Un film di Abel Gance. Con Severin-Mars, Ivy Close, Gabriel De Gravone Titolo originale La roue. Drammatico, durata 260′ min. – Francia 1923. MYMONETRO La rosa sulle rotaie valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Sisif, che lavora nelle ferrovie, in un incidente ferroviario, raccoglie la piccola Norma, che ha perso i suoi genitori e la fa crescere con il suo vero figlio Elie. Quando lei diventa grande, Sisif se ne innamora, ma un ingegnere la porta via per sposarla.
L’avventura allucinante di una donna chiusa in una casa con uno psicopatico soggetto a crisi di aggressività seguite da depressione e perdita della memoria.
Il 3° film di Puccioni conferma le qualità dei precedenti, con la tragica storia di una donna forte, sola, disillusa dopo anni di batoste pubbliche e private: è la biografia di Armida Miserere, una delle prime donne italiane a gestire un istituto penitenziario. Ne ha diretti tanti, a cominciare da quello di Parma, poi Voghera, l’Ucciardone a Palermo, Torino, Ascoli Piceno, Spoleto, Lodi, San Vittore a Milano e infine Sulmona. L’abitudine di indossare la divisa era il suo modo di farsi accettare in un mondo maschilista, ma anche una testimonianza di rispetto verso il suo ruolo. Nel 1990 l’amato compagno Umberto Mormile, educatore, è assassinato. Ex criminologa, amica dei magistrati Caselli e Sabella, muore suicida nel 2003. È interpretata benissimo dalla Golino che dà grazia, calore e femminilità a una donna considerata tanto dura quanto aspra, con una dedizione al lavoro e una preparazione e onestà tanto grandi quanto rare. Distribuisce AMBI Pictures di Andrea Iervolino e Monika Bacardi.
Un film di Walter Lang. Con Myrna Loy, Clifton Webb, Jeanne Crain Titolo originale Cheaper by the Dozen. Commedia, durata 85′ min. – USA 1950. MYMONETRO Dodici lo chiamano papà valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
L’eccentrico inventore Frank Gilbreth e sua moglie Lillian hanno 12 figli, circostanza che implica una calibrata organizzazione. Tratto da un libro autobiografico (scritto da Frank B. Gilbreth Jr. e da Ernestine Gilbreth Carey, figli del protagonista), sceneggiato e prodotto per la Fox da Lamar Trotti, è una commedia per famiglie, spiritosa, garbata e sentimentale senza sdolcinature. Webb e Loy perfetti. Seguito da Ragazze alla finestra (1952).
Una famiglia dell’alta borghesia a Calais. Il padre è il fondatore di un’azienda che ora è guidata dalla figlia e dal riottoso nipote. I due debbono risolvere il problema di un grave incidente che ha causato una vittima. Al contempo il fratello di lei, passato a seconde nozze, ha problemi con la figlia di primo letto che viene a vivere con lui dopo il ricovero della madre. Intorno a loro il Mondo che affronta ogni giorno altri tipi di problematiche.
Sposato con un’americana (Davis), un ingegnere tedesco antinazista (Lukas) è costretto a una vita nomade e stentata finché arriva a Washington con moglie e figli, ospitato nella ricca casa della famiglia di lei. Qui, ricattato da un nobile rumeno (Couloris) che minaccia di denunciarlo all’ambasciata germanica, lo uccide e riparte per l’Europa per continuare la sua missione antifascista. Tratto da una pièce (1941) di Lillian Hellman che ottenne il New York Drama Critics’s Award, e sceneggiato da Dashiell Hammett, allora compagno della Hellman, è un film Warner che risulta oggi verboso e statico anche perché diretto da H. Shumlin che, dopo questo e un 2° film, opportunamente ritornò alle regie teatrali. Bisogna, però, giudicarlo all’interno del contesto storico-politico del tempo: nel 1941 l’opinione pubblica americana e le potenti lobby che la influenzavano erano ancora divise nei confronti del nazifascismo europeo. Doppiaggio a parte, il film conta per gli attori. P. Lukas vinse l’Oscar e L. Watson una candidatura insieme a quelle per il miglior film e la sceneggiatura. B. Davis dichiarò poi: “Non era la mia parte favorita, ma sapevo che valeva la pena fare quel film”.
