Grazie a un’operazione neurochirurgica un giovane ritardato mentale diventa superintelligente, ma poi regredisce. Dal racconto Fiori per Algernon di Daniel Keyes, Stirling Silliphant ha tratto una sagace sceneggiatura, un po’ troppo incline al sentimentalismo, che servì a Robertson, attore medio, per vincere un Oscar. Musiche di Ravi Shankar. Lo stesso racconto diede origine a un teledramma e a un musical di scarso successo.
Un agente segreto tedesco emissario di Canaris, capo dello spionaggio tedesco, cerca di impedire l’entrata in guerra di Germania e Italia. La missione, è ovvio, fallisce.
Nel 1984 avviene l’operazione Mosè, iniziativa congiunta tra Israele e USA che porta dall’Etiopia in Terra Santa, attraverso il Sudan, migliaia di ebrei etiopi, opinabili discendenti del re Salomone e della regina di Saba, detti falascià (“emigrati, esiliati”). Scritto dal regista rumeno ( Train de vie ) da un suo romanzo, insieme con Alain-Michel Blanc, racconta le peripezie di un piccolo etiope cristiano che, per sottrarlo alla carestia e al regime filosovietico di Menghistu, la madre affida a un’altra donna, ebrea, il cui figlio è morto da poche ore. A lui, ribattezzato Schlomo, la donna straziata dice: “Va’, vivi e diventa!”. In Israele, in quanto ebreo benché di pelle nera, gli si riconosce il diritto di vivere, crescere e diventare uomo. Per farlo, però, deve mentire, obbedire alla legge dell’appartenenza, lottare con coraggio contro la solitudine e la diversità, sia pure aiutato dall’affetto di una francese che lo adotta e da due figure paterne che gli insegnano “a essere sé stesso, prima ancora che falascià o cristiano” (R. Escobar). Si rivede con piacere l’attrice israeliana Abecassis, cara al regista Gitai, una delle donne più affascinanti passate sugli schermi dei primi anni 2000.
Dal romanzo Vae victis! (1917) di Annie Vivanti. Dopo la disfatta di Caporetto Luisa e la cognata Clara sono violentate da soldati dell’esercito asburgico e rimangono incinte. La prima abortisce, la seconda no. Turgido melodramma lacrimogeno sulla condizione della donna. Per i fan di Matarazzo, campione del cinema popolare negli anni ’50, un film capitale.
Seguito di I figli di nessuno , ancora scritto da Aldo De Benedetti. Morto Bruno, il figlio avuto da Luisa, ormai diventata suor Addolorata, Guido decide di divorziare dalla moglie Elena che, fuggendo su un motoscafo, muore con la figlioletta. È attratto da Lina, una ballerina di avanspettacolo sosia di Luisa, che, incolpevole e di lui incinta, finisce in carcere dove, prima di morire per le percosse ingiustamente subite dalle compagne, lo sposa grazie all’intervento di Luisa/suor Addolorata. Uno dei più completi melodrammi di R. Matarazzo grazie alla sceneggiatura che nella struttura tradizionale del genere introduce l’espediente del doppio, tipico del fantastico: il matrimonio in carcere tra Guido e Lina è, in realtà, quello tra Guido e Luisa. È uno strappalacrime sublimato e catartico.
Tra le mondine della sua risaia, il padrone Pietro riconosce in Elena la sua figlia naturale. Non le si rivela, ma la protegge e le sue attenzioni vengono fraintese. Melodramma tra le marcite che una sceneggiatura non priva di finezze, una bella fotografia a colori (L. Trasatti) e il fascino di una fulgida e improbabile Martinelli rendono appetibile. Matarazzo serve in tavola con bravura. “Storia realista ma connotata irrealmente. Falso melodramma” (A. Prudenzi).
Guido, ricco, fa l’amore con Luisa, povera. La madre lo manda all’estero e gli intercetta le lettere. Nasce un bambino che la mancata suocera fa rapire. Luisa si fa suora. Torna il padre, il figlio muore. Tutti piangono. 2° campione d’incasso, dopo Anna di Lattuada, del 1951. Con Catene e Tormento segnò l’apice del melodramma popolare strappalacrime e della coppia divistica Nazzari-Sanson. La stessa storia era già stata filmata dalla Titanus nel 1921 e 1942. Seguito da Angelo Bianco (1955).
Simon è un violinista che al momento non ha ingaggi e accetta di tenere un corso sullo strumento a una classe di allievi di scuola media inferiore che vivono in condizioni socio ambientali non facili. L’inizio non è semplice perché i ragazzi sono provocatori e sembrano interessati solo a creare disturbo. Progressivamente però il loro interesse si concretizza e del gruppo entra anche a far parte Arnold uno studente di origine centroafricana che non ha mai conosciuto suo padre e che è particolarmente dotato per lo strumento. L’obiettivo della classe è arrivare al concerto di fine d’anno della Filarmonica di Parigi. Gli ostacoli non mancheranno.
