Da un episodio del romanzo Jean le bleu (1932) di Jean Giono. In un paese della Provenza arriva il nuovo fornaio, Aimable Castanier (Raimu), che si fa presto apprezzare da tutti per la bontà dei suoi prodotti. Quando la sua giovane moglie Aurélie (Leclerc) scappa col pastore del marchese di Venelles, il fornaio, disperato, smette di fare il pane. Tutto il paese partecipa alla ricerca della fuggitiva. “Maestro dell’uno e del multiplo”, Pagnol tocca qui uno dei vertici della sua carriera col ritratto di Aimable (uno straordinario Raimu) e con la piccola folla di personaggi che gli fanno corona: la loro solidarietà nascosta è, come le disavventure del fornaio, l’asse portante del racconto. Bellissimo film agreste che fa macchia nel cinema francese dell’epoca per il suo solare calore mediterraneo, l’ammirevole fusione di ironia e compassione, precisione realistica e folclore pittoresco. Inosservato in Italia dove fu distribuito soltanto nel 1943 col divieto ai minori di 16 anni, ebbe un grande successo sui mercati di lingua inglese.
Nato e cresciuto in un paesino dell’Alabama, Forrest Gump, che alla scarsa intelligenza accoppia la generosità del cuore, riesce a laurearsi perché è un campione di corsa, diventa un eroe in Vietnam, fa i miliardi con la pesca dei gamberi, diventa una specie di guru, è ricevuto da tre presidenti alla Casa Bianca, provoca lo scandalo Watergate, dopo anni di attesa sposa il suo grande amore che gli dà un figlio e muore di qualcosa che assomiglia all’Aids. Tratto dal romanzo di Winston Groom – che è stato sottoposto a un lavaggio hollywoodiano – è un film che, come scrisse un critico americano, non ti fa pensare ma sentire, oppure ti fa pensare al modo con cui si sente. Bravissimo Hanks, idiota gentile anche nei minimi dettagli. Efficaci gli effetti speciali con nuove tecniche di editing digitale che consentono a Zemeckis di inserire Hanks in vecchi telegiornali accanto a Nixon, Kennedy, Johnson, John Lennon e di moltiplicare le comparse davanti al Lincoln Memorial di Washington. 6 Oscar: film, regia, attore protagonista, sceneggiatura, effetti speciali, montaggio.
NY 1952, durante il maccartismo. Carol – bella, ricca, raffinata e affascinante signora di mezza età – vuole divorziare dal marito che si oppone e la ricatta sull’affidamento della figlia. In un grande magazzino incontra la giovane e graziosa Therese, commessa per necessità e aspirante fotografa. S’innamorano, fuggono in auto verso il West, ma vengono rintracciate. Trasponendo in immagini un romanzo di Patricia Highsmith ( The Price of Salt ), sceneggiato da Phyllis Nagy, Haynes conferma e affina la sua formula del melodramma d’amore gay, questa volta femminile, incentrato sul conflitto tra sentimenti individuali e convenzioni sociali (il romanzo è del ’53!). La confezione – con la rievocativa fotografia pulviscolare di Edward Lachman e le mirabili interpretazioni delle 2 protagoniste – scarseggia di tensione emotiva e qua e là s’ingolfa. 6 nomination agli Oscar 2016: Blanchett, Mara, sceneggiatura, fotografia, costumi (Sandy Powell), musiche originali (Carter Burwell).
