Un impiegato rimasto solo in città, perché la famiglia se ne è andata in villeggiatura, prova un’attrazione sempre maggiore per la vicina di casa bionda e sexy. Alla fine però si spaventa per le possibili conseguenze e fugge a raggiungere la moglie.
Da un romanzo di C.E. Scoggins. Ingegnere nordamericano lavora a una linea ferroviaria in uno stato dell’America meridionale. Deve vedersela con la natura ostile e una moglie troppo viziata dal padre. Primo e ultimo film di R. Wallace con J. Wayne che, per conto suo, ha voluto dimenticare questo lavoro che considerava un incidente di percorso. Mai si era visto un attore come lui in scene così impostate e pretenziose.
Tra le vie residenziali della Londra benestante, Anne si reca a far visita al padre Anthony nel suo appartamento. L’uomo, ottantenne, è rammaricato quando la figlia gli annuncia un prossimo trasferimento a Parigi per raggiungere l’uomo che ama, e chiede cosa ne sarà di lui. Poco dopo, sempre in casa sua, Anthony trova un uomo seduto a leggere il giornale, il quale sostiene di essere il padrone di casa e il marito di Anne. Pur vivace e a tratti ben lucido, Anthony mostra sintomi del morbo di Alzheimer, dimenticando fatti, luoghi e persone. Nel rapporto con i suoi familiari e con la giovane badante Laura, ultima di una lunga serie, la vita di Anthony prosegue per frammenti confusi che la sua mente non riesce più a ricomporre.
Premiato al Festival di Berlino con l’orso d’argento. Hurt è uno scrittore che ha perso la giovane moglie, incinta, Keitel un tabaccaio di Brooklyn. Nella sua tabaccheria passa il mondo, per lo più poveracci. Mentre Hurt dà asilo a un giovane nero in cerca di un padre mai visto, Harvey affronta una drogata che forse è sua figlia.Nel frattempo si racconta: vicende nella vicenda, pure parole. Keitel ha riempito decine di album della stessa fotografia. Da oltre dieci anni, alle otto del mattino, nella stessa posizione, fotografa l’incrocio davanti al suo negozio, col caldo, col freddo, con tanta gente diversa. Casualmente viene inquadrata anche la moglie dello scrittore, che si commuove fino a piangere. Il “New York Times” commissiona a Hurt il racconto di Natale, è una grande occasione per lui, ma non ha l’ispirazione. È Harvey che lo aiuta, raccontandogli una storia straordinaria, di un certo natale di molti anni prima. Nel frattempo tutti i personaggi, proprio tutti, stanno sempre fumando qualcosa. Il film ha anche questa funzione, è una grande promozione del fumo. Film straordinario, il migliore dell’anno insieme a Lisbon Story. Film di parole, dove per una volta vale più lo scrittore del regista. Non è un caso infatti che il film rechi la firma di entrambi. Paul Auster, lo scrittore, è uno dei grandi talenti emergenti nel panorama americano. Si dimostra che la qualità vera, l’intelligenza, il talento recitativo, valgono sempre, e moltissimo. Per lunghe sequenze i due protagonisti raccontano a macchina ferma sul primo piano. Gli ultimi cinque minuti, che visualizzano il racconto natalizio di Keitel, possono entrare nella leggenda del cinema. Un omaggio infine a Harvey Keitel, presente in tanti film decisivi del nostro tempo. La ragione c’è: è il migliore attore cinematografico del mondo.
