1944, nel famoso campo di concentramento ad Auschwitz si sterminano numerosi ebrei. In esso sono operanti anche gli Sonderkommando, squadre particolare di internati giudei che vengono costretti dagli aguzzini nazisti ad attendere al regolare funzionamento delle camere a gas. Se si rifiutavano morivano, altrimenti avrebbero vinto qualche mese di vita in più. Nonostante questo tentano di mettere in piedi una rivolta, la sola mai tentata nel campo.
Jill, giovane moglie del brillante uomo d’affari Larry Baker, si sente trascurata dal marito al punto tale da avere disturbi psicosomatici (il singhiozzo) per i quali ricorre alle cure di uno psicoanalista. Presso lo studio del dottore ella conosce Sebastian, un pianista nevrotico che non riesce ad esibirsi in pubblico, ma che riesce a sedurre la signora attraverso il suo fascino non poco narcisista d’artista e uomo di cultura. Invaghita per Sebastian, Jill chiede il divorzio a suo marito il quale si mostra accondiscendente e deciso a non compromettere la reputazione della donna, assumendosi la responsabilità del divorzio e adottando come causa fasulla una relazione con la sua segretaria. Ma presto il pianista Sebasian ritrova appieno il suo ego d’artista e, sentendosi nuovamente trascurata, Jill decide di tornare da Larry. Quando giunge da lui in albergo, Larry finge di essere in dolce compagnia della segretaria Sally, per far ingelosire la sua vecchia consorte. Ma Jill scopre il trucchetto e Larry diventa di nuovo tenero ed amorevole agli occhi dell’ex moglie. I due tornano a vivere assieme nella loro casa, mentre Sebastian, terzo incomodo tra quelle mura, si vede costretto ad andar via, con i suoi ritratti fotografici sotto il braccio. Con That Uncertain Feeling Lubistch ripropone la trama del suo Kiss Me Again, muto del 1925, riportando sullo schermo il tema del matrimonio come istituzione scomoda e allo stesso tempo curiosa, all’interno della quale i rapporti tra uomo e donna sono caratteizzati da incomprensioni e piccole intolleranze, spesso alla base di fastidiosi disturbi psichici. Il film propone infatti una leggera e simpatica parodia della psicanalisi e dell’interpretazione un po’ troppo approfonita ch’essa vuol dare di certi fenomeni.
A Parigi il timido David (Mouret) dà lezioni di corno e trova una stanza in affitto in casa di Anne (Bel), svampita proprietaria di una copisteria. Diventano amici. Nel frattempo lui s’innamora della bella Julia (Valette) e lei di Julien (Brillant) che subito se ne va. Dopo qualche cambio di casa, David e Anne si riuniscono. Anche a letto. 3° film dell’attore/sceneggiatore/regista Mouret: ha come modello il cinema di Rohmer in questa piccola commedia giocata sul registro del burlesque con sprazzi di surreale e di Woody Allen. Balletto di traslochi, personaggi multiformi, interpretati con leggerezza. Da notare la brava Ascaride nel ruolo della madre di Julia. Distribuito fievolmente nel dicembre 2006 da Lady Film.
La banca di una cittadina balneare è rapinata da una banda il cui capo, Simon (Crenna), è ben conosciuto dal commissario Coleman (Delon) che gli dà la caccia e lo raggiunge in presenza di Cathy (Deneuve), la donna che avevano in comune. Ultimo film di Grumbach, in arte Melville, il 3° con Delon e uno dei suoi più fiochi. “Narra una storia poco avvincente, si aggrappa a temi e a personaggi risaputi, espone situazioni senza nerbo” (P. Gaeta). Da salvare la rapina iniziale. La Deneuve luminosa dice 3 battute in tutto il film.
Giovane compositore di provincia evade dalla triste realtà quotidiana viaggiando in sogno attraverso i secoli e trovandovi belle donne innamorate finché si accorge che la felicità è a portata di mano. Clair voleva soltanto “divertire e far sorridere”. Ci riesce. Non è il suo film migliore, ma il più paradigmatico. E c’è Philipe, fulgido emblema di giovinezza.
Una ragazza si allontana dalla famiglia che l’opprime. Gli impieghi che trova non fanno che peggiorare la sua situazione; ben che vada il suo titolare vuol portarsela a letto. La conoscenza di un ragazzo tetro e insoddisfatto le crea altri problemi. I due predispongono addirittura un suicidio, che poi non realizzano perché tutto sommato è meglio restar vivi e volersi bene.
