Un medico di nobili sentimenti è a capo di un ospedale per povera gente. Il suo assistente imparerà da lui a stabilire un contatto umano, prima che professionale, con i pazienti.
Alla ricerca dell’uccisore della sua fidanzata, cowboy capita al “Mulino d’oro”, quartier generale di una banda capeggiata da un giocatore di professione e dalla cantante Ambra. Girato a basso costo, fondali ed esterni di cartapesta esibiti nella loro falsità, rozzo Technicolor RKO, è uno dei più fascinosi film del Lang americano, impregnato di un romanticismo struggente sui temi della ruota, del destino, della colpa, intorno alla figura mitica di Marlene. Western barocco da mettere vicino a Johnny Guitar (1953). Scritto da Daniel Taradash.
Un film di Fritz Lang. Con Walter Pidgeon, John Carradine, George Sanders, Joan Bennett. Titolo originale Man Hunt. Drammatico, b/n durata 105′ min. – USA 1941. MYMONETRO Duello mortale valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Nel 1939 un nobile inglese, cacciatore e tiratore di fama mondiale, è scoperto mentre prepara un attentato a Hitler. Arrestato e torturato, riesce a salvarsi, ma gli agenti della Gestapo gli danno una spietata caccia anche in Inghilterra. Da una sceneggiatura di Dudley Nichols _ basata su un romanzo di Geoffrey Household _ Lang ha tratto il 1° dei suoi film antinazisti, un thriller d’azione senza vuoti d’aria e con diverse sequenze di grande suggestione atmosferica. Buono soprattutto il reparto dei “cattivi” con G. Sanders e J. Carradine.
Un film di Fritz Lang. Con Debra Paget, Paul Hubschmid, Walter Reyer Titolo originale Das indische Grabmal. Avventura, durata 102′ min. – Germania 1959. MYMONETRO Il sepolcro indiano valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
2ª parte di La tigre di Eschnapur, basato su un soggetto scritto da F. Lang 30 anni prima con Thea von Harbou e poi diretto da Joe May nel 1921. Continuano le peripezie della danzatrice Seetha (Paget) e dell’architetto Berger (Hubschmidt), braccati dal maragià Chandra (Reyer), follemente innamorato della donna. Dopo mirabolanti accadimenti, Chandra concede finalmente a Berger di lasciare Eschnapur con la danzatrice e si fa servitore di un eremita. In questo film di geniale inattualità la 2ª parte si distingue dalla 1ª perché imperniata sull’oscurità sotterranea (caverne, pozzi, carceri, labirinti). Giunto alla soglia dei 70 anni, Lang conferma la fedeltà tematica e formale al proprio universo. Il dittico che ha una durata complessiva di 200 minuti fu condensato per il mercato americano in un film di un’ora e mezzo, distribuito come Journey to the Lost City.
Un film di Fritz Lang. Con Dean Jagger, Virginia Gilmore, Robert Scott Titolo originale Western Union. Avventura, durata 94 min. – USA 1941. MYMONETRO Fred il ribelle valutazione media: 3,00 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Film del periodo americano di Lang, successivo alla fuga dall’Europa dopo l’avvento di Hitler. Il direttore dei lavori di allestimento di una nuova linea telegrafica assume come collaboratore un bandito, Fred, sapendo bene chi lui sia
Un film di Fritz Lang. Con Debra Paget, Walter Rever, Claus Holm Titolo originale Der Tiger von Eschnapur. Avventura, Ratings: Kids+13, durata 97′ min. – Germania 1958. MYMONETRO La tigre di Eschnapur valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
All’inizio del Novecento l’architetto tedesco Harald Berger (Hubschmidt), chiamato a Eschnapur (India) per lavori, s’innamora di Seetha (Paget), danzatrice del tempio di Benares, suscitando la gelosia del maragià Chandra (Reyer), vedovo a lei interessato, che lo fa incarcerare. Seguito da Il sepolcro indiano. 1° film tedesco di Lang dai tempi di Il testamento del dottor Mabuse (1933), tratto da un romanzo di Thea von Harbou e una sceneggiatura di Lang e Harbou da cui era stato girato anche Das indische Grabmal (1921) di Joe May. Nonostante le critiche negative, fu un grande successo. Soltanto più tardi, soprattutto in Francia, ne furono apprezzate la perfezione formale, la lucidità classica della costruzione, la stilizzazione dei personaggi (senza psicologia), l’uso magistrale dello spazio e delle scenografie, l’equilibrio cromatico. Negli Stati Uniti i due film (198 minuti) furono mutilati, rimontati e doppiati malamente in un film solo di 95 minuti, distribuito come Journey in the Lost City. Esiste anche una versione della storia con lo stesso titolo, diretta da Richard Eichberg (1937).
