Da un racconto di Stanley L. Hough. Finita la guerra civile, due colonnelli, un tempo nemici, si ritrovano per affari in Messico e diventano amici e alleati contro banditi locali e rivoluzionari. Un po’ letargico nel ritmo e prolisso nella narrazione, è ravvivato da qualche sequenza d’azione e dalla coppia Hudson-Wayne.
Durante la guerra 1939-45 il generale americano Dennis è silurato perché nel bombardamento di fabbriche tedesche perde quarantotto Fortezze Volanti. Ma l’operazione fa parte del piano D e il successore non può che imitarlo. Ricalco fedele, anche troppo, di una verbosa pièce (1947) di William Wister Haines. Parole e poca azione. Recitazione di ordinaria amministrazione.
Ho anche una versione in inglese senza sub, se interessa
Dal romanzo di Rona Jaffe. Tre giovani provinciali carine trovano lavoro e perdono le penne della loro virtù negli sterilizzati uffici di una casa editrice di New York. Sottoprodotto del fortunatissimo I peccatori di Peyton , non tralascia alcun effetto per raggiungere i suoi scopi melodrammatici. H. Lange è la migliore della compagnia. La Crawford sopra le righe.
Poliziotto di S. Francisco è morbosamente attratto da una scrittrice sospettata di un omicidio commesso durante un amplesso. Thriller erotico in forma di giallo ( whodunit ) di imbecillità costernante e di svergognata disonestà nell’accanita ricerca dello choc. Verhoeven e il suo strapagato sceneggiatore Joe Eszterhas (3 milioni di dollari!) mimetizzano i loro intenti mercantili, e la misoginia, con pomposi alibi tematici. Celeberrima la scena dell’interrogatorio in cui la fatale Stone, senza slip, accavalla le gambe. È tutto dire. M. Douglas, spesso con le brache abbassate, sembra la copia carbone del padre Kirk nelle sue peggiori interpretazioni.
Un episodio della guerra civile americana. Il maggiore Kearny, che scorta dei cavalli che servono ai suoi, viene attaccato dalle truppe della parte avversaria: cede i cavalli per salvare i suoi uomini. Viene espulso dall’esercito, ma riesce a provare la sua innocenza e a riabilitarsi.
Ottobre 1994. Heather Donahue, Joshua Leonard e Michael Williams, tre studenti dell’Università di Cinema di Montgomery, si avventurano nei boschi attorno alla cittadina di Burkittsville (in passato chiamata Blair), nel Maryland, per girare un documentario sulla leggenda della strega di Blair. Armati di telecamera sedici millimetri in bianco e nero, destinata al racconto della storia, e di una piccola videocamera otto millimetri a colori, per le riprese di una sorta di backstage, i tre si mettono al lavoro, spinti dall’entusiasmo della ragazza, decisa a girare il suo primo film. Il soggetto è succulento: Elly Kedward, accusata di stregoneria, viene cacciata dalla città di Blair alla fine del 1700. Dopo la sua fuga nei boschi, molti ragazzini scompaiono in quelle stesse foreste e, negli anni ’40, un serial killer uccide sette bambini e sostiene di averlo fatto su ordine del fantasma della strega. Dopo aver intervistato alcuni abitanti della cittadina, i tre aspiranti filmmakers si spingono nel bosco alla ricerca della chiave del mistero. Ma ben presto si perdono, pedinati da un’oscura e terrificante presenza. Prima ancora che il film inizi, siamo avvisati della scomparsa nei boschi dei tre ragazzi protagonisti. Un caso rimasto insoluto. Le uniche tracce lasciate dai tre sono contenute nel materiale audiovisivo da loro girato. Il film che segue è il frutto di un semplice montaggio in ordine cronologico di questo materiale ritrovato: il diario di viaggio di tre giovani, prima eccitati, poi sempre più spaventati. La tensione sale progressivamente, sino al climax finale. Ma il film sta tutto qui: nello stato emotivo ansiogeno dei protagonisti persi nel bosco, accentuato solo da qualche sinistro rumore in fuori campo. Se lo spettatore sta al gioco e si lascia coinvolgere, l’angoscia assale anche lui. Altrimenti l’involontario effetto del ridicolo è dietro ogni angolo e sequenza, in questo film che non è un film, dato che non c’è un’azione o un intreccio, né un copione apparente. E tutto sembra lasciato all’improvvisazione dei tre attori esordienti, abbastanza credibili con la loro interpretazione più che naturalistica, eccezion fatta per la capogruppo Heather Donahue, un po’ troppo forzata. I due registi, Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, anche loro esordienti, pensano bene di scomparire e, con l’espediente del falso documentario e della conseguente artigianalità delle riprese, con fotografia sporca e macchina a mano, confezionano un prodotto privo di stile e senza alcun interesse cinematografico, neppure per i cultori del genere horror, con cui questo film ha poco a che fare. Neppure è nuova la trovata del mockumentary (che presenta eventi fittizi come se fossero reali) applicato all’horror, dato che ci aveva già pensato nel 1979 con Cannibal Holocaust l’italiano Ruggero Deodato, che aveva persino preso in considerazione l’ipotesi di una denuncia per plagio. Il colpo di genio, quello che fa parlare del mistero della strega di Blair a più di un decennio dalla sua uscita in sala, sta nell’operazione di marketing congegnata per il lancio di un film low budget e straindipendente. Un evento mediatico partito dalla rete, con il lancio di un sito internet che racconta nei dettagli il caso dei tre ragazzi scomparsi, presentandolo come un fatto spaventosamente reale. Il passaparola generato online e il successivo battage pubblicitario hanno fatto il resto, portando un film costato 60 mila dollari a incassarne 240 milioni nel mondo. Un fenomeno simile, però, può riuscire soltanto una volta. Non a caso, l’interesse intorno alla saga della strega di Blair si è esaurito già alla seconda puntata (BW2 – Il libro segreto delle streghe). Della terza, solo progettata, non è rimasta neppure l’ombra e dei due furbi e corteggiati registi non si è più sentito parlare.