Un film di Robert Zemeckis. Titolo originale The Polar Express. Animazione, Ratings: Kids, durata 100 min. – USA 2004. uscita venerdì 3dicembre 2004. MYMONETRO Polar Express valutazione media: 2,94 su 37 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Chissà se Tom Hanks, abituato a correre, a vivere su un’isola deserta o a trascorrere le sue giornate in un aeroporto, avrebbe mai immaginato di trasformarsi in digitale e impersonare il capotreno del Polar Express? L’ultimo futuristico progetto di Robert Zemeckis, che vede protagonista l’attore americano, è un viaggio nel Luna Park del Natale (così ce lo illustra), sovraccarico di effetti speciali,di sali e scendi sulle rotaie, nella più classica tradizione dei rollercoaster. Protagonista di questa avventura in 3D è un ragazzino che, sotto la neve, la vigilia di Natale, sbarra gli occhi e prende al volo il Polar Express, fantasmagorico treno diretto al Polo Nord per incontrare Babbo Natale. Tratto da un libro dello scrittore Van Allsburg, Polar Express fa riferimento alla tradizione anglosassone del Natale, non tanto per le icone nordiche, quanto per la spettacolarizzazione (affascinante la sequenza del treno che scivola sul ghiaccio) e l’utilizzo del “musical” (pensiamo a White Christmas con Bing Crosby) come forma di ibridizzazione. Un esempio è l’apparizione di Babbo Natale con la moltitudine di folletti, vera immagine da concerto rock da stadio, e la digitalizzazione di Steven Tyler, cantante degli Aerosmith. Il ruolo dimaestro di cerimonie è perfetto per Tom Hanks, capace, anche in animazione, di esprimere severità e buoni sentimenti da vero leader, fino a moltiplicarsi in più personaggi. Certamente un prodotto per il pubblico giovanissimo che potrà rivivere la magia della favola di Natale come se fosse a Gardaland, fischiettando allegramente quelle canzoncine da festa sentite migliaia di volte. Un film furbo? Può anche darsi, ma modernizzare una tradizione è qualcosa che può riuscire solamente a chi ha ancora dentro, a oltre cinquant’anni, il bambino che c’è in noi, raccontandoci, con i fuochi d’artificio, che non bisogna mai smettere di credere e di sognare, perché la fantasia è uno dei motivi per cui vale la pena vivere.
Un armatore navale, Jim, si reca nel West per sposare la bella figlia di un ranchero. Ma il futuro suocero è impegolato in una guerra privata con il suo vicino. L’armatore, uomo pacifico, rifiuta di schierarsi da una parte o dall’altra. Il fidanzamento viene rotto. Poco male: l’armatore, a guerra privata finita, si sposerà una simpatica maestrina. Western di ampio respiro che appaga molto gli occhi, ma riesce meno significativo del previsto. Heston è relegato in secondo piano, ma accettò la parte perché Wyler gli promise il ruolo principale in Ben Hur. Il film è comunque ritenuto un classico.
Un cinegiornale annuncia la visita della giovane principessa Anna nelle principali capitali europee. L’ultima tappa è Roma, dove, dopo un ricevimento in ambasciata di fronte a tutte le cariche istituzionali e gli esponenti della nobiltà internazionale, la principessa esausta e frustrata dai suoi impegni diplomatici ha una crisi nervosa. Il dottore di corte le somministra un sonnifero, ma prima che faccia effetto, Anna riesce a fuggire da palazzo nascondendosi nell’autocarro delle vivande. Viene trovata poco dopo sdraiata nei pressi dei Fori Imperiali dal reporter americano Joe Bradley, che, senza averla riconosciuta, cerca invano di metterla su un taxi che la riporti a casa, per poi decidere di ospitarla nel proprio studio. Il giorno dopo, Joe si reca alla redazione del suo giornale e solo là, dopo aver visto una foto sul quotidiano del giorno, comprende chi sia realmente la ragazza che sta dormendo a casa sua. Joe scommette allora col suo capo che per il giorno seguente gli farà avere un articolo esclusivo sulla principessa e mette in allerta un suo amico