Film di attori: Manfredi è bravo e non strafà; Tiffin è carina e ben doppiata; Tognazzi, che ricorda Harpo Marx, ha la modestia di rinunciare alla parola. La dolorosa istoria della contrastata passione tra Marino, barbiere di Alatri, e la sventurata Marisa. Dopo tante sciagure e tentati suicidi, coronano il loro sogno d’amore. Scritto da Age & Scarpelli, con dialoghi ricalcati sulla lingua della subcultura popolare (fotoromanzi, canzoni, ecc.).
Ci sono tutti, i personaggi principali del romanzo di Collodi, nel Pinocchio di Matteo Garrone: Geppetto e il suo burattino di legno, Lucignolo, Mangiafuoco, la Fata Turchina, il Grillo Parlante, il Gatto e la Volpe, fino all’Omino di burro, il Tonno e la Balena. Perché questo ennesimo adattamento cinematografico di una delle favole italiane più note nel mondo è enormemente rispettoso dell’originale, come già era stato Il racconto dei racconti al testo di Gianbattista Basile.
C’è una cura devota nella ricerca delle facce giuste, negli scenari che chiunque abbia letto Pinocchio ha immaginato, nei dettagli dei costumi, del trucco (impressionante il legno con cui è costruito il bambino), degli effetti speciali artigianali, come lo erano stati ne Il racconto dei racconti, e utilizzati con grande parsimonia, ovvero solo quando narrativamente necessari.
In questa cura c’è tutto l’amore e la reverenza che Garrone ha verso il testo di Collodi, il suo perfetto equilibrio nel dosaggio degli elementi narrativi e nella caratterizzazione di personaggi che sono diventati archetipi, verso quell’ingranaggio drammaturgico che vede il percorso di iniziazione alla vita di un burattino che sogna di diventare un bambino (e dunque un uomo) vero dipanarsi per corsi, ricorsi e inciampi, sempre due passi avanti e uno indietro, con un andamento ad elastico sempre pronto a ritornare bruscamente al punto di partenza, proprio quando sembrava così vicino al salto evolutivo.
Gli interpreti son perfetti: Benigni trattenuto e straziante (come già il Nino Manfredi del Pinocchio televisivo di Luigi Comencini), il piccolo Federico Ielapi minuto ma tosto, sempre in equilibrio fra intraprendenza e desiderio di appartenere, disobbedienza e lealtà.
E poi Massimo Ceccherini e Rocco Papaleo, nati per diventare la Volpe e il Gatto, Gigi Proietti credibilissimo come il burbero Mangiafuoco dallo starnuto facile, le due fatine (bambina e adulta) Alida Baldari Calabria e Marine Vacht, la prima compagna di giochi (e marachelle), la seconda mamma e Madonna; il grillo parlante Davide Marotta. Standing ovation per Maria Pia Timo (la Lumaca), Enzo Vetrano (il Maestro) e Nino Scardina (L’Omino di burro).
Da 3 fiabe ( La cerva fatata , Lo polece , La vecchia scortecata ) di Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile (1575-1632) trasposte a intreccio e con sostanziali modifiche dai 4 sceneggiatori, tra cui Garrone stesso. Divenuta madre in seguito a una gravidanza magica, una regina è turbata dal rapporto del suo unico figlio col figlio di una serva, suo sosia. Un re deve dare la figlia in sposa a un orco perché è l’unico che riesce a superare la prova creata per ottenere la mano della principessa. Una vecchia, scambiata dal suo re per una giovane, accetta di passare la notte con lui, purché al buio; scoperta e gettata da una torre, si salva e diventa una meravigliosa fanciulla. Nella sua rivisitazione delle fiabe barocche di Basile, Garrone ne ha accentuato i toni grotteschi e truculenti ma anche il carattere di apologhi sulla tracotanza dei potenti. Esercizio di stile di altissimo livello, certo, ma fine a sé stesso e, alla fine, lungo e noioso. Se nei film precedenti Garrone aveva sfiorato il formalismo, questa volta lo ha abbracciato. Fotografia incantevole di Peter Suschitzky, splendide scenografie di Dimitri Capuani, costumi fiabeschi di Massimo Cantini Parrini, musiche suggestive di Alexandre Desplat.