Quattro storie di truffe ambientate in quattro città diverse. Quattro episodi firmati da Roman Polański, Claude Chabrol, Ugo Gregoretti, Hiromichi Horikawa.
Cinque avventurieri, sopravvissuti alla guerra civile, spadroneggiano in un paese. Uno di essi viene ucciso perché infastidiva una ragazza indiana; gli altri quattro lo vendicano sopprimendo il suo difensore. Lo sceriffo ne ammazza tre; l’ultimo è eliminato dalla sua amante tradita e ingannata.
In Valacchia, a metà del XIX secolo, padre e figlio inseguono a cavallo un uomo, un povero diavolo fuggito dalla residenza di un dispotico Boiardo. Accusato prima di furto e poi di adulterio, Carfin, zingaro e schiavo, trova rifugio nella campagna e nella soffitta di un contadino tollerante.
La guerrigliera palestinese Dahlia, che capeggia un’organizzazione terroristica, organizza un attentato a Miami, per colpire gli Usa. Si tratta di far saltare per aria un intero stadio gremito di 80.000 persone, presente il presidente stesso degli Stati Uniti.
Un ex sceriffo ritorna al paesello per vendicare la morte del figlio ucciso da un ranchero. Trova il tempo per fidanzarsi con una ballerina e insegnare a uno sbarbatello la difficile professione di sceriffo.
Un film di Vsevolod Pudovkin. Con Aleksandr Cistjakov, Vera Baranowskaja, Sergej Komarov, Vsevolod Pudovkin Titolo originale Konec Sankt-Peterburga. Drammatico, durata 91′ min. – URSS 1927. MYMONETRO La fine di San Pietroburgo valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Nel 1914 a San Pietroburgo un giovane contadino sprovveduto, assunto in fabbrica, denuncia gli organizzatori di uno sciopero, si pente, si rivolta, finisce in carcere da dove lo spediscono al fronte. Nell’ottobre del 1917 partecipa all’assalto del Palazzo d’Inverno. I due temi centrali _ la presa di coscienza rivoluzionaria del protagonista, la trasformazione di Pietroburgo in Leningrado _ non sono bene amalgamati: il primo è sacrificato al secondo. Resta efficace, comunque, grazie alla forza del montaggio, la dialettica tra i motivi collettivi: i movimenti della Borsa, l’attività delle fabbriche di munizioni, la guerra al fronte, la volontà rivoluzionaria. Pur con qualche schematismo nelle trovate simboliche è innegabile l’afflato epico-lirico che gli storici del cinema hanno collocato al centro di una trilogia sulla presa di coscienza del proletariato russo, tra La madre (1926) e Il discendente di Gengis Khan (1928).
La qualità video, vista anche l’età della pellicola, non è granchè purtroppo.
Vicenda western ambientata nell’Oregon, dove il mancato accordo fra l’esploratore Johnny e Nuvola Rossa per far cessare il traffico di whisky provoca conflitti e disavventure fra le parti, sino alla scoperta dei colpevoli e al trionfo della giustizia.
Il figlio di un ricco possidente violenta e uccide la moglie indiana dello sceriffo. Questi scopre il colpevole in un altro paese e lo arresta. Il padre del ragazzo, deciso a difenderlo ad oltranza, provoca l’incendio dell’albergo in cui sono alloggiati. Sceriffo e prigioniero escono insieme; il secondo viene ucciso per errore e anche suo padre ci lascia la vita.
Fanciulla scompare da una villa sulla scogliera. Nel cercarla il suo innamorato scopre un passaggio segreto che porta a una città sottomarina abitata da esseri mostruosi guidati da un potente. Almeno per i fan del cinema fantastico i piccoli film di Tourneur sono chicche. Anche qui, specialmente nella 1ª parte, non mancano momenti di strana poesia. Più fiacca, anche per mancanza di mezzi, la parte subacquea.