Al “Boston Globe” nell’estate del 2001 arriva da Miami un nuovo direttore, Marty Baron. E’ deciso a far sì che il giornale torni in prima linea su tematiche anche scottanti, liberando dalla routine il team di giornalisti investigativi che è aggregato sotto la sigla di ‘Spotlight’. Il primo argomento di cui vuole che il giornale si occupi è quello relativo a un sacerdote che nel corso di trent’anni ha abusato numerosi giovani senza che contro di lui venissero presiprovvedimenti drastici. Baron è convinto che il cardinale di Boston fosse al corrente del problema ma che abbia fatto tutto quanto era in suo potere perché la questione venisse insabbiata. Nasce così un’inchiesta che ha portato letteralmente alla luce un numero molto elevato di abusi di minori in ambito ecclesiale.are nel sospetto di un’opinione pubblica, spesso pronta alla semplificazione, un clero che nella sua stragrande maggioranza ha tutt’altra linea di condotta. La forza con cui Papa Francesco ha condannato, anche con la detenzione entro le mura vaticane, i colpevoli di questo tipo di reati è prova di un’acquisita nuova consapevolezza in materia. Quell’inchiesta di poco più di dieci anni fa ne è all’origine e quei giornalisti, anche se non ne erano del tutto consapevoli, finivano con il ricordare a chi regalava loro copie del Catechismo di andare a rileggere e fare proprie le parole di Gesù: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare” (Matteo 18, 6).
Da un romanzo di John Haase: la vita di un medico di San Francisco con moglie poco amata e due figli quasi estranei è sconvolta dall’incontro con una giovane donna un po’ svitata e con molti problemi familiari sulle spalle. Più di lui, sicuramente. È, in assoluto, il miglior film di Lester, americano di origine e britannico d’adozione, una delle più significative tragicommedie degli anni ’60, un rapporto brillante e, insieme, dolorosamente inquietante sulla società dei consumi arrivata a un momento di crisi. Il disordine, tema maggiore del cinema di Lester, è impersonato da Petulia (J. Christie). Molte scene memorabili, e una tecnica narrativa di ammirevole brio audiovisivo cui ha dato un importante contributo il direttore della fotografia Nicholas Roeg che passò alla regia in quel ’68 con Performance diretto insieme a Donald Cammell. Uno dei rari casi in cui un film altera la lieta fine del romanzo.
Léon è un killer, un sicario a pagamento della peggior specie, introvabile e indistruttibile, fin quando un topolino penetra nel suo universo: un topo piccolo con gli occhi immensi della dodicenne Matilde. A parte Reno, per il quale il film è stato scritto su misura, la piccola Portman è la rivelazione del film. È la bizzarra, perversa e onesta storia d’amore tra una dodicenne e un sicario. Amore senza sesso. Lui, l’adulto bambino, la istruisce a uccidere; lei, la bambina adulta, gli insegna a vivere. Besson è un manierista, ma sa prendere i suoi rischi: il suo è un cinema d’azione che non esclude, però, né una strenua attenzione alla psicologia né la cura puntigliosa dei personaggi. Notevoli Oldman e Aiello.
Nel 1933 Chuck, un ispettore della TVA (Tennessee Valley Authority), ente statale voluto da Roosevelt, che ha deciso l’allagamento di una valle per costruire una diga e porre fine alle inondazioni del “fiume selvaggio”, si scontra con una vecchia matriarca, l’unica che si rifiuta di vendere le sue terre, e con i notabili bianchi che pagano gli operai neri con tariffe dimezzate. Prodotto dal regista per la Fox, scritto da John Osborn sulla base dei romanzi Mud on the Stars di William Bradford Huie e Dunbar’s Cove di Borden Deal, è il più umanistico tra i titoli di Kazan e uno dei grandi film sul tema dell’acqua, rispettosamente attento alle ragioni contrapposte di Ella Garth (il vecchio) e dello scrupoloso funzionario (il nuovo). Ma c’è l’intervento di Carol (il presente), giovane vedova e nuora di Ella, che con l’amore mette in crisi l’universo di Chuck. “Caratteristico del suo ultimo periodo, lo stile di Kazan tende verso la serenità, la contemplazione” (J. Lourcelles). Nonostante il preciso e concreto contesto storico-sociale, è anche un calmo, potente poema lirico che si rispecchia nella maestosa bellezza della natura (Cinemascope di Ellsworth Fredericks). Superba direzione degli attori: portano sul volto, come cicatrici, i segni del conflitto che vivono. Troppo lento per avere successo di pubblico. Neanche una nomina agli Oscar.