Dieci anni nella vita breve e infelice di Leon (Bix) Beiderbecke (1903-31), uno dei pochi grandi jazzman bianchi, che si distrusse con l’alcol per l’impossibilità di conciliare due mondi, due culture, due Americhe. Costruito in forma di mosaico, è il 1° film girato in America dai fratelli Avati: ricostruzione d’epoca puntigliosa, colonna musicale filologicamente accurata. Film tenero, ma monocorde, senza colpi d’ala. È un limite più che un difetto, frutto di una scelta stilistica e morale. Sottovalutato e senza successo. Nastro d’argento alla fotografia di Pasquale Rachini; David di Donatello e premio Ciak alle scene di Carlo Simi. Esiste il documentario Bix-ain’t none of them play like him yet (1981) di Brigitte Berman.
Sposati da vent’anni, Michele e Elsa vivono a Genova nel benessere economico e affettivo, appena turbato dai rapporti tesi con la figlia Alice. Lui, imprenditore di brutto carattere, rimane senza lavoro. Aspetta due mesi a dirlo a Elsa per non rovinarle la festa per la laurea in storia dell’arte finalmente raggiunta. Tra un avvio di eccitata esultanza e un finale aperto c’è il doloroso logorio che la vita di coppia subisce in un alternarsi di liti, rabbie, angosce, rinunce, mortificazioni. L’8° lungometraggio di Soldini affronta due temi: l’amore coniugale, arduo da raccontare anche in letteratura, e la perdita del lavoro in un sistema socioeconomico imperniato sul precariato. Scritto con Doriana Leondeff, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli, è stilisticamente diverso dai suoi precedenti. La cinepresa sta addosso ai due protagonisti, seguiti con funzionali piani-sequenza (fotografia: Ramiro Civita), accompagnati con ammirevole discrezione dalla musica di Giovanni Venosta. Soldini evita le ripetizioni con la leggerezza dei soprassalti umoristici, le uscite a piedi o in motoretta per la fotogenica Genova, le aperture panoramiche sul golfo. La Buy e Albanese sono eccellenti nel recitare con gli occhi e tutto il corpo. Insolita cura nel disegno dei ruoli minori.
Da un romanzo di Raymond F. Jones. Una coppia di scienziati terrestri è rapita da misteriosi visitatori alieni e trasportata in un remoto pianeta, devastato da una guerra interplanetaria. Hanno bisogno di loro. Li aiutano e poi scappano. Uno dei migliori SF degli anni ’50, e uno dei meno reazionari a livello ideologico. “… al di là dei suoi molti meriti… merita una menzione… per il suo strepitoso BEM (Bug Eyed Monster il mostro extraterrestre della narrativa pulp) per quanto gli siano riservati meno di cinque minuti.” (Andrea Ferrari). Fu fonte d’ispirazione per innumerevoli personaggi tra cui i marziani del Mars Attack! delle figurine Topps e del film di Tim Burton.
Negli USA si diffonde, veloce, un’epidemia che ridà vita a morti affamati di carne umana. Impegnati all’aperto a girare un horror con piccole cineprese a spalla, studenti di cinema e il loro docente filmano in diretta la spaventosa situazione. 5ª tappa della saga Dead che Romero iniziò nel 1968 in BN con La notte dei morti viventi , trasformandola in un serial d’autore di impietosa analisi politica della società USA dei 2 Bush. In questo 5° film il cinema, in senso tecnico-espressivo, sostituisce la denuncia. Romero affida il ruolo di regista ai suoi personaggi (agli studenti) che registrano ciò che vedono, coniugando il verbo to shoot (riprendere, ma anche sparare). Seguito da Survival of the Dead.
Due vite parallele finché non s’incrociano. Lui è un medico del West a cui un gruppo di desperados uccide la moglie. Lei è una francesina che emigra con il marito (destinato anche lui a prematura fine) verso le terre selvagge del Nuovo Mondo. Un giorno s’incontrano…
Non ho trovato nè versione in italiano nè sottotitoli sincronizzati.
Un film di Zhang Yimou. Con Gong Li, Wen Jiang Titolo originale Hong Gaoliang. Drammatico, durata 100′ min. – Cina . MYMONETRO Sorgo rosso valutazione media: 3,13 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Giovane povera è costretta a sposare un ricco e anziano distillatore affetto da lebbra. Dopo la morte violenta del marito, si risposa con un lavoratore che si comporta da prode quando negli anni ’30 i giapponesi invadono la Manciuria. Opera prima di un ex operatore e attore, vinse l’Orso d’oro a Berlino ’88. Sinfonia in rosso maggiore, è una saga campestre _ raffinata e insieme ingenua _ in cui la vita contadina ha scarti di violenza e risvolti avventurosi. Dalle prime 2 delle 5 parti del romanzo Hong gaoliang jiazu (1988) di Mo Yan che l’ha sceneggiato. Yimou s’impose a livello internazionale con i successivi Ju Dou, Lanterne rosse e La storia di Qiu Ju.
