Cork, Irlanda. Syracuse, detto Cyrcus, è un pescatore che vive da solo dopo che la moglie lo ha lasciato. I due hanno una bambina di 10 anni, Annie, che è gravemente ammalata ai reni. Un giorno Syracuse tira su la rete e ci trova una giovane donna che dice di chiamarsi Ondine e non vuole essere vista da nessuno. Annie però la scoprirà e si convincerà che si tratti di una selkie, un personaggio leggendario che vive nel mare e diviene umano se ne esce. Fatto sta che le cose sembrano andare meglio per Syracuse. A partire dalla pesca che diviene molto più consistente. Il pescatore però non riuscirà a tenere a lungo nascosta la presenza di Ondine e le conseguenze non si faranno attendere.
Rosaleen, ragazzina inglese, sogna di lupi e di lupi mannari. Dal racconto di Angela Carter nel libro La camera di sangue (1979), da lei stessa sceneggiato con il regista. 2°, insolito film dello scrittore irlandese Jordan che ebbe un inaspettato successo per il suo erotismo allusivo, le qualità figurative, i bizzarri trucchi. Discontinuo, ma con sequenze di suggestiva intensità fantastica e onirica: è, in fondo, la favola di Cappuccetto Rosso in chiave orrorifica e psicoanalitica. Uno dei più stravaganti film britannici degli anni ’80. Per adulti intelligenti e bambini precoci. In precedenza la Carter aveva tratto dallo stesso racconto un radiodramma, trasmesso dalla BBC nel 1980.
Liberamente tratto dal libro omonimo di Marguerite Andrée Sécheraye: il calvario di una ragazza malata e dei metodi terapeutici di cui la sua analista si serve per riportarla alla normalità, raccontato dal punto di vista della seconda. Ambientato in una clinica svizzera, è uno dei rari film di contenuto psicanalitico corretti, accettabili ed emozionanti. Hanno collaborato Fabio Carpi e, come consulente, Franco Fornari.
La deportazione e lo sterminio degli ebrei nella seconda guerra mondiale in chiave di favola, quella che una ragazza ebrea racconta al suo fratellino cieco mentre viaggiano sul treno della morte. Scritto da Edith Bruck, moglie del regista, è un sincero e commovente 1° film in cui, però, c’è un sensibile scarto tra intenzioni poetiche e risultati espressivi. Troppo sentimentale.
Claire Cooper è afflitta da un ricorrente sogno acquatico. Quando sua figlia scompare e viene trovata annegata, entra in contatto telepatico con un assassino periodico di bambini, perseguitato da incubi infantili. In questo film, desunto dal romanzo Doll’s Eyes di Bari Wood e da lui sceneggiato con Bruce Robinson, l’irlandese Jordan recupera le tematiche freudiane dell’inconscio e la visionarietà fantastica di In compagnia dei lupi (1984), che lo impose all’attenzione della critica. Le approfondisce, esasperandole, ma anche affinandole nella scrittura col contributo della fotografia di Darius Khondji ( Seven ). Doloroso e inquietante, trasgredisce le regole narrative di Hollywood evitando una spiegazione logica del finale. Sempre così bravina, la Bening dà qui la sua migliore interpretazione.
Un film di Stephen Roberts. Con William Powell, Jean Arthur, Eric Blore Titolo originale The Ex Mrs. Bradford. Giallo, b/n durata 80 min. – USA 1936. MYMONETRO Il fantino di Kent valutazione media: 3,00 su 1 recensione. Un medico fugge dalla moglie, autrice di libri polizieschi, perché stanco di essere coinvolto in fantastiche storie di assassinii. Ma la donna torna a cercarlo per parlargli di un giallo vero e gli chiede di aiutarla a risolverlo. Suo malgrado, l’uomo si trova coinvolto nell’intricata vicenda che riuscirà a dipanare solo con molta fatica.
