di tirare avanti e dare un senso a una vita che di senso non ne ha alcuno. L’uscita, un possibile piano B, sono banditi già dall’incipit, che rende evidente tanto la gabbia in cui vive Byung-doo che l’unica possibile via di fuga da essa. E se non è nuovo il fatto di mettere in scena il rapporto ambiguo tra cinema e gangster, finzione e verità (ripreso in seguito fin troppo abbondantemente in quel Rough Cut scritto da Kim Ki-duk e all’origine della crisi spirituale di Arirang), è al contrario originale la dinamica dei rapporti umani che ruotano attorno ad esso e il ruolo negativo del regista Min-ho, totalmente contiguo ai gangster per ambizione e mancanza di scrupoli. L’evidente cinefilia che Ha infonde in questo amaro racconto di formazione sembra richiamare il Doinel di Truffaut o il milieu zavattiniano, confermando la vocazione, già ammirata in Once Upon a Time in High School, di saper cogliere il lato più doloroso dell’adolescenza senza fermarsi alla superficie. In A Dirty Carnival Yoo Ha gioca la sua carta più ambiziosa e nichilista, consegnando un manifesto del cinema di genere destinato a resistere nel tempo, ben oltre la semplice variazione di un canone.
Leonard Vole è accusato dell’omicidio di una ricca vedova ma la moglie Christine rifiuta di testimoniare in sua difesa. Leonard si rivolge allora ad un celebre e anziano avvocato, Wilfrid Robarts, le cui intuizioni sembreranno poter scagionare l’uomo. Le schermaglie legali durante le udienze del processo condurranno lo spettatore a ritmo serrato fino a un clamoroso colpo di scena finale. Un film in cui la suspence la fa da padrona, un meccanismo a orologeria tratto da una pièce teatrale di Agatha Christie, insuperata regina del genere. Un legal thriller ante litteram, che abbina tensione e colpi di scena, inganni ed equivoci. Strepitosa la prova di tutti gli attori, da Charles Laughton, ansimante e graffiante avvocato inglese, alla misteriosa Marlene Dietrich, a Tyrone Power a suo agio pur in un ruolo ambiguo per lui inconsueto. Con questo film Billy Wilder lascia la commedia sofisticata ma non rinuncia alle tematiche da lui predilette, come l’inganno e la maschera. Negli anni ’80 ne è stato realizzato un remake, diretto da Alan Gibson, decisamente non all’altezza dell’originale.
Il giovane George Armstrong Custer arriva all’accademia di West Point e si distingue immediatamente per coraggio, abilità nelle armi e pessimo profitto. Conosce la ragazza che diventerà sua moglie e scalpita quando scoppia la guerra. Finalmente parte e, per un disguido burocratico, si vede assegnare il grado di generale. Alla fine della guerra è un eroe. Diventa comandante del leggendario Settimo cavalleggeri, viene mandato nel Dakota a tener d’occhio gli indiani. Coinvolto in beghe politiche, per la sua irruenza si fa nemico lo Stato Maggiore. Perde il comando e grazie a una petizione al presidente Grant lo riottiene. Nel giugno del 1876 muore da eroe al Little Big Horn lasciando inconsolabile l’adorata moglie. Uno dei migliori western di sempre, perfetto in tutte le combinazioni: regia dal ritmo irresistibile, tempi perfetti del racconto, ricostruzione straordinaria delle sequenze corali e militari, supporto musicale travolgente (Steiner). Ma soprattutto vale l’interpretazione di Errol Flynn, enorme personaggio e stranamente misconosciuto nelle sue qualità di attore. Quando lavorò con Walsh, suo regista preferito, lasciò un profondo segno nella fantasia del pubblico. Fra le scene salienti del film ricordiamo le cariche di Flynn alla testa del Settimo, la famosa canzone di sapore scozzese Garry Owen, l’addio alla moglie e la sequenza della battaglia finale.
Tratto dal romanzo di Jessamyn West. Quando in America scoppia la guerra civile (1861), una famiglia di quaccheri deve confrontare i propri principi religiosi con la realtà: fino a che punto si deve rinunciare alla violenza? Piuttosto ruffiano nel sentimentalismo con cui affronta il tema, accademico nello stile, ricco di carinerie, è soprattutto un film di attori, uno più bravo dell’altro. Palma d’oro a Cannes. Altro titolo: L’uomo senza fucile. Rifatto per la TV nel 1975 da J. Sargent.
Con attori non professionisti. Leone d’oro a sorpresa a Venezia 2006, il 5° film del giovane Zhang-ke (attivo dal 1998) comincia con un piano-sequenza circolare su un battello in navigazione sullo Yangtze, il più lungo fiume asiatico (6300 km) in vista di Fenjie, antica città in via di demolizione: sarà sommersa nell’ambito del progetto idrico Tre Gole che prevede la costruzione di una grande diga e la formazione di un lago di 650 kmq, rendendo obbligatorio il graduale trasferimento di un milione di cinesi. Diventerà la centrale elettrica più grande del mondo. Quel piano-sequenza è seguito da molti altri, di durata varia, tutti funzionali ai personaggi e alla narrazione. Zhang-ke è un narratore che toglie invece di mettere; ha un gusto figurativo raffinato e un passo lento, ma non è affatto un esteta esibizionista. Lavora con telecamere digitali, pochi mezzi e attenzione alla gente comune. Anche qui, come nei suoi 4 film di fiction precedenti, si cimenta con un tema centrale: il costo del progresso tecnico, le conseguenze, in termini umani, della rapida modernizzazione industriale in atto nella Repubblica Popolare. Non dimostra: mostra. Non denuncia: riflette, compiange, condivide. È un film corale con due personaggi: un minatore che si reca a Fenjie per cercare moglie e figlia che non vede da 16 anni; una giovane infermiera che vuole incontrare il marito, da due anni assente da casa. Due storie, due epiloghi diversi che permettono a Zhang-ke, anche sceneggiatore (con Sun Janmin, Guan Na) di confrontare due condizioni socioculturali, popolare e borghese, in dialoghi (sottotitolati) ridotti al minimo. Diviso in 4 capitoli (Sigarette, Liquori, Tè, Caramelle) e sostenuto da un realismo quieto e puntiglioso, ha sussulti e aperture quasi magiche. E un finale di significativa bellezza
Siamo soli nell’universo? Astronomo famoso, autore di libri di divulgazione scientifica e coproduttore del film che gli è dedicato (morì durante le riprese) e che è tratto da un suo romanzo, Carl Sagan risponde di no. Ne è convinta con passione fanatica anche l’astronoma Ellie Arroway (Foster). Dopo un prologo (bellissimo) sulla sua infanzia, l’azione si svolge in 3 tempi: l’inizio dell’ascolto dello spazio galattico; l’arrivo del “messaggio” della stella Vega; il lancio dell’astronave. (Fanta)scienza concettuale e materialistica.
Compositore vorrebbe lanciare una sua canzone attraverso un celebre cantante suo ospite per caso. Fa passare una prostituta per sua moglie e gliela butta tra le braccia. Poi, però, ha paura di rimetterci la moglie vera. Commedia cinica fondata sulla struttura degli equivoci. È il film più segreto, feroce e meno capito di Wilder che si diverte a fustigare sapidamente e con cattiveria il sistema in cui vive. Dalla commedia L’ora della fantasia (1944) di Anna Bonacci
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.