Joseph, detto Duke, è un malvivente con alle spalle diverse condanne, uscito di prigione decide di vivere onestamente sapendo che in caso di nuova condanna sarebbe imprigionato a vita. Nonostante i suoi sforzi non riesce a reinserirsi nella società e così viene convinto da alcuni vecchi complici a partecipare ad una rapina. L’ideatore del crimine è il disonesto avvocato Fleming, la cui moglie, Lorna, è la vecchia amante di Duke. Quando i due si rincontrano i vecchi sentimenti riaffiorano.
Non ho trovato versione in italiano, i subita sono stati tradotti dai subspa originali con google, potrebbero esserci delle imprecisioni
Da un racconto fantastico di Alvaro do Carvahal. Una giovane sposa il visconte d’Alveda e scopre il suo segreto: è mezzo uomo e mezzo automa. Si uccide, disperata, mentre lo sposo si dà la morte buttandosi tra le fiamme del camino. Sarà mangiato dai cognati e dal suocero che erediteranno i suoi beni. Il film più buñueliano del grande vecchio Oliveira, interamente cantato come un’opera, impregnato di ironia fredda e di una perfida buffoneria satirica a spese dell’aristocrazia lusitana in dissoluzione.
Prima di cominciare le riprese di un film, Manoel, vecchio regista portoghese, e Alfonso, attore francese figlio di un contadino portoghese emigrato, fanno un viaggio in auto verso il Nord del paese con un’attrice e un amico. Viaggio sereno verso la morte, ma a ritroso, con la cinepresa che guarda attraverso il finestrino come lasciandosi indietro la vita. Per un’ora si racconta, si ricorda, si rimpiange. Quando Alfonso incontra la vecchia zia che rifiuta di riconoscere in lui un nipote mai visto che non sa parlare la sua lingua, affiora il senso profondo: qualcosa esiste là dove sono le nostre radici, nel mondo del principio. Bisogna andare indietro per trovare l’inizio. La vita continua. Come dice Mastroianni, alter ego del regista: “Vivere a lungo è un dono di Dio. Ma ha un suo prezzo”. Fotografia di Renato Berta. Ultimo film di Mastroianni.
Dal dramma El-Rei Sebastião (1949) di José Régio cui M. de Oliveira s’era già ispirato in Benilde ou a Virgem Mãe e Mon Cas (1985). Sebastião (1554-78), nipote di Carlo V d’Austria, giovane re del Portogallo “nato ferito a morte”, è ossessionato dalla missione di unificare il mondo in un impero universale cattolico, impegnando il suo esercito in una nuova crociata (l’ultima) contro i Mori. Inutilmente sua zia Catarina e alcuni anziani consiglieri cercano di dissuaderlo. L’anziano “Calzolaio santo” lo incoraggia a realizzare il suo sogno, annunciandogli profeticamente che, scomparendo nella battaglia di Alcucér-Quibir (4-8-1578), diventerà il Re Nascosto o Velato ( encoberto ), cioè il mito di un sovrano messianico che tornerà a restaurare l’impero del Portogallo (il quinto dopo quelli greco, romano, cristiano e inglese). In questo film tenebroso e claustrofobico, tutto chiuso nel labirintico castello reale, Oliveira continua – oggi come ieri – il suo cinema di parola (non raffreddata: “scolpita”) di magnifica leggibile eleganza all’insegna di una triade (parole, immagini, tensione utopica) percorsa da una leggera brezza di ironia. Come il solito, prodotto da Paulo Branco.
Antonio, figlio di ricchi proprietari terrieri nei pressi di Porto, e José Feliciano detto Toro Azzurro, figlio della domestica Celsa, sono cresciuti insieme. Antonio sposa l’ex ricca e vergine Camila di cui José è innamorato da sempre e ha per amante Vanessa, tenutaria di bordelli e socia di José in affari loschi. Nonostante i tentativi di Celsa, intrigante a buon fine, i destini incrociati dei quattro finiscono tra le fiamme dell’inferno. Per la 4ª volta il novantenne M. de Oliveira ricorre a un romanzo ( Joia de familia ) della compatriota Agustina Bessa-Luis; ne prende in prestito l’eleganza dei dialoghi filosofeggianti e salottieri; accentua lo snobismo cinico dei personaggi con la sua impassibile scrittura di algida ironia e ne sottolinea l’ambivalenza nel Bene e nel Male, come il titolo suggerisce. Prevalgono i tipici toni di “commedia umana” che lo inducono a disinteressarsi, verso la fine, della vicenda criminosa di fondo, eliminando ogni delucidazione narrativa. “Non sappiamo niente”, dice José alla madre. Che gli spettatori si arrangino, sembra dire il regista nel chiudere il suo gioco. Trilli di Paganini nella colonna musicale e fotografia del fido Renato Berta.