Cielo di Fuoco sviluppa la propria azione in un unico grande flashback, innescato da un oggetto trovato da un ex-medico militare su un campo di aviazione dismesso in Inghilterra, nel quale furono dislocati i B-17 inviati dagli Stati Uniti per colpire il territorio tedesco. Il medico (interpretato dal Premio Oscar per il migliore attore non protagonista Dean Jagger) rivive la propria vicenda bellica, che ruota attorno all’arrivo di un nuovo comandante, il Generale Savage interpretato da un ottimo Gregory Peck,che sostituisce il comandante, suo sottoposto ed amico, a causa delle elevate perdite subite durante le azioni di guerra. Il nuovo comandante instaura un regime di disciplina completamente differente dal suo predecessore, considerato da Savage troppo vicino ai suoi equipaggi, basato sulla durezza e precisione dell’addestramento, e la sottolineatura violenta degli errori commessi dai suoi uomini, che nel momento in cui commettono delle mancanze vengono relegati su un apparecchio definito “il lebbrosario”. Il medico è l’unico che comprende quali siano le contraddizioni all’interno di Savage, che da un lato si mostra inflessibile, dall’altro è profondamente legato ai propri uomini, e cerca di mediare sulle situazioni più critiche.
Bretagna. In un villaggio di pescatori alcuni bambini scoprono il cadavere di una loro coetanea. Il sospetto cade sul suo insegnante privato di disegno, René, sposato con l’infermiera Viviane attratta da uno scrittore famoso che ha una villa nella zona e ogni tanto vi torna per periodi di riposo. Se Valeria Bruni Tedeschi rifà se stessa, Chabrol è capace di riproporre un groviglio di vipere provinciale ricco di sfaccettature lavorando soprattutto sui nascondimenti e (come vuole il titolo italiano) sui colori.
Dopo il passaggio di un tifone il giovane Kaito, che abita con la madre divorziata nell’isola giapponese Anami Oshima, trova vicino alla riva il cadavere di un uomo coperto di tatuaggi. Quel cadavere inneschera’ una serie di congetture sulla vita amorosa della madre del ragazzo dopo il divorzio che Kaito non ha mai veramente accettato. Dal canto suo la fidanzatina di Kaito, Kyoko, sta attraversando un momento drammatico: sua madre è malata terminale e torna dall’ospedale per finire a casa i suoi ultimi giorni. La madre di Kyoko è una sciamana che vive “al confine fra gli dei e gli esseri umani” e accoglie con serenita’ la prospettiva dell’estremo passaggio, ma Kyoko non sa rinunciare alla presenza corporea della mamma per accontentarsi di quello spirito che, per chi resta, “non e’ abbastanza”. Naomi Kawase costruisce un fragile micorocosmo umano incastonato all’interno di un ambiente naturale potente e incontrollabile, raccontando con la sua consueta visione olistica una storia minima ma di grande impatto emozionale.
Shigeki è un anziano che vive in un istituto in cui riceve le amorevoli cure di Machiko, un’infermiera che soffre per la perdita del proprio figlio. Dopo aver festeggiato il compleanno di Shigeki Machiko decide di portarlo a fare una gita in campagna. A un certo punto sono però costretti a procedere a piedi e il vecchio decide di attraversare la foresta che si trova nelle vicinanze. Dopo due giorni di cammino nel folto della vegetazione i due arrivano alla tomba della moglie di Shigeki. Machiko scopre che l’uomo le ha scritto per 33 anni. È ora il momento di inviarle l’ultima lettera.