fotografo. Dopo aver accompagnato i pedinamenti e il vago errare dei maestri del neorealismo, Roma aveva bisogno di riscoprire la sua dimensione mitica, fiabesca e aprire quella dimensione gioiosa che sarebbe poi diventata caratteristica della Dolce Vita. “Città aperta” da ormai un decennio, popolata da “ladri di biciclette” quanto da fotografi d’assalto (i futuri paparazzi), la capitale italiana viene esplorata da William Wyler in tutta la sua caotica vitalità senza stereotipi né forzature. La Roma del folklore popolare e la Città Eterna dell’incanto romantico convivono in una fiaba dolceamara che rilegge Cenerentola a ruoli invertiti. Illuminato dal sorriso vivace e dalla fresca bellezza di Audrey Hepburn, Wyler sceglie di far interpretare a questa giovane attrice ancora poco conosciuta la principessa inquieta e incuriosita dalla vita al di fuori di palazzi e ambasciate, affiancandole la star più matura e conosciuta di Gregory Peck. L’Oscar come miglior attrice gli darà ragione e consacrerà la Hepburn al ruolo di Cenerentola glamour del grande schermo (Sabrina, Cenerentola a Parigi). Ma i meriti di Wyler vanno ben oltre la semplice operazione di casting: la sceneggiatura delicata e intelligente di John Dighton e Dalton Trumbo (sostituito dal nome di Ian McLellan Hunter nei titoli a causa dei suoi problemi col maccartismo) trova nella sobrietà della messa in scena di Wyler la cornice più adatta a contenere l’energia esuberante dell’ambientazione romana. L’efficacia della regia la si riconosce in campo lungo quanto nel piccolo dettaglio, nel giocare a carte scoperte con lo spettatore sia quando si sottolinea la noia dell’ufficialità nobiliare con le continue dissolvenze incrociate della scena del ricevimento e il dettaglio della scarpetta della principessa, sia nella sequenza a Castel Sant’Angelo, che scandisce il tumulto di pugni, chitarre usate come mazze e flash fotografici con la grazia di una coreografia. Alla fine, l’onestà di Wyler rende Vacanze romane più un’avventura romantica che una fiaba alla Frank Capra, un’evasione che conosce il senso della misura e per la quale il valore dell’attimo e di una chiusa efficace risultano più importanti di qualunque happy ending. “E a mezzanotte, me ne tornerò, simile a Cenerentola, là da dove sono evasa.” – dice la Hepburn a Peck. Al che lui le risponde: “E sarà la fine di una bella favola”.
Industriale americano e impiegata inglese s’incontrano a Ischia dove sono arrivati per recuperare le salme rispettivamente del padre e della madre morti insieme in un incidente. Commedia sottovalutata in Italia anche per motivi nazionalistici, e negli USA per miopia critica, questo 22° film del grande B. Wilder è degno della sua fama di regista graffiante e irriverente, che va a mescolare tenerezza e cinismo. Un po’ prolisso, ripetitivo e folcloristico. Una coppia perfetta di protagonisti e una breve apparizione di Pippo Franco. Tratta da una pièce di Samuel Taylor e sceneggiata da Wilder con I.A.L. Diamond. Contributi italiani di L. Kuveiller (fotogr.), F. Scarfiotti (scene), C. Rustichelli (musica).
John Keating, insegnante di letteratura inglese, arriva nel 1959 alla Welton Academy dove regnano Onore, Disciplina, Tradizione e ne sconvolge l’ordine insegnando ai ragazzi, attraverso la poesia, la forza creativa della libertà e dell’anticonformismo. Coraggioso nella scelta tematica, discutibile nella sua poco critica esaltazione dell’individualismo e con qualche forzatura retorica, è una macchina narrativa perfettamente oliata che non perde un colpo sino al finale che scalda il cuore, inumidisce gli occhi e strappa l’applauso. Di suo P. Weir ci mette l’abituale misticismo e la sapiente guida nella recitazione dei ragazzi inesperti tra cui spicca R.S. Leonard sebbene solo E. Hawke abbia fatto carriera. Eccellente R. Williams. Oscar per la sceneggiatura di Tom Schulman. Inatteso campione d’incassi 1989-90.