Nella Londra del 1946 lo scrittore Maurice Bendrix (Fiennes) rievoca con parole di odio la storia della sua appassionata relazione con Sarah Miles (Moore), moglie di un facoltoso funzionario statale (Rea), iniziata nel 1939 e da lei troncata improvvisamente nel 1944 dopo che una delle V1 tedesche aveva colpito la casa dello scrittore, ferendolo. Dal romanzo La fine dell’avventura (1951) di Graham Greene, adattato dal regista (che l’ha anche prodotto con Stephen Woolley, produttore di 9 suoi film precedenti), mantenendone la struttura a flashback e accentuandone l’ossessiva miscela di amore-odio, gelosia-tradimento, fede-agnosticismo. In questo giallo della passione (è, in fondo, la storia di una investigazione che soltanto il diario di Sarah risolve), sullo sfondo di una Londra piovosa, si dà anche troppo spazio alle ripetizioni dei bombardamenti e a quei congressi carnali che nel mediocre film hollywoodiano (1955) di Dmytryk erano stati soltanto suggeriti. All’intensità cupa del film, oltre a un trio di convincenti coprotagonisti, danno il loro contributo la fotografia di Roger Pratt, le scene di Anthony Pratt, i costumi di Sandy Powell e la musica coinvolgente di Michael Nyman. Nel 1969 la RAI ne fece uno sceneggiato in 3 puntate, scritto da Diego Fabbri e diretto da Gianfranco Bettetini.
Per conquistare il trono di Cornovaglia il mago Pendragon si serve di una serie di mostri. Il giovane Jack si fa aiutare da uno gnomo per ostacolarlo. Film che ha lo stile giusto e l’atmosfera magica della favola. Di buon livello la recitazione, alacre il ritmo ed eccellenti gli effetti speciali.
Betsabea, donna inquieta e indipendente, è quasi fidanzata al ricco agricoltore Boldwood (Finch), sposa il sergente Troy (Stamp) di aristocrazia bastarda che la maltratta, è adorata in silenzio dal buon pastore Gabriel Oak (Bates).Dei 14 romanzi di Thomas Hardy, Via dalla pazza folla (1874) è uno dei meno elogiati dalla critica. Schlesinger e lo sceneggiatore Frederic Raphael l’hanno adattato con puntigliosa fedeltà alla lettera e allo spirito, senza riuscire però a dar vita a personaggi “più grandi della vita”. La vera protagonista è la campagna del Dorset, lussureggiante e suggestiva, fotografata da Nicolas Roeg.
Un orfano è adottato dalla stravagante e dinamica zia Mame che dopo avergli insegnato a vivere, arricchendo la sua memoria dei ricordi degli ultimi anni ’20 e primi anni ’30, gli trova anche la moglie giusta. All’origine c’è il romanzo Auntie Mame (1955) di Patrick Dennis che, rifiutato da 19 editori, vendette 2 milioni di copie, rimase in classifica per 122 settimane e diede origine a una versione teatrale di Jerome Lawrence e Robert E. Lee, recitata per 639 repliche dalla Russell. L’adattamento di Betty Comden e Adolphe Green per la Warner fa evaporare la poliforme comicità del romanzo. La convenzionale regia di M. da Costa fa il resto. Fortunatamente c’è la 50enne Russell, insaziabile chiacchierona, a tenerlo in piedi. Ebbe 6 candidature agli Oscar tra cui quelle della fotografia (Harry Stradling) e dell’attrice protagonista. Anni dopo ne fu tratto il musical Mame , a sua volta trasformato in film (1974) con la regia di Gene Saks e Lucille Ball protagonista. Il libro fu ripubblicato con rinnovato successo da Adelphi nel 2009.
Professore di archeologia deve decifrare un geroglifico, ma la bella Yasmin lo avverte che è in pericolo. Tratto dal romanzo The Chiper di Gordon Cotler, è un gustoso film d’avventure, originale nell’impostazione, nelle trovate e specialmente nel caleidoscopico grafismo.