Un film di Fritz Lang. Con Ray Milland, Marjorie Reynolds Titolo originale Ministry of Fear. Spionaggio, b/n durata 85 min. – USA 1944. MYMONETRO Il prigioniero del terrore valutazione media: 3,17 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un ex detenuto appena uscito di prigione viene derubato di una torta vinta ad un Luna Park. Incuriosito dall’insolito furto, inizia alcune indagini che lo coinvolgono in una seduta spiritica e poi nello scoppio di un ordigno. Resosi conto di aver sconvolto i piani di un’organizzazione spionistica, si rivolge a Scotland Yard: il capo dei banditi tenta di ucciderlo ma la sorella del fuorilegge, innamorata dell’ex detenuto diventato onesto, lo salva.
Un film di Fritz Lang. Con Henry Fonda, John Carradine, Donald Meek, Gene Tierney.Titolo originale The Return of Frank James. Western, b/n durata 92 min. – USA1940. MYMONETRO Il vendicatore di Jess il bandito valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
L’anno precedente aveva ottenuto grande successo il film Jess il bandito dove il famoso fuorilegge, interpretato da Tyrone Power, finiva ucciso a tradimento, secondo la verità storica, dai fratelli Ford. In questo secondo episodio si immagina che Frank, il saggio fratello di Jess, si vendichi dei due assassini.
Drammatica storia dell’amore di Enrico VIII, re d’Inghilterra, per Anna Bolena. Amore che durò dal gennaio del 1533 al 18 maggio 1536 quando il re la rinnegò per sposare Jane Seymour. Pur essendo svincolato dall’opera teatrale di Maxwell Anderson da cui è tratto, ha i suoi pregi nei dialoghi, nella spettacolarità delle scene e nel disegno dei personaggi. Polpettone in costume che ebbe ben 10 nomination agli Oscar vincendone uno per i costumi.
Dal romanzo Pouce di Jean Laborde: dopo la morte dell’ispettore Gauvion, il commissario Joss prende in mano un’inchiesta che il collega aveva avviato e scopre del marcio. Un altro polar sui temi dell’amicizia virile e la stanchezza di professionisti che ormai non credono più in quel che fanno. Impietoso, stringato, appoggiato ai dialoghi secchi di Michel Audiard, e forse il miglior film di Lautner. Musiche di Serge Gainsbourg che appare mentre registra la bella canzone dei titoli di testa.
Morto il padre in un incidente aereo un po’ sospetto, eredita un impero editoriale e un complesso siderurgico. Deciso a rinnovare con democrazia la conduzione dell’azienda, scopre che si trama ai suoi danni. Rifacendosi in parte agli sfondi cupi del Caso Mattei , il film è infarcito di particolari poco curati e di luoghi comuni, ma è sostenuto da bravi attori e da un montaggio serrato.
L’agente di polizia Caccavallo ha il compito di riportare al paese natio una ragazza sbandata che a Roma aveva tentato il suicidio per una delusione d’amore. Nessuno la vuole. Che farne? Presentato in censura nel febbraio 1954, fu bocciato perché considerato inaccettabile in 35 punti. Dopo altre due bocciature, fu ammesso alla programmazione in dicembre con tagli per più di 200 metri e alcuni rifacimenti espressamente indicati. Uscì nel marzo 1955, ma col divieto di esportazione all’estero che fu tolto nel 1958, al sesto esame di censura. La commedia offre a Totò l’occasione di mostrare il versante patetico e malinconico del suo personaggio. Qualche spunto di satira anticlericale. Soggetto di Ennio Flaiano, sceneggiato da Age, Scarpelli, Sonego e Monicelli che per la 1ª volta firma la regia da solo.
Maggio 1924: il deputato socialista Matteotti contesta le elezioni truccate dai fascisti. Viene rapito e ucciso. Gennaio 1925: Mussolini promulga leggi eccezionali che stroncano ogni opposizione. Esempio di cinema politico e popolare che, pur nello schematismo congenito al genere, offre un quadro di un periodo cruciale della nostra storia chiaro e persuasivo come una lezione. Denso, teso, avvincente. Efficace il Mussolini di Adorf. Scritto dal regista con Lucio M. Battistrada. Globo d’oro della stampa estera.
Un còrso, temuto ras della malavita di New York, torna in patria dalla madre morente e compie una piccola ricerca del tempo perduto. Il presente l’attende al varco per mano di due sicari a pagamento. Cultore di un cinema d’atmosfera e d’analisi psicologica, regista della malinconia, Granier-Deferre dà il suo meglio in certi interni casalinghi, ma non sfugge alle convenzioni del melodramma d’azione. Le facce sono giuste.