Dal dramma (1933) di Owen Davis: New Orleans, 1850. Giovane proprietaria di piantagioni esaspera con i suoi capricci l’uomo amato che la lascia e sposa un’altra. Quando anni dopo lui s’ammala di febbre gialla lo raggiunge in quarantena, disposta a morire. Due momenti forti in questo melodramma che fu la risposta (anticipata) della Warner a Via col vento: la scena del ballo e le sequenze dell’epidemia. La Davis vinse il suo 2° Oscar dopo Paura d’amare e la Bainter quello dell’attrice non protagonista. Nomination per regia, fotografia di E. Haller e musiche di M. Steiner, ammirevoli.
Un film di Robert Wise. Con Robert Ryan, Audrey Totter, George Tobias, Wallace Ford. Titolo originale The Set-Up. Drammatico, Ratings: Kids+13, b/n durata 72 min. – USA 1949. MYMONETRO Stasera ho vinto anch’io valutazione media: 4,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Raggirato dal suo stesso manager che speculava con le scommesse sulle sue sconfitte, un pugile ormai al termine della carriera decide di far di testa sua e riesce a vincere per KO il suo ultimo match. Il disonesto manager perde una grossa somma e, al termine del combattimento, lo fa punire in modo tale da non consentirgli più di boxare.
Il castello maledetto è una pellicola americana horror del 1932, diretta da James Whale e interpretata da Boris Karloff, Charles Laughton e Gloria Stuart. La pellicola venne prodotta un anno dopo la celebre interpretazione di Karloff di Frankenstein, ma a dispetto della presenza di Karloff la pellicola venne ignorata al botteghino, rivelandosi un grosso insuccesso negli Stati Uniti, mentre fu accolto con grosso favore nel Regno Unito dove il distintivo humour nero del regista Whale venne meglio compreso. Per diversi anni la pellicola venne annoverata tra i film perduti fino a quando alla fine degli anni ’60 non ne riemersero i negativi grazie alle ricerche di Curtis Harrington che li recuperò negli archivi della Universal Studios e ne curò il restauro. Mentre cercano riparo da un tremendo acquazzone in una remota regione del Galles, alcuni viaggiatori vengono accolti in una tenebrosa e sperduta magione appartenente alla oscura casata dei Femm. Cercando di essere gentili con i loro ospiti, i malcapitati dovranno scontrarsi con i modi bruschi e foschi del padrone di casa, il tenebroso Horace Femm e con l’ossessiva e malevola sorella Rebecca. Le cose volgeranno al peggio quando il brutale maggiordomo della casa Morgan, dopo essersi ubriacato, libererà suo fratello Saul, uno psicotico piromane che cercherà di dare fuoco alla magione con tutti i suoi occupanti.
Da una domenica all’altra. La vita di due fratelli è sconvolta dall’arrivo inatteso di un padre che aveva lasciato la famiglia undici anni prima e che li porta in gita in auto sul lago Ladoga, non lontano da San Pietroburgo. Ne nasce un rapporto conflittuale di conoscenza reciproca. 1° lungometraggio di un regista siberiano che, oltre al Premio Opera Prima, vinse il Leone d’oro a Venezia 2003, 41 anni dopo L’infanzia di Ivan di Andrej Tarkovskij. Il più piccolo dei due fratelli si chiama Vanja, diminutivo di Ivan: è lui al centro dell’azione di cui il padre è il motore. “Non ci sono né simboli né metafore. Due ragazzini vanno sull’isola col padre: non è una metafora, è una storia che appartiene alla vita” (A. Zvyagintsev). È un invito a rinunciare alla smania dell’interpretazione davanti a un film che non dà risposte alle domande che pone. Un invito a guardare, a lasciarsi avvolgere dall’atmosfera fuori dal tempo e rarefatta dei luoghi, delle azioni, delle parole, ad attendere la conclusione tragica, preannunciata all’inizio dall’immagine del padre addormentato, ricalcata sul Cristo morto di Andrea Mantegna. Non è una metafora? Forse, però c’è un approccio mitico come se “intendesse costituire una sorta di racconto originario: la storia che riassume tutte le altre. Che dà una ‘forma’ poetica a tutte le altre” (U. Mosca). Questo viaggio col padre è un corso di formazione alla vita, un incontro con la vita adulta, raccontato in una dimensione quasi religiosa. Fotografia: Mikhail Krichman. Musiche: Andrej Dergachev.