Dialoghi ridotti al minimo, ma con un’assidua voce narrante, parlato in inglese e ungherese con sottotitoli, distribuito in DVD, è il LM di fiction di esordio di Brugia, autoriale, astruso, complicato e ambizioso. Fa capo a un uomo misterioso che vive molte vite con diversi passaporti, ma ha perduto la sua identità come se il suo scopo fosse quello di non esistere, ma di esserci là dove occorre. È al servizio di una società criminale ungherese che lavora sul mercato europeo della prostituzione. Gli affidano, da portare in Italia, Nora, biondina un po’ androgina e infantile, prelevata da un orfanotrofio, ma poi lo incaricano di eliminarla. Scritto dal regista con Giovanni Robbiano, è filmato in un originale colore denaturato sino al bianconero. È montato in modi allusivi, giocando sulla sottrazione, contraddetta dalla macchinosa parte criminale che pur non manca almeno di un personaggio riuscito, il potente sull’orlo del fallimento. Aspettiamo Brugia al suo 2° film.
Si tratta della trasposizione cinematografica di un famoso telefilm americano che originariamente era interpretato da James Garner, che qui fa la parte dello sceriffo. Maverick è un baro che ispira simpatia e fiducia. Girovaga tra un saloon e l’altro con Annabelle, anche lei ladra. I due incontrano a St. Louis uno sceriffo di pochi scrupoli. Nella ridente cittadina si tiene un torneo di poker. Mel Gibson fa troppe smorfie e la regia di Richard Donner non riesce a esaltare la vicenda.
Una banda di fuorilegge viene catturata e condannata a morte. Il fratello del capo prende il posto del boia e li libera. I fuggitivi, inseguiti dallo sceriffo, vengono sorpresi al risveglio. Sulla via del ritorno sono attaccati dai crudeli bandoleros: i due fratelli muoiono per difendere la donna che il capo dei fuorilegge ama.
Alberto ha una moglie, due bambini e una piccola impresa che versa in cattive acque. Stimato oltremodo dalla consorte, che giudica troppo sincera e ingenua, Alberto le nasconde di ‘arrotondare’ la vita facendo il corriere per gente poco raccomandabile. Alla vigilia del secondo viaggio qualcosa però va storto e la sua famiglia è presa in ostaggio da tre malviventi interessati al prossimo carico. Partito dalla provincia ligure alla volta di Reggio Calabria, Alberto dovrà ritirare il pacco illecito e consegnarlo ai sequestratori. Ma niente andrà come previsto. Sulla strada di casa l’impresario dovrà risolvere e risolversi, salvaguardando la vita e il futuro della sua famiglia. Opera prima e pluripremiata di Emiliano Corapi, Sulla strada avvia una biografia ordinaria e minacciata nel sogno di una vita borghese e procede nella follia e nell’angosciosa tensione di un inseguimento. Combinando fino a confondere realismo e genere, Corapi scrive e gira un racconto visivamente rigoroso, dove il budget modesto e gli schematismi dell’intreccio rendono ancora più essenziale la corsa del protagonista verso un destino ineluttabile. L’Alberto di Vinicio Marchioni incarna l’uomo ordinario, assediato dalla vita e chiuso in primi piani claustrofobici e senza dialoghi che rimandano a un’inquietudine interiore e generano la sensazione di non essere più padroni di se stessi. La funzione opprimente della macchina da presa sul personaggio, lanciato in una corsa inquieta attraverso strade secondarie sotto il sole netto del giorno e davanti alle luci artificiali di un albergo ‘come quelli dei film americani’, rispecchia la condizione di vita all’interno di una società capitalista e indebitata, che strozza e istiga rimedi estremi. Al centro del film c’è un impresario esemplare, che ha deciso di sporcarsi le mani e rendersi complice di un meccanismo economico criminale identificato con l’Italia stessa, percorsa in tutta la sua lunghezza e la sua miseria. La strada del titolo, promessa di un altrove, diventa presto un percorso tragicamente limitato e controllato, lungo il quale (in)segue e precede il Sergio di Daniele Liotti, doppio di Alberto con cui condivide un destino disgraziato, una scelta azzardata e un viaggio che resta in fondo solitario per ciascuno di loro. Il volto di Vinicio Marchioni perde la ‘freddezza’ e la nobilitazione tragica del bandito della Magliana (la serie) e trova la pesantezza, l’anonimato e l’opacità di un personaggio di terz’ordine, avviato al riscatto esistenziale ma poi condotto all’unica sublimazione possibile. Un debutto apprezzabile e pregiato, quello di Emiliano Corapi, che indaga la parte peggiore di noi, quella disposta a compromettersi pur di confermare agli altri la propria immagine perfetta. Un film sui falliti e i perdenti che fa il paio con L’industriale di Giuliano Montaldo e un cinema italiano aspro, sincero e non riconciliato, frequentato da attori autentici come Fabrizio Rongione e Donatella Finocchiaro. Un film, ancora, che fa i conti con un Paese che se si riconoscesse per quello che sa di essere sarebbe finalmente diverso.
Un film di Roberto Rossellini. Guerra, b/n durata 77 min. – Italia 1941. MYMONETRO La nave bianca valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Una nave di guerra viene colpita da un cannone nemico. La nave bianca, ospedale galleggiante, la soccorre. Film che unisce momenti del conflitto ad altri di finzione.
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