Novembre, Parigi. Louise è una giovane arredatrice d’interni che vive con Rémi in un appartamento a Marne La Vallée, quartiere periferico in fase di completamento. Louise, anche se ama il suo compagno, vorrebbe però conservare una parte di autonomia che le consente di uscire la sera con amici e amiche senza doversi sempre piegare a compromessi. Rémi invece pensa esattamente all’opposto. Pensa di aver già poco tempo da condividere con lei e non vuole perderne neanche un secondo. Non gli interessa nulla della vita mondana tanto che ha preferito andare ad abitare nel luogo in cui lavora anche se si trova fuori Parigi. Louise si è però lasciata uno spazio di fuga: un appartamentino in città che ha affittato ad un’amica e che ora provvede a riarredare per trasformarlo in un’isola di provvidenziale solitudine. Il primo a visitarla sarà Octave, sposato e con figlia ma innamorato (respinto) di Louise. “Chi ha due mogli perde l’anima. Chi ha due case perde il senno”. Il proverbio che apre il film è significativo a partire dalla sua struttura. È infatti formato da due parti la prima delle quali è stata pensata da Rohmer mentre la seconda appartiene alla tradizione popolare francese. Si tratta in fondo della stessa unione di due aspetti che contrassegna la personalità della protagonista. La versione francese (“Qui a deux femmes perd son âme”) permette di ampliare ulteriormente la riflessione. La prima parte è infatti riferibile ovviamente a Octave che vorrebbe avere due donne trovandosi però anche a rappresentare il lato maschile di Louise la quale è a sua volta “deux femmes”. Una cerca la stabilità in amore e una si dà da fare per negarla. Se si osservano con attenzione le immagini dei titoli di testa si noterà una serie di dissolvenze che offrono allo sguardo dello spettatore una panoramica a 180°, continuamente frammentata, che sposta progressivamente il suo punto di vista mostrando ulteriori porzioni di spazio. La strada, con il bivio in apertura e in chiusura, assume una valenza metaforica. È necessario confrontarsi continuamente con i bivi della vita dovendo compiere delle scelte mai facili e mai definitive. Le protagoniste del ciclo di “Commedie e proverbi” (e Louise è una di loro) si trovano costantemente impegnate a cercare di estromettere la realtà dal loro universo ma quest’ultima si fa largo a forza e a nulla valgono gli sforzi messi in atto per tentare di arginarla. La vita per Rohmer è un flusso di relazioni in cui l’altro non può essere programmaticamente al servizio di una propria scelta per quanto valida essa sia. Non si può escludere chi ci sta accanto da una comunicazione ‘vera’. Il personaggio di Louise diventa così interessante perché è una donna che vorrebbe rimanere presente nella vita di due uomini senza però ‘esserci’ del tutto. Si tratta di un desiderio che non è legato solo alla finzione cinematografica. Ancora una volta Rohmer sa leggere nel profondo dell’animo di personaggi che sono persone.
Questo film è molto simile a I migliori anni della nostra vita (girato da William Wyler e che fu il massimo successo dell’anno). Si racconta la storia di un gruppo di reduci della seconda guerra mondiale e il loro difficile reinserimento nella vita civile. Una giovane vedova si prenderà cura di loro.
Girato in 16 mm con largo uso di tecniche leggere. Rohmer fa un’altra variazione sul suo microcosmo bipolare (caso e destino, uomo e donna, verità e menzogna) dove sono i maschietti a essere quasi regolarmente sconfitti. Il 1° episodio (“L’appuntamento delle 7” con Bellar, Basler, Megard) è il più brioso, il 3° il più fievole (“Madre e bambino, 1907” con Kraft, Loyen, Johansson). Nel 2°, il più perverso (“Le panchine di Parigi” con Rauscher, Renko), si passano in rassegna i parchi parigini (Belleville, la Villette, Montsouris, Trocadero) con una sosta al Bateau Lavoir, divagazione culturale sui rapporti tra surrealismo e cubismo.
Elena invita l’ex marito nella sua casa di periferia e lo rinchiude in una cantina munita di tutti i conforti, ma anche di solide sbarre. Sequestro di persona coniugale. Tolti l’inizio e il finale a sorpresa e rapide escursioni all’aria aperta, il film è “a porte chiuse”. Tratto da una pièce di Jack Jacquine, è un confronto tra due mostri sacri della recitazione con un L. Ventura alle prese con un personaggio insolito.
Un film di Ernst Lubitsch. Con Max Kronert, Hermann Thimig, Victor Janson, Marga Köhler, Ossi Oswalda.Titolo originale Die Puppe. Commedia, b/n durata 60′ min. – Germania 1919. MYMONETRO La bambola di carne valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Atterrito da un’orda di nubili vogliose, Lancelot, inibito baronetto, è costretto al matrimonio da uno zio malatissimo. Accetta di portare all’altare una bambola meccanica, l’esatto “doppio” di Ossi, figlia di Hilarius, artefice di automi e robot. La vera Ossi prende il suo posto, innescando buffi equivoci a catena. Quella del 27enne E. Lubitsch è una fiaba di tono scanzonato, di allegra bizzarria e di simulato candore, ricca di invenzioni al limite del surreale e di sottintesi psicanalitici, non priva di una divertente vena anticlericale. Racconta la storia di una iniziazione maschile, incubi compresi. Come dice Michael Henry in un saggio del 1971, i punti in comune col contemporaneo Das Kabinett des Dr. Caligari sono numerosi. Ispirata a un’operetta di A.E. Wilner, basata su racconti di E.T.A. Hoffman, è una burla con cui il regista fa emergere la componente ludica dell’espressionismo. Muto. Altro titolo italiano: La poupée.
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