In un ristorante di poche pretese e pochi clienti tutte le regole e le convenzioni borghesi vengono capovolte o abbattute. Niente abiti per i clienti, niente divise per i camerieri, tutti sembrano essere piuttosto a proprio agio e questa libertà anche di costumi (o abiti!) permette ai vari personaggi di lasciarsi andare alle proprie memorie, angosce, confessioni.
Un polacco vede la sua famiglia massacrata dai tedeschi durante la guerra. Fugge e al suo posto i tedeschi catturano un uomo che gli somiglia. Il fuggiasco conosce la famiglia del suo sosia. La donna è la copia esatta di sua moglie. Inizia una nuova vita per il fuggitivo.
Dalla commedia Sabrina Fair (1953) di Samuel A. Taylor, riscritta da Wilder con S.A. Taylor e Ernest Lehman per Paramount. Per dimenticare il figlio del padrone di cui è innamorata fin da ragazzina, la figlia dell’autista di una ricca famiglia americana va a studiare a Parigi. Trasformata in una donna di gran classe, torna due anni dopo e fa innamorare tutti e due i padroni, lo scapestrato e il serio. Una delle commedie meno “cattive” di B. Wilder, tra le più deboli e sicuramente la più zuccherata e convenzionale che, comunque, inietta sagacemente i suoi veleni in un contesto di squisita piacevolezza e di frivola intelligenza. Uno dei 2 protagonisti maschili è fuori parte (Bogart), l’altro (Holden) fuori tono. Consacrò A. Hepburn come star. Oscar ai costumi di Edith Head e 4 nomination: regista/sceneggiatore (Wilder), fotografia (C. Lang Jr.), scenografia (H. Pereira, W. Tyler) e la Hepburn.
La storia narra un fatto veramente accaduto verso la fine del secolo scorso. Un giovane nobile diserta per stare accanto alla donna che ama. Continuamente obbligati a scappare e a vivere con mezzi di fortuna, i due non riescono a trovare la serenità.
Un procuratore distrettuale è deciso a mandare sulla sedia elettrica il capo dell’anonima assassini, ma il suo testimone chiave muore. Il procuratore sta per rilasciare il gangster quando viene a sapere che è stata trovata una ragazza che ha assistito a un delitto commesso personalmente dal temuto boss. Gara di velocità con sicari dell’anonima che hanno individuato anche loro la fanciulla. Un capolavoro del genere noir attribuito al regista Raoul Walsh.
Dal romanzo di Vasco Pratolini. È la storia di due fratelli, dai primissimi anni dell’infanzia fino alla morte di Lorenzo, il minore, fra i due il più esposto, gracile e sfortunato.Enrico, il maggiore, giornalista faticosamente realizzatosi, rievoca gli sforzi per sostenere il fratello durante l’infanzia e l’adolescenza, la malattia di Lorenzo, l’ultimo penosissimo viaggio a Firenze, dove il poveretto va a morire.
Un film di Robert Wise. Con Everett Sloane, Paul Newman, Steve McQueen, Pier Angeli, Eileen Heckart.Titolo originale Somebody up There Likes me. Biografico, Ratings: Kids+16, b/n durata 113 min. – USA 1956. MYMONETRO Lassù qualcuno mi ama valutazione media: 3,98 su 14 recensioni di critica, pubblico e dizionari. La storia romanzata del famoso boxeur italo-americano Rocky Graziano, che visse una giovinezza aspra tra un riformatorio e l’altro prima di divenire campione di fama mondiale. Il matrimonio con Norma e la nascita di una bambina non bastano a renderlo felice, quando in un mondo corrotto e mafioso come quello del pugilato arrivano a sbandierare il suo triste passato. Ma il pubblico fedele non lo abbandona.
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