Un film di Milos Forman. Con Ladislav Jakim, Pavla Martinkova Titolo originale Cerný Petr. Commedia, b/n durata 80′ min. – Cecoslovacchia 1963. MYMONETRO L’asso di picche valutazione media: 4,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Pieno di aspettative nei confronti del figlio, lo fa assumere in un supermercato promettendogli un roseo futuro. Il ragazzo, però, è insoddisfatto e pieno di problemi. Esordio di Forman nel lungometraggio. È un’acuta, amara, realistica analisi delle giovani generazioni e dei loro problemi in una grigia e soffocante realtà socialista sul filo di un linguaggio leggero e decontratto, fatto di simpatia e lucidità, ironia e tenerezza, invenzioni gaie e notazioni amarognole. Il 30enne regista/sceneggiatore (con Jaroslav Papoušek) ricorre quasi sempre ai “lunghi fuochi”, cioè piazza la cinepresa lontana dagli attori che così agiscono e sono ripresi in libertà con ammirevoli effetti di autenticità. Gran Premio e premio della Giovane Critica a Locarno 1963; premio della FICC e della rivista “Cinema” a Venezia; premio dei critici cecoslovacchi.
Proprio come nelle favole, Totò nasce sotto un cavolo e viene adottato da una buona vecchina che purtroppo muore troppo presto. Però il suo spirito non abbandona mai il buon Totò e gli viene in aiuto nei momenti più difficili. Soprattutto quando un ricco commendatore tenta di scacciare Totò e i suoi amici dal terreno sul quale vivono perché vi ha trovato il petrolio. Per merito della colomba magica che gli ha donato lo spirito della madrina, Totò compie molti miracoli e chiude in bellezza organizzando un esodo di tutti i poveri e gli sfrattati che partono alla ricerca di un mondo più giusto a cavallo delle scope.
Primo anno dell’occupazione tedesca in Francia. Il Colonnello delle SS Hans Landa, dopo un lungo e mellifluo interrogatorio, decima l’ultima famiglia ebrea sopravvissuta in una località di campagna. La giovane Shosanna riesce però a fuggire. Diventerà proprietaria di una sala cinematografica in cui confluirà un doppio tentativo di eliminare tutte le alte sfere del nazismo, Hitler compreso. Infatti, al piano messo in atto artigianalmente dalla ragazza se ne somma uno più complesso. Ad organizzarlo è un gruppo di ebrei americani guidati dal tenente Aldo Raine i quali non si fermano dinanzi a niente pur di far pagare ai nazisti le loro colpe. Quentin Tarantino colpisce ancora. La sua passione per il cinema di genere, unita al piacere di raccontare storie, lo porta a riscrivere la Storia ufficiale con un attentato a Hitler collocato nell’unico luogo in cui il regista americano può pensare si possa attuare una giustizia degna di questo nome: una sala cinematografica. È solo al cinema che i cattivi muiono quando devono e gli eroi si sacrificano o trionfano. È cinema puro quello che Tarantino porta sullo schermo, come biglietto da visita di Bastardi senza gloria nella prima mezzora. I tempi, i dialoghi, la tensione, l’ironia giocata sul versante delle lingue differenti (elemento che sarà il fil rouge di tutto il film) ne fanno un piccolo/grande gioiello i cui riferimenti vanno ampiamente al di là dei referenti classici dichiarati quali Sergio Leone e lo spaghetti western. Il film nel suo complesso non manca di qualche momento statico che fa sentire il peso della sua lunga durata. Grazie però alla straordinaria prestazione di tutto il cast ma in particolare a quella di Christoph Waltz (attore austriaco semisconosciuto da noi a riprova che, al di là dei proclami sulla circolazione delle idee, conosciamo pochissimo del cinema europeo) e grande rivelazione di questo film, Tarantino conduce le danze rendendo omaggio a Enzo Castellari senza per questo avere la minima intenzione di realizzare un remake. Semmai resta, nello spettatore che ha amato il cinema di Ernst Lubitsch, il piacere di un soggetto che, in alcune sue parti, non può non far pensare a To Be Or Not To Be (tradotto in italiano in Vogliamo vivere ripreso poi da Mel Brooks). Là era il teatro a dominare, qui c’è un’attrice cinematografica a fare il doppio gioco e dei guerriglieri macho che si spacciano per poco credibili italiani in una sala cinematografica. Tarantino è forse l’unico regista contemporaneo capace di metabolizzare un universo cinematografico di cui si nutre costantemente (chi scrive lo ha visto applaudire calorosamente, confuso tra il pubblico della proiezione stampa, alla prima cannesiana di Looking for Eric di Ken Loach che fa un cinema distante anni luce dal suo). Lo metabolizza restituendocelo nuovo e assolutamente personale (si veda, tra i tanti e a titolo di esempio, il riferimento a Duello al sole). Perchè Tarantino ama il Cinema tout court (e non solamente, come tanti altri registi, il proprio cinema) ed è felice quando riesce a trasmettere questa sua passione. Anche in questa occasione la missione è compiuta.