La vita quotidiana dei bambini nelle vie di Oporto. Due di loro si contendono le simpatie di una ragazzina il cui grande sogno è una bambola vista nella vetrina di un negozio. 1° lungometraggio narrativo di Oliveira. C’è chi lo iscrive nel cinema neorealista, ma forse, nonostante le apparenze, è una storia di adulti trasposta nel mondo dell’infanzia. Grande sensibilità senza sentimentalismi. Il titolo è un grido infantile di richiamo.
Un film di Carlo Lizzani. Con Andrea Checchi, Jean Sorel, Gérard Blain, Anna Maria Ferrero.Drammatico, b/n durata 115′ min. – Italia 1961. MYMONETRO L’oro di Roma valutazione media: 3,13 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Durante l’occupazione di Roma nel ’44 i tedeschi obbligarono la comunità ebraica a raccogliere e consegnare 50 chili d’oro. Nonostante le promesse, deportarono tutti. L’impegno politico e morale e un’accorata sincerità di fondo non bastano a riscattare quest’affresco rievocativo da una sciatta convenzionalità narrativa che troppo sacrifica allo spettacolo
Tratto dall’omonimo libro (2008) di Robert Domes, racconta la storia del piccolo Ernst Lossa, orfano ribelle, nomade di etnia Jenisch, vittima del folle e omicida programma di eutanasia infantile nazista Aktion T4: tra il 1939 e il 1945 più di 200 000 persone sono state uccise negli ospedali psichiatrici tedeschi, tra loro innumerevoli bambini. Nel riformatorio all’unità psichiatrica del dottor Veithausen, Ernst si accorge che uno per uno i suoi amici, i più deboli, i pesi per la società, muoiono improvvisamente. Si ribella. “Inventore” della dieta della fame (ai pazienti faceva mangiare 3 volte al giorno una zuppa saporita, ma priva di qualsiasi elemento nutritivo: morivano lentamente, perdendo 3 kg di peso a settimana), il dottor Veithausen ne ordina la morte. Ernst, nato nel 1929, muore nel 1944 per un’iniezione letale. Terribile storia vera del perverso sistema eugenetico, di cui, ancora oggi, non si sa abbastanza. Wessel lo racconta in modo rigoroso e coinvolgente al tempo stesso, grazie anche alla prestazione limpida e autentica degli attori. Un nuovo omaggio alla Memoria di asciutta e tremenda efficacia. Da proiettare anche nelle scuole.
Un uomo misterioso si aggira per l’Argentina degli anni Sessanta. Parla tedesco e si interessa in modo particolare ad una ragazzina bionda con gli occhi azzurri e alle sue difficoltà a crescere in statura. Pur essendo un medico si offre come veterinario, e disegna su un quaderno animali (ma anche esseri umani) dettagliandone misure e proporzioni. Quell’uomo è il dottor Josef Mengele, fuggito in Argentina e inseguito dagli uomini del Mossad, che lo pedinano da anni senza riuscire ad acciuffarlo, perché Mengele è maestro nell’infiltrare le piccole comunità dove si nasconde, spesso con il sostegno di espatriati dalla Germania nazista ancora devoti al Fuhrer. The German Doctor – Wakolda, che ha partecipato al festival di Cannes 2013 nella sezione Un certain regard, ripercorre una delle tappe della fuga di Mengele. Il dottore avvicina una famiglia che ha legami con la scuola tedesca locale: la madre è vistosamente incinta; il padre, di origini italiane, costruisce bambole che sono pezzi unici; la figlia è la ragazzina bionda di cui sopra, troppo minuta per la sua età e desiderosa di crescere più in fretta. L’opera di seduzione di Mengele riguarderà tutti i componenti del nucleo famigliare facendo leva sul desiderio di “migliorare” la specie attraverso la ricerca genetica. The German Doctor – Wakolda è un horror senza babau, perché anche il protagonista rivela sempre e solo la sua faccia più “normale”: ma è proprio questo a renderlo agghiacciante.