Una complessa operazione internazionale, per neutralizzare una cellula terroristica, si intensifica quando alcuni dei maggiori ricercati si trovano nella stessa casa, a Nairobi, e stanno preparando attentati suicidi. Dopo una serie di estenuanti telefonate burocratiche tra il colonnello Powell, il generale Benson (ultima performance di Rickman) e i membri del Governo britannico e americano, la decisione è quella di inviare un drone. L’arma tecnologica è pilotata dal giovane ufficiale Steve Watts dall’interno di un hangar nel deserto del Nevada. Ma una bambina si siede davanti al bersaglio, a vendere pane. Il pilota si rifiuta di premere “il grilletto”. Che fare? Valutare nuovamente i danni collaterali? Rischiare di uccidere anche la bambina, considerando che i kamikaze provocheranno un numero nettamente superiore di morti? Hood affronta il dibattito sulla giustizia dei droni, come Good Kill di Niccol. Un racconto teso, con personaggi umani, cinici, dai nervi d’acciaio e un lessico tagliente; un film ambientato nei campi minati dell’etica. Un soldato obbedisce senza fiatare o viene rimosso dal suo incarico. Qui il soldato impersona la coscienza della guerra moderna; nodo narrativo in cui si impiglia la trama di questa profonda commedia nerissima, scritta da Guy Hibbert.
Un film di King Vidor. Con Jeanne Crain, Kirk Douglas Titolo originale Man Without a Star. Western, durata 89 min. – USA 1955. MYMONETRO L’uomo senza paura valutazione media: 3,00 su4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Battaglia tra allevatori, che vogliono disporre dei ricchi pascoli del West senza limitazioni, e agricoltori che intendono invece recintare i loro campi da coltivare. La lotta vede per protagonisti due cowboy, alle dipendenze di una ricca e bella quanto egoista allevatrice.
Ingeborg, insegnante di piano in precarie condizione di salute, e la figlia adottiva Nelly vivono, con il coinquilino Ulf in una piccola cittadina in cui “nulla può infrangere il silenzio della notte”. Un giorno questa tranquillità si spezza: in paese arrivano Jack, misterioso giovane che ammalia Nelly con la sua loquace parlantina, e soprattutto Jenny, la madre biologica della ragazza, che le offre un lavoro in città a cui lei non sa dire di no. Giunta nella metropoli la giovane ne scopre presto l’artificiosità: non è solo la sua innocenza a farne le spese. Dopo aver scritto la sceneggiatura di Spasimo , un acerbo e giovane Bergman si cimenta per la prima volta nella direzione di un film in cui, nonostante una ancora immatura elaborazione psicologica dei personaggi, riesce a dare un’ordinata struttura simmetrica alla sua opera mettendo Nelly al centro della vicenda: tutto gira intorno alla sua figura che evidenzia la dicotomia speculare tra la quiete del paese (rappresentata da Ingeborg e Ulf) e la falsità della città di cui fanno parte Nelly e Jack. La protagonista smaschera le debolezze, le crisi che entrambe le due realtà presentano: la staticità del paese e la fragilità della grande città.
Cieca dall’età di due anni, la ventenne Mun di Hong Kong recupera la vista con un trapianto di cornea, ma comincia a vedere fantasmi di persone vittime di morte violenta (c’è anche un bambino suicida che le parla) e ad avere allucinazioni indecifrabili e inquietanti. L’origine dell’anomalia preternaturale è nella giovane thailandese con doti di preveggenza da cui ha ereditato le cornee. Scritto con Jojo Hui dai gemelli thailandesi O. e D. Pang (anche montatore) e imperniato, come Il sesto senso , sul tema – tipico della cultura religiosa asiatica – della permanenza dei morti nel mondo dei vivi, è un film fantastico incline alla disperazione più che allo spavento. Nella 1ª parte ha nella sfocatura la sua congrua cifra stilistica, ma anche l’uso degli effetti speciali è quasi sempre funzionale alla storia e alle sue atmosfere. La fiammeggiante catastrofe finale sottolinea l’uso creativo del montaggio. Titoli di testa in alfabeto Braille.