Seguito dell’ Armata Brancaleone. Ma non un pigro seguito. Le avventure, i personaggi del secondo capitolo sono tanti e quasi tutti divertenti. Partito per le crociate con la turba del frate Zenone, Brancaleone scampa per un pelo al massacro dei compagni, salva una principessa francese e un’avvenente streghetta che stava per essere bruciata viva. Raggiunge in Terrasanta l’esercito di Boemondo, ma ne viene scacciato quando si scoprono i suoi oscuri natali. Duella con la Morte e questa volta è la streghetta a salvarlo ma a prezzo della vita. Manca al secondo Brancaleone la novità dei caratteri e del latino maccheronico. In compenso le trovate sono molte: dal personaggio dello stilista (ricalcato sul Simone del deserto di Buñuel) al giudizio di Dio fra papa e antipapa, dalla corte di Boemondo (vista come l’opera dei Pupi) ai personaggi di Toffolo e Villaggio.
In una Los Angeles immaginaria un gruppo di poliziotti si concede ogni tipo di licenza, spacciando droga o estorcendo prestazioni sessuali attraverso il ricatto. In un mondo in cui la legge non esiste e le regole del buonsenso sono ribaltate, è possibile trovare una borsa di denaro in cortile o incontrare un poliziotto che cerca disperatamente di sfondare nel mondo della musica elettronica.
Il fotografo Ernesto e sua moglie, la gallerista d’arte Elena, erano una coppia felice che viveva a Londra insieme al figlio dodicenne Carlo. Ma durante una vacanza nella loro nativa Italia un incidente automobilistico cambia completamente le loro vite. Anni dopo troviamo Ernesto a Londra da solo, a intrattenere relazioni occasionali con modelle giovanissime, e a fare volontariato in un penitenziario londinese dove insegna fotografia ai detenuti. Fra questi il suo preferito è Ian, un talento fotografico naturale in carcere per spaccio, figlio di un fruttivendolo con il vizio dell’alcool e di una madre che non ce la fa più. Quando Ian viene scarcerato, senza aver rivelato i nomi dei suoi fornitori di droga, Ernesto lo raggiunge nel quartiere degradato dove il ragazzo vive e gli propone di aiutarlo ad allestire la sua prossima mostra fotografica. Quel che Ian non sa è che Ernesto pensa che quella mostra sarà l’ultima, e per questo ha chiesto anche l’aiuto di Elena, che non incontrava dall’epoca dell’incidente.
Tre uomini e due donne fanno conoscenza su un treno per Nizza. Una volta a destinazione, vengono coinvolti in un delitto che non hanno commesso. Il caso e la dabbenaggine fanno sì che venga messo insieme un vero castello di prove che li inchioderebbe, se non fosse per l’intelligenza dell’ispettore che riesce piano piano a venire a capo di tutto. Ma non è finita: al ritorno a Roma i cinque si mettono ancora nei guai.
Regia di Satyajit Ray. Un film con Soumitra Chatterjee, Victor Banerjee, Swatilekha Chatterjee, Gopa Aich, Jennifer Kapoor, Manoj Mitra, Indrapramit Roy, Bimala Chatterjee. Titolo originale: Ghare-Baire. Titolo internazionale: THE HOME AND THE WORLD. Genere Drammatico – India, 1984, durata 138 minuti. – MYmonetro 3,00 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.
Uno degli ultimi lavori di Satyajit Ray, Ghare Baire, realizzato nel 1984, fu nominato per la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Ray aveva scritto la sceneggiatura negli anni Quaranta, molto prima di quella di Pather Panchali. Forse la ragione è che il tema del romanzo omonimo di Tagore, l’emancipazione delle donne, rappresenta una delle passioni di Ray. Ambientato durante il movimento nazionalista dei primi anni del XX secolo, quando gli Inglesi erano decisi a dividere il Bengali in diversi territori in base alla religione, il film fa appello alla pietà mentre rivela l’ipocrisia di alcuni leader del movimento nazionale. Tutto questo è realizzato attraverso un triangolo amoroso tra un nobile progressista bengalese Nikhil, che cerca di emancipare la moglie Bimala, mentre un leader nazionalista, Sandip, non solo lo sfrutta come un parassita ma seduce persino la sua ingenua consorte. Il risultato è un dramma intenso che non solo non ha perso rilevanza dopo un secolo dalla sua scrittura, ma che continuerà ad essere apprezzato allo stesso modo in futuro.
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