Il documentario di Morgan Spurlock traccia una linea di confine tra la cattiva alimentazione e il cittadino che la “subisce”. Il dito viene puntato contro i fast food e l’oggetto d’indagine è l’obesità, non dal punto di vista soggettivo, ma come piaga sociale, come problema mediatico, economico, politico e culturale, come un muro che forse soltanto la medicina può oltrepassare, ma non abbattere. La trama è semplice: Morgan Spurlock si sottopone ad una ferrea dieta a base di grassi. Per tre volte al giorno dovrà consumare i pasti da MacDonald’s, avvalendosi della vasta scelta di percorsi calorici da loro consigliati, sempre in formato “supersize”. Il tutto per un mese. Tre esperti, un cardiologo, un nutrizionista e un gastroenterologo seguono il cammino dietetico del regista, prima, durante e dopo. Le conseguenze mediche, subite dal corpo di Spurlock, sono ciò che il film si propone di dimostrare. Una ricerca stilistica e visiva eccellente per il genere e un ritmo piacevole, divertente, a tratti degno di una commedia, rendono questo documentario di livello mondiale, adatto a tutti, educativo, oltre che manifesto reale di un quadro lucido e cinico della società americana. Certo è giusto ricordare che qui si parla di multinazionali e non di individui; che se gli intenti narrativi sono quelli di un esperimento scientifico, forse, vengono trascurate un po’ troppe variabili; e ancora, che alcune presunte indagini statistiche risultano un po’ forzate, come ad esempio che i bambini americani possano arrivare a confondere Gesù Cristo con Bush, ma mai nessuno che non sappia chi è Ronald MacDonald. E soprattutto, se interessano le conseguenze distruttive di alcuni cibi sull’uomo, perché il piacere che da esso ne deriva è appena accennato? Forse che il piacere dell’uomo sia la sua autodistruzione
Su una vecchia petroliera, abbandonata al largo di un’isola nel Golfo Persico, vive una piccola comunità – 150 persone circa – di uomini, donne, bambini poveri, governata (pugno di ferro, guanto di velluto, parlantina sciolta) dal capitano Nemet che intanto sta smantellando la nave per venderne i pezzi. 2° film – dopo The Twilight (2002) – prodotto, scritto e diretto da Rasoulof, ispirato da una sua pièce teatrale messa in scena nel 1995. Il che spiega, nonostante le apparenze realistiche della regia, il suo impianto esplicitamente simbolico e fiabesco, in bilico tra grottesco e malinconico. È una metafora il film stesso, quella di una società bloccata (la nave ferma), salvata dal caos sociale attraverso il filtro di un capo che la tiene isolata dal mondo, compone la turbolenza e anestetizza i sudditi con le parole. Film fin troppo programmato e didattico ma anche critico nella sua prudente lucidità. Forse il suo aspetto più interessante è socio-antropologico: racconta quale sia la condizione della donna negli stati clericali del Medio Oriente. Scelto alla Quinzaine de Réalisateurs di Cannes 2005 dalla Lucky Red.
Una storia di amicizie, di rischi, di musica Hip Hop e Funky in una Milano in bilico costante tra la possibilità di perdersi e quella di salvarsi. Nico vive in periferia. Suonava e componeva canzoni ma da quando Mosè, il suo migliore amico, è entrato nel buco nero dell’eroina non se la sente più di farlo. Fa le pulizie in un locale, cerca di frenare le propensioni per il rischio dell’amico Manu e tiene d’occhio la sorella come se fosse suo padre (che se n’è andato da casa). Pian piano la voglia di fare musica ritorna e un evento drammatico la farà nuovamente esplodere. Un film sincero quello di Raimondi con gli “Articolo 31”. Sincero nel suo ritmo che assomiglia a quello di una canzone che dura 90 minuti ma che non dà mai la sensazione di una storia messa insieme per sostenere una compilation. Film sincero nel mostrare un ambiente sempre in bilico tra trasgressione, droga, criminalità e voglia di una vita non omologata ma vera.
Lahore, Pakistan 2010. Le manifestazioni che vedono coinvolti studenti fondamentalisti islamici sono in aumento. Al loro centro sta il giovane professore Changez Khan. Il sequestro di un suo collega americano fa precipitare la situazione. È proprio in questo momento delicato che Khan accetta di farsi intervistare dal giornalista americano Bobby Lincoln al quale decide di raccontare la propria vita di giovane professionista rampante nel campo della finanza, cooptato dal capo di un grosso studio newyorchese che ne individua le notevoli capacità. Nell’ambiente della upper class Changez sembra aver anche trovato l’amore nell’artista fotografica Erica. Tutto va bene per lui quindi fino a quando l’11 settembre 2001 cambia di colpo le prospettive. La sua vita comincia a mutare di segno: è diventato improvvisamente l’islamico da amare od odiare, non più una persona.