Dal romanzo Aimez-vous Brahms? (1959) di Françoise Sagan, sceneggiato dal commediografo Samuel Taylor. Stanca di un amante infedele (Montand), un’arredatrice parigina quarantenne (Bergman) ha una romantica love story con un giovane e ricco americano (Perkins), ma quando l’amante ricompare, lo lascia. Prolissa commedia sentimentale in cui un bieco patetismo hollywoodiano surroga quel che doveva essere la malinconia di fondo. Sull’orlo del ridicolo i tre protagonisti tra cui il peggiore è Montand. All’attivo soltanto il bianconero di A. Thirard e alcuni caratteristi. Premiato a Cannes.
Se c’è chi pensa che il detto “si nasce rivoluzionari e si muore conservatori” valga per il Roman Polanski che “illustra” (come alcuni hanno scritto) “Oliver Twist” di Dickens non si illuda. Il regista di Rosemary’s Baby e di Il coltello nell’acqua ha conservato intatto il proprio sguardo attento agli angoli oscuri della società e della psiche. Uno sguardo mediato dall’esperienza di Il pianista e proprio da quel film di successo stimolato a rivisitare il proprio passato di bambino salvatosi dal ghetto di Cracovia con la madre uccisa ad Auschwitz. Lo fa per l’interposta persona di uno dei personaggi più famosi dell’universo dickensiano, quell’Oliver Twist che ha già costituito una fonte di ispirazione per il cinema. Polanski legge la vicenda narrata dal grande autore inglese immergendola in una miseria materiale e morale quasi palpabile. Osservate l’illuminazione del film: è dominata da un buio sporco, per nulla gotico ma carico invece delle scorie prodotte dall’abbrutimento dell’essere umano al contempo carnefice e vittima nel tragico incedere dell’industrializzazione forzata. La luce di una bella giornata di sole è un fatto quasi incidentale, secondario, non “normale”. Così al centro della storia sono sì le vicende dell’innocente orfanello costretto a far parte di una banda di ladri organizzati. Ma chi gli ruba il proscenio è Fagin nell’interpretazione magistrale che ne dà un irriconoscibile Ben Kingsley. È lui, padre e padrone della banda di ladruncoli, che detta i ritmi della vicenda con il suo corpo laido che percorre le stanze e le vie del degrado umano ricordando a tratti le caricature infami con cui i nazisti dileggiavano gli ebrei.
Chloé ha un dolore che non passa. Giovane donna fragile, somatizza un segreto che custodisce nel ventre e affronta in terapia. Paul, lo psichiatra, la ascolta senza dire niente fino al giorno in cui decide di mettere fine alle sedute. La seduzione che Chloé esercita su di lui è incompatibile con la deontologia professionale. Ma Chloé ricambia il sentimento di Paul e trasloca la sua vita (e il suo gatto) nel suo appartamento. Tutto sembra volgere al meglio, quando scopre che il compagno le nasconde la sua parte oscura: Louis, gemello monozigote che svolge la stessa professione in un altro quartiere di Parigi. Intrigata, prende un appuntamento. L’attrazione è fatale. Chloé li ama entrambi, uno con dolcezza, l’altro con bestialità. Alienata e divisa, scende progressivamente all’inferno.
Un ammiraglio, alla vigilia della pensione, rievoca vent’anni di marina statunitense. La storia di come ebbe per primo (o quasi) l’idea delle portaerei.
A Venice (Los Angeles) il giovane Derek (E. Norton) riacquista la libertà dopo tre anni di carcere per l’omicidio di due balordi neri che stavano per rubargli l’auto. Il fratello e gli amici, fanatici aderenti a un movimento neonazista, lo accolgono come un eroe, ma Derek è cambiato. Epilogo sanguinoso. Scritto da David McKenna e diretto dall’esordiente T. Kaye, noto regista pubblicitario, il dramma concentra nel giro di 24 ore la memoria e il senso di tre anni con l’ottica di Danny (E. Furlong), fratello minore di Derek e suo succubo. Interessante a livello sociologico come rapporto sull’odio razzista nelle grandi aree metropolitane degli USA, il film soffre di schematismo didascalico e di scarsità di sfumature nel disegno dei personaggi, anche e soprattutto in quello del protagonista, pur interpretato con istrionismo ben controllato dall’ottimo E. Norton.
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