Un classico di Kurosawa, una metafora che parte da un caso individuale e suggerisce il malessere del Giappone del dopoguerra. Un anziano impiegato scopre che ha un cancro e solo un anno da vivere. Cerca di dare un significato ai giorni che gli rimangono e, non trovando un conforto in famiglia, s’affeziona a un gruppo di madri che cercano un’area per far giocare i loro bambini. Termina la vita dell’uomo, ma con la gioia di vedere cominciare quella degli altri.
Liberamente tratto dal racconto di Alessandro Baricco Novecento. Novecento è il nome che viene dato ad un trovatello abbandonato su una nave il primo mese del primo anno del secolo. Il bambino cresce sulla nave, non conosce altro. Finché scopre di avere un inverosimile talento per il piano. Cresce suonando e senza mai scendere a terra. La sua storia si propaga, diventa leggenda.
Mima, cantante di poco successo di un trio pop giapponese, le CHAM, lascia il suo gruppo per dedicarsi alla carriera di attrice, esordendo in una pellicola nel ruolo secondario di una ragazza mentalmente instabile. Ma la sua decisione è avvertita da un fan come un tradimento e scatena le sue violente manifestazioni d’ira, fino a efferati omicidi e a una spersonalizzazione della protagonista all’interno della cui mente si insinua un solo e unico sospetto: è forse lei la vera autrice di queste morti? Pluripremiato lungometraggio di animazione e primo degli psycho thriller della storia dei cartoni animati, per la regia dell’ottimo esordiente Satoshi Kon (uno dei più famosi assistenti di Katsuhiro Otomo) che si farà notare anche per la versione anime di Viale del tramonto (Millennium Actress, 2001). Da sempre affascinato dalle meccaniche del cinema e dello spettacolo, Kon prende la sceneggiatura di questa pellicola (tratta da un romanzo di Yoshikazu Takeuchi) che inizialmente doveva essere portata sullo schermo da attori in carne e ossa, e le dà forma con la sua matita in una maniera virtuosa, lontano da quel solito freddo esercizio di equilibrismo stilistico tipicamente nipponico. Lineare e compatto, riesce a tenere saldamente i fili della suspense, tessendo la trama a perfezione.
Il film è tratto dal romanzo Washington Square di Henry James. Una giovane donna timida e scialba si innamora di un uomo che mira soltanto alla sua dote. Il padre della ragazza tenta di dissuaderla e per questo la porta in Europa, ma al ritorno il cacciatore di dote riprende l’assedio. La ragazza annuncia al giovanotto che rinuncerà all’eredità paterna pur di poterlo sposare, e da quel momento l’innamorato sparisce. Si ripresenta dopo che il padre della fanciulla è morto, ma trova la porta irrimediabilmente chiusa. È un film eccellente. William Wyler era uno dei registi americani di gusto europeo. I tre protagonisti diedero il massimo; Clift, dopo essersi fatto conoscere l’anno prima col Fiume Rosso, si affermò del tutto.
L’ “uomo ombra” del titolo è uno scienziato che scompare misteriosamente. Gli vengono attribuiti alcuni delitti, e Charles viene incaricato delle indagini dalla preoccupatissima figlia del professore. Soluzione a sorpresa.