Lucía Puenzo, figlia di quel Luis che vinse l’Oscar con La storia ufficiale, mantiene un controllo saldo sulla storia evitando ogni sensazionalismo e creando un’atmosfera ipnotica reminescente di quella che sapeva suscitare il vero medico di Auschwitz. La sua è la seduzione (e la banalità) del Male, e Puenzo ci mostra come nessuno ne sia immune. Il miraggio dell’eugenetica inseguito da Mengele attraverso gli esperimenti umani sia nei campi di concentramento che durante la sua fuga in Sud America si fonde con quel desiderio di omologazione, ancora oggi ben presente, che mira ad annientare l’unicità degli individui in favore di uno standard di perfezione seriale. The German Doctor – Wakolda sembra una favola nera dei fratelli Grimm, ma l’orrore scaturisce dalla consapevolezza che un personaggio come Mengele è davvero esistito e che mostri come lui si aggirano ancora fra noi. Lucia Puenzo avanza anche una critica sottile al suo popolo che ha accolto gli ex criminali nazisti senza porsi troppe domande, spesso diventando complice della loro fuga dalla giustizia. E guarda allo spettatore dicendo: Che cosa avreste fatto voi? Che cosa fareste, se succedesse ancora?
Nel 1958 in una città tedesca il 15enne Michael Berg è iniziato ai piaceri del sesso dalla 30enne Hanna Schmitz, bigliettaia di tram. Negli intervalli del loro focoso rapporto, su richiesta di lei, lui le legge a voce alta Omero, Orazio, Twain, Cechov. Un giorno Hanna scompare senza preavviso. 8 anni dopo Michael, studente di legge, assiste al processo di 5 guardiane delle SS che lasciarono bruciare vive 300 ebree rinchiuse in una chiesa. Una delle imputate è Hanna. Dal romanzo autobiografico Der Vorleser (1995 – in italiano A voce alta ) di Bernhard Schlink, tradotto in 40 lingue, adattato dal drammaturgo David Hare (inglese come Daldry, la Winslet, Fiennes, il produttore Minghella, i direttori della fotografia Chris Menges e Roger Deakins), è uscito un film che comincia e termina nel 1995 con l’azione in cinque tappe dal 1958 al 1988. Secondo Daldry sono stati realizzati 252 film sulla Shoah. Bene nella parte la Winslet poi irrigidita nel trucco che la invecchia, meritatamente premiata con l’Oscar. Ottimo Kross, monocorde Fiennes. Girato in Germania con troupe tedesca. Dedicato alla memoria dei produttori Anthony Minghella e Sidney Pollack, morti nella primavera del 2008 senza aver visto il film finito.
Vita tormentata e fine tragica di Edith Stein (1891-1942), filosofa ebrea, in gioventù atea poi convertita al cattolicesimo, assistente del filosofo Edmund Husserl di cui riordinò i manoscritti ( Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica , 1913). Entrò nel Carmelo di Colonia nel 1933 col nome di Benedicta a Cruce. Prelevata dai nazisti nell’agosto del 1942 a Echt (Olanda) e portata a Auschwitz dove morì il giorno dopo il suo arrivo. Scritto con Roberta Mazzoni ed Eva Pataki, punta sul versante privato di quest’intellettuale ruvida e fiera, beatificata dalla Chiesa di Roma: i difficili rapporti con la madre, che la considera una rinnegata, e gli innamorati, quelli con la sorella Rosa che condivide la sua sorte. Date le premesse (anche produttive), i toni edificanti prevalgono su quelli espressivi, soprattutto nella parte centrale. M. Morgenstern, attrice teatrale rumena, è comunque all’altezza del personaggio. Il titolo si riferisce alle sette stanze o tappe dell’ascesi carmelitana, secondo la spagnola Teresa d’Avila. La settima è la camera a gas.
Tratto da Anni d’infanzia (1977) di Jona Oberski, fisico nucleare, è la storia di un bambino olandese di quattro anni, arrestato nel 1942 dai tedeschi e deportato a Bergen-Belsen dove gli muore il padre. Perde la madre nel 1945, subito dopo la liberazione. Il piccolo Jona è adottato da una coppia di olandesi che con lui dovranno patire non poco. Fedele al libro, Faenza (1943) adotta l’ottica del suo piccolo protagonista, lo sguardo inconsapevole dell’infanzia che dell’atroce realtà che lo circonda coglie soltanto alcuni particolari. Non a caso nella seconda parte quando Jona ha sette anni, il film cambia stile perché lo sguardo s’è fatto più adulto. Film sulla tenacia dell’amore: semplice, asciutto, intenso senza concessioni al dolorismo né al sensazionalismo. Premio Efebo d’oro di Agrigento.