Una notte, in una centrale di polizia delle banlieue, Buron, un commissario malfidato e nervoso, interroga Louis Fugain intorno a un cadavere rinvenuto ai piedi del suo palazzo. L’interrogatorio è costantemente interrotto da un assistente guercio, stupido e molto zelante. Tra pause caffè interminabili e flashback, che ritornano sul luogo del crimine per illustrare le dichiarazioni dei testimoni e la testimonianza del sospetto, Fugain vivrà la notte più lunga della sua vita. Perché Buron non gli crede è ha deciso di fargli sputare il rospo.
Non c’è un solo amante della musica rock che non conosca Janis Joplin, eppure, a ben guardare, la sua figura non ha eguagliato il destino d’icona e l’abuso di tale destino iconografico che è toccato in sorte ad altri talenti del rock bruciati anzitempo. Il documentario che le dedica Amy Berg, colmando un vuoto piuttosto impressionante, arriva in un momento storico in cui il genere è evidentemente più in auge che mai (quello su Amy Winehouse di Asif Kapadia è perfettamente contemporaneo,quello su Kurt Cobain si stacca di pochi mesi), ma ha se non altro il pregio di allinearsi a questa differente dimensione delle cose. Realizzato in accordo e con il supporto della famiglia della cantante, Janis persegue un tono realmente famigliare e intimo, garantendo al ritratto della star scomparsa il massimo rispetto e un briciolo di giustizia che andava fatta.
Anni ’70, sulle colline vicino a Verona. A nove anni, figlio unico, Sergio è introverso, solitario, dotato di una forte immaginazione che gli permette di evadere dalla realtà, anche quella dei deteriorati rapporti dei genitori. Quando apprende la possibilità di un fratellino, fantastica sui cambiamenti che ne deriverebbero, e decide di farlo morire, ma un aborto della madre lo carica di un grave senso di colpa. Prodotto a basso costo (con Antonio Ciano per Nuvola Film), scritto e diretto da Pietro Reggiani, figlio di Mariella e Stefano (compianto scrittore, giornalista e critico), fu girato nell’estate 1998 come la parte retrospettiva di una centrale rievocazione del protagonista adulto. Dopo una lunga serie di rinvii nel 2003 l’autore si limitò a girare l’epilogo con lo stesso interprete adolescente. Nel 2005-06 il film fece, con premi e menzioni, il giro di una decina di festival, ma non trovò una distribuzione decente. Grazie al sistema di prevendita www.selfcinema.it è uscito nel maggio 2007 nelle maggiori città italiane. Nonostante lentezze, ripetizioni e bamboleggiamenti, privo di figure significative di contorno, in bilico tra microrealismo e fantasia, ha una forza ingenua e languida nel raccontare l’infanzia in chiave di nostalgia. Gianni Canova l’ha definito un film madeleine .
L’altalena d’amore tra un giovane regista finto cinico e una studentessa sportiva, garrula e pura è il tema del più brutto film di P. Germi, in altalena, lui, tra la misoginia e la mitizzazione della donna (vergine).
Dal romanzo Le Train di Georges Simenon. Nel maggio 1940, mentre la Francia sta per essere occupata dai tedeschi, su un treno diretto a sud-ovest s’incontrano e si amano una ricca ebrea e un elettrotecnico sposato. Arrivati a destinazione, si lasciano. Tre anni dopo la Gestapo li riunisce. Attraverso una storia del tempo di guerra (con frequenti inserti di cinegiornali in bianconero) si fa un discorso sulla società francese degli anni ’70 con i suoi interdetti morali, sociali, pseudoreligiosi. Granier-Deferre è un buon direttore d’attori. Difficile sottrarsi all’emozionante finale.
Impiegatuccio di Ascoli Piceno vede marcire la sua storia d’amore per via della smania possessiva della moglie. Si risposa ma le cose non vanno meglio. Germi riprende il discorso sconsolato di Divorzio all’italiana per trovare che, nonostante il divorzio, le cose non vanno bene neanche adesso. Hoffman è credibile, ma giù di corda. Fiacco, fiacco.