Nel 1870 scout dell’esercito USA salva la vita a Cochise, sposa una pellerossa e cerca di stabilire la pace con gli Apaches. Ma c’è chi ha interesse a fomentare la guerra. È il western che inaugurò il filone filoindiano negli anni ’50. Buon racconto avventuroso, un po’ troppo solenne, ma con risvolti teneri e efficaci scene d’azione. Diede origine alla serie TV Broken Arrow.
Will Hunting, ragazzo di un quartiere povero di Boston con molti piccoli crimini alle spalle, fa le pulizie al MIT (Massachusetts Institute of Tecnology) ed è un genio matematico allo stadio brado. Se lo contendono due adulti colti: l’uno vuol prendersi cura del suo cervello (e del futuro del proprio portafoglio), l’altro del suo cuore. Con l’aiuto di una ragazza innamorata, vince il secondo. Ideato e scritto dagli attori Damon e Affleck (premiati con l’Oscar per la sceneggiatura originale),è un film complesso nella sua apparente semplicità (paradossalmente a mezza strada tra Belli e dannati e L’attimo fuggente) che tocca molti temi: l’isolamento; la ricerca di un padre (e di un figlio) tra due persone simili e complementari; il diritto-dovere di liberarsi di un’infanzia infelice; la difficoltà di vivere di un genio _ o, comunque, di un “diverso” _ che non vuole farsi assorbire o stritolare dal sistema. Oscar per l’attore non protagonista a R. Williams.
La cometa Halley che s’avvicina alla Terra provoca calure straordinarie e nevicate, mentre si diffonde il STBO, virus mortale che si trasmette tra chi fa l’amore senza sentimento. Amori impossibili, fantasie e apocalisse. Uno di quei film che pongono allo spettatore un’alternativa radicale: prendere o lasciare, fascino o irritazione; una mescolanza caleidoscopica e straniante di parole e immagini, in bilico tra il sublime e la parodia. Sceneggiatura sgangherata, ma un lirismo forsennato con omaggi al cinema muto e all’universo dei fumetti. Premio Delluc 1986; premio Alfred Bauer a Berlino 1987.
Due vecchie pazzerelle fanno opere caritatevoli con vino di sambuco all’arsenico. Un fratello demente le aiuta a seppellire i cadaveri. Un classico della commedia nera. Come un testo teatrale (di Joseph Kesselring, 1941) riesce a diventare un film di irresistibile dinamismo e di buffoneria scatenata. Le vecchiette e Grant sono super, ma il coro dei caratteristi (Massey, Lorre, Alexander) non è da meno. L’uscita del film fu ritardata di quasi 2 anni per non danneggiare lo spettacolo teatrale, che nel frattempo aveva resistito in cartellone contro ogni previsione.
Regia di Liang Zhao. Un film Da vedere 2015 Titolo originale: Bei xi mo shou. Genere Documentario – Cina, Francia, 2015, durata 95 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 Valutazione: 4,00 Stelle, sulla base di 1 recensione.
Nel mezzo del cammin della sua vita un uomo nudo giace ripiegato su se stesso in posizione fetale nella Cina di oggi, al confine fra due mondi: un paradiso agreste che fa già parte di un passato irreversibile e un inferno minerario creato seguendo l’istinto distruttivo della mitologica bestia Behemoth. La terra è profanata da ruspe che scavano come artigli e viene trasportata lontano dai “giocattoli del mostro”, non prima di essere stata scandagliata da mani febbrili alla ricerca di qualcosa di prezioso che non dà gioia a chi lo trova. I minatori che popolano questo girone dantesco sono sproporzionatamente piccoli rispetto a ciò che producono, e facilmente rimpiazzabili, nel caso venissero spazzati via dalle esplosioni che sventrano le montagne, o fatalmente intossicati dal fumo e dal debris che esala dalle pareti violate, o arrostiti dalla lava che scorre dalle viscere stuprate come sangue incandescente. È una Divina Tragedia la cui guida non è un compositore di endecasillabi ma un uomo comune con uno specchio appoggiato sulle spalle che riflette il disastro a ritroso, e cerca segni di vita nel deserto.
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