Durante la seconda guerra mondiale, due famiglie ebree rimangono nascoste in una soffitta, ad Amsterdam, per due anni. Anna, figlia adolescente di Otto Frank – che sarà l’unico a sopravvivere alla guerra – scrive ogni giorno la cronaca di quella prigionia arricchendola con pagine di poesia.
Nel ghetto di Varsavia, prima di essere rastrellato e deportato con gli altri ebrei, un padre ordina al figlioletto Alex (Kiziuk) di nascondersi tra le rovine di una vecchia fabbrica, promettendogli che tornerà a riprenderlo. In compagnia di un bianco topino e di una copia sgualcita del Robinson Crusoe di D. Defoe, Alex comincia la dura lotta per la sopravvivenza, allietata soltanto dall’idillio con la piccola Stasja (Liquorich). Film di molti meriti (da un romanzo di Uri Orlev): l’interpretazione del piccolo Kiziuk; il modo con cui il regista danese si muove nel microcosmo cadente della fabbrica e dei suoi cunicoli per il quale lo scenografo Norbert Schere si è ispirato alle acqueforti delle Carceri di Piranesi; le musiche di Zbigniew Preisner, il compositore preferito di Kieslowski; l’esplicita denuncia delle connivenze tra tedeschi nazisti e cattolici polacchi.
La persecuzione e lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale diventano un serial che segue le drammatiche vicende della famiglia Weiss. Ne fanno parte il dottor Josef (Fritz Weaver); sua moglie Berta (Rosemary Harris); il primogenito Karl (James Woods); Inga (Meryl Streep), la moglie (di fede cristiana) di Karl; Rudi (Joseph Bottoms) e Anna (Blanche Baker), i figli di Inga e Karl; Moses (Sam Wanamaker), il fratello di Joseph. Michael Moriarty interpreta Erik Dorf, l’ambizioso ufficiale nazista. La serie ha vinto 8 Emmy Awards, un DGA Award, 2 Golden Globes e un Peabody Award. Herbert Brodkin è tra i produttori del serial con le musiche di Morton Gould.
Zev Guttman, ebreo affetto da demenza senile, è ricoverato in una clinica privata con Max, con cui ha condiviso un passato tragico e l’orrore di Auschwitz. Max, costretto sulla sedia a rotelle, chiede a Zev di vendicarli e di vendicare le rispettive famiglie cercando il loro aguzzino, arrivato settant’anni prima in America e riparato sotto falso nome. Confuso dalla senilità ma determinato dal dolore, Zev riemerge dallo smarrimento leggendo la lettera di Max, che pianifica il suo viaggio illustrandone i passaggi.
In una dimora di campagna del Gers (sud-ovest della Francia) la morte della vecchia M.me Vieuzac determina l’arrivo di figli, nuore, nipoti, bisnonni per i funerali, l’apertura del testamento e la divisione dell’eredità. Sono i giorni cruciali del maggio 1968. Con Renoir ( La règle du jeu ) e Buñuel (lo sceneggiatore J.-P. Carrière) come modelli, Malle mette in scena la grande paura dei benpensanti, e attraverso un gruppo di 12 personaggi, i vari punti di vista sul ’68 nelle cadenze leggere di una commedia caustica sui vizi pubblici e privati della borghesia. Imbozzola molti personaggi in ruoli, inclinando verso la caricatura più che verso la satira, escludendone tre per cui ha simpatia: Milou (Piccoli), la degna M.me Vieuzac (Dubost) e la piccola Françoise, orecchie e occhi indagatori sugli adulti e tenera complicità col nonno. Bravi attori, incantevole fotografia dello svizzero R. Berta, musiche parajazzistiche dell’ottantenne Stéphane Grappelli.
Ricordi, visioni, ossessioni di un intellettuale pugliese (Bene, nato a Campi, Lecce, nel 1937) di estrazione cattolica e piccoloborghese, di cultura decadentistica con inclinazioni verdiane. Si mette in scena, e in immagini, con una forte carica di ironia e autoironia, un farneticante furore barocco, uno sregolato umorismo irridente ora divertente ora allarmante. Il punto di fusione di questi eterogenei momenti è l’atteggiamento di ricerca di un assoluto che sa irraggiungibile. Tratto da un suo antiromanzo (1966), è il 1° dei 7 film realizzati da Bene nel periodo 1968-73. Interventi vocali di Ruggero Ruggeri (“Il trionfo di Bacco e Arianna”), Arnoldo Foà (“Il lamento” di Lorca), Indro Montanelli (dichiarazioni sul Generale della Rovere ). Impermeabile a ogni tentativo di interpretazione logica e razionale: “È tutto quel che vi piacerà” (C. Bene).
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