Un film di Alain Resnais. Con Claude Rich, Jean-Paul Belmondo, Charles Boyer, Anny Duperey, Gigi Ballista.Titolo originale Stavisky. Drammatico, durata 112 min. – Francia 1974. MYMONETRO Stavisky il grande truffatore valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Negli anni Trenta, la mancanza di qualsiasi scrupolo ed una audacia truffaldina fuori dal comune consentono al finanziere Stavisky (un personaggio storico) una vita tra le più brillanti ed agiate. Quando, dopo l’ultima impresa, il funzionario di una banca lo mette al corrente di un pesante ammanco, Stavisky crede ad un nuovo inganno. Morirà nella sua baita, probabilmente suicida.
Un film di Peter Sykes. Musicale, durata 58 min. – Gran Bretagna 1968. MYMONETRO The Committee valutazione media: 3,00 su 1 recensione.
Un autostoppista uccide brutalmente l’uomo che gli ha dato un passaggio. Salvo ricucirgli la testa subito dopo. L’inesplicabile evento è in qualche modo in relazione con un fantomatico Comitato, che si riunisce in campagna per deliberare sull’accaduto. I tesori nascosti del free cinema britannico dei Sessanta rischiano di essere più di quanto si possa immaginare. The Committee ne è fulgido esempio, ingiustamente dimenticato dai più, se non per la presenza di qualche brano rarissimo e altrimenti inedito dei Pink Floyd dell’immediato post-Barrett. Ma è solo in chicche così peculiari e necessariamente minori che si può riscoprire la forza, anche nell’ingenuità, dell’espressività psicotica e psichedelica di quell’epoca. Con gli occhi fermamente puntati all’Antonioni di Blow Up, Peter Sykes dà vita a un’ora di surrealismo socio-politico con inattese punte di macabro che, per molti versi, pare un episodio lungo e in bianco e nero de Il prigioniero del compianto McGoohan, con il gusto di Edgar Allan Poe per il grottesco e l’esagerazione da grand guignol. Indimenticabili le sequenze della repentina ed efferata decapitazione nella foresta come pure del party con l’esibizione dei The Crazy World Of Arthur Brown, scheggia di follia sixties dominata dal ballo epilettico e in maschera del folle Arthur. Un ineluttabile senso di inquietudine permea il film tutto e si manifesta attraverso avvenimenti inesplicabili o discorsi che si arrampicano su concetti inesprimibili. Trovare un senso nei dialoghi tra i personaggi è forse esercizio specioso, ma aiuta a calarsi nell’atmosfera di un’epoca unica e non ripetibile, in cui la creatività – anche quando sregolata o fine a se stessa – era nell’aria stessa che si respirava. La comprensione dei Sessanta UK passa anche da The Committee.
Un poliziotto si infiltra in una banda di hooligans per individuarne i capi. Progressivamente si lascia prendere dal clima di machismo diffuso e di riti di gruppo. I tifosi esasperati sostituiscono pian piano i compagni di lavoro. Alla fine c’è un hooligan in più. Il cinema inglese riesce ad offrire un ritratto credibile di un mondo che va studiato per poterne comprendere le dinamiche.
Braccato dalla polizia e dagli uomini del suo racket londinese dopo aver ecceduto in zelo sadico, giovane gangster (Fox) si rifugia, in attesa dell’espatrio, in uno scantinato dove con le sue due amanti vive un noto cantante pop in declino (Jagger) che riconosce in lui un fratello demoniaco. Li mette sotto tutti e tre. Esordio nella regia – con lo sceneggiatore D. Cammell – del direttore della fotografia N. Roeg. Inquietante parabola sul potere, la persuasione e la performance spinta ai limiti della follia sullo sfondo della cultura trasgressiva degli anni ’60 dove sopravvivono le componenti di una sottocultura precedente, calata in un’atmosfera psichedelica, ricca di caleidoscopiche invenzioni audiovisive. A monte s’intravede il connubio tra l’industria della musica popolare e quella del crimine. Scandalo e disorientamento tra critici e spettatori benpensanti, molte noie e tagli dalle varie censure. Sulla base musicale di Jack Nitzsche emergono a frammenti Ry Cooder, Merry Claytons, i Last Poets, Randy Newman.
Quattro simpatici e inetti furfanti riescono a rubare da un museo di Brooklyn un prezioso diamante, ma continuano a perderlo. Laborioso il recupero. Commedia criminale simpatica, veloce, ben calibrata in chiave di sagace umorismo urbano. Sceneggiata dall’esperto William Goldman da un romanzo di D.E. Westlake.
Agricoltore dell’Iowa sente “una voce” che gli consiglia di costruire un campo di baseball nelle sue terre coltivate a mais ed esegue. Conseguenze stupefacenti. Dal romanzo Shoeless Joe di W.P. Kinsella, una storia fantastica di redenzione e di fede in cui umanesimo, misticismo e tifo per il baseball si mescolano con effetti ora suggestivi ora artificiosi. Americano a 18 carati.
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