Una piazza della Barona, quartiere periferico a sud-ovest di Milano, è il ritrovo dei ragazzi sfaccendati ma anche un luogo di spaccio e il punto di reclutamento per i nuovi caporali del lavoro flessibile. È il principale teatro dell’azione di questo resoconto corale sulle tensioni e i conflitti sociali, culturali, etnici in un microcosmo della metropoli lombarda. Fa perno sul rapporto tra due amici ventenni – Claudio, operaio precario e politicizzato, e Manuel, piccolo spacciatore – e su Maja, disinibita ragazza del quartiere. Come dice il titolo, pesa su loro l’ombra della droga (ecstasy, cocaina): effetto, non causa, di un vuoto, di un’assenza di futuro in giovani per i quali crescere significa diventare come i genitori, sconfitti dalla vita. E spesso pronti, come loro, a cercare un capro espiatorio negli immigrati di colore. Sviluppo di un mediometraggio (40 minuti, 1997) di Vari e Bocola, è un lungometraggio a proprietà diffusa, prodotto dalla Cooperativa Gagarin e da un’associazione che comprende attori, tecnici, società di servizi e singoli investitori. Distribuito da Lucky Red. Fa da controcanto alla vicenda, a mo’ di coro in cadenze rap, Luca Zulù Persico, leader dei 99 Posse. Frutto di una ricerca sul campo, basato sul rifiuto degli stereotipi violenti del cinema hollywoodiano di strada e sulla voglia di confutare la retorica disinformativa dei mass media sulla droga, ha il suo limite – ma anche uno dei meriti – in una narrazione con la sordina, descrittiva più che drammaturgicamente calcata. Apprezzabili la scelta delle facce, i costumi di Sabrina Beretta, il trio degli interpreti principali. Presa a Quarto Oggiaro la piazza ribattezzata Yuri Gagarin. Grand Prix al Festival di Annecy 2004.
Non funziona niente nel ballo, organizzato dai pompieri di una cittadina boema: i premi della lotteria sono rubati, il concorso di bellezza fa fiasco, l’incendio di una casa vicina interrompe la festa. Ultimo film cecoslovacco di M. Forman, fu proibito dalla censura e suscitò le ire dei vigili del fuoco. Attraverso la satira corale dei costumi di provincia, anche se apparentemente amabile, Forman e Co. miravano più in alto. E in alto se ne accorsero. Il produttore italiano è Carlo Ponti.
Ungheria, 1869. La polizia austro-ungarica, al comando del conte Raday, cerca di individuare, tra i gruppi di rivoluzionari del 1848 passati al brigantaggio, gli uomini – chiamati “i senza speranza” – del leggendario Sándor Rosza. Finiranno tutti sul patibolo. Presentato a Cannes 1966, il film impose il nome di Jancsó all’attenzione della critica internazionale e forma – con L’armata a cavallo (1967) e Silenzio e grido (1968) – una sorta di trilogia storico-rivoluzionaria. In tutti e 3 i film il regista isola un gruppo di personaggi in un luogo aperto e ne analizza i rapporti in una ieratica e geometrica azione, ritmata da lunghi, sinuosi piani-sequenza. All’insegna di un radicale pessimismo il suo codice poetico si definisce per una serie di rifiuti: dell’intreccio narrativo, degli aspetti più esteriori del realismo socialista (romanticismo, sentimentalismo, pompierismo epico), della psicologia, dell’illusione del realismo, dei moventi ideologici. La traduzione letterale del titolo è “Poveri giovani”.
Specialista di terapia ipnotica, il professor Monserrat inventa un’apparecchiatura che gli consente di impadronirsi della volontà del paziente avendo in cambio le sensazioni e le emozioni che il paziente prova.Vorrebbe utilizzare l’invenzione a scopi umanitari, ma sua moglie se ne serve per dare via libera ai mostri del suo subconscio. Premiato al Festival della fantascienza di Trieste, è un film da vedere: in bilico tra l’orrore e la fantascienza, è diretto da Reeves (1943-69) con brusca sagacia e con un attento senso dell’ambientazione. Karloff interprete di intensa persuasione, Lacey antagonista di sinistra suggestione.
Due versioni, non so quale meglio. Versione 1 doppio audio ita/eng. Versione 2 bitrate doppio della versione 1…fate vobis:
Karen Silkwood, operaia e sindacalista in una fabbrica di materiale radioattivo, raccoglie prove e indizi di quel che non funziona nello stabilimento, ma nell’andare a consegnare i documenti, muore in un misterioso incidente. Ispirato a un fatto vero del 1974, è uno dei migliori film di M. Nichols, nonostante inutili indugi descrittivi. Vale soprattutto per la direzione degli attori: M. Streep e Cher ebbero una nomination agli Oscar insieme con la regia, la sceneggiatura e il montaggio. Il cinema entra raramente in fabbrica: questa è una bella eccezione.
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