Investigatore assunto da una donna per cercare il marito lo trova cadavere. Ed è solo l’inizio. Dal romanzo Bersaglio mobile (1949) di John Ross MacDonald (1° dei 20 con Lew Archer, fratello spirituale di Sam Spade di Hammett e di Philip Marlowe di Chandler). Cast di prim’ordine e ambientazione californiana suggestiva. Newman riprese il personaggio in Detective Harper: acqua alla gola (1976) con meno successo.
Un orfanello ha sofferto moltissimo per la morte del padre, tanto che ne ha fatto quasi un personaggio mitico, elogiandolo con i compagni e narrando loro sue immaginarie quanto eroiche imprese partigiane. Gli anni intanto passano e il protagonista, ormai adulto, sente il bisogno di liberarsi di quel mito ormai scomodo. Cerca così di dimostrare la sua maturità nuotando da una sponda all’altra del Danubio. Il film, premiato a Mosca, è un invito a vivere secondo le proprie esperienze e una condanna al culto della personalità.
Adattamento dell’omonimo romanzo di Somerset W. Maugham, Being Julia è una piece di recitazione dai toni briosi ma malinconici, ambientata nel mondo del teatro d’epoca inglese. ulia Lambert è primattrice nella Londra dei tardi anni ’30. Non più giovanissima e condannata a primeggiare, la donna vive una vita da star apatica, tra le solitudini dello spettacolo ed un matrimonio ‘aperto’ con il proprio marito/agente. Cedendo alle attenzioni di un giovanissimo pretendente americano, Julia ritroverà l’entusiasmo perduto e si abbandonerà senza riserve ad un amore a doppio taglio. Tra vendette e gelosie, vita reale e teatro si fonderanno per l’attrice in una inscindibile amalgama. zabò è padrone dei ritmi del ‘teatro al cinema’ sin dai tempi di Mefisto e Tentazione di Venere, e, sfoggiando una regia sobria e lineare, con eleganza riesce a plasmare su una solida sceneggiatura un gradevole connubio dalle tinte agrodolci. La fotografia esplode negli esterni ma lascia un retrogusto di artefatto sugli interni, nonostante sia comunque impeccabile. Inattaccabile anche il cast, con un sempre brillante Jeremy Irons al fianco di una Annette Bening che si lascia dominare dal personaggio. Incomunicabilità e solitudine si intrecciano sullo sfondo di un tipico umorismo cinico, dove finzione e realtà si compenetrano in modo istintivo, senza bisogno di scomodare quindi Pirandello e il suo cerebralismo. Uno spettacolo di spessore, degno sicuramente di visione per gli amanti del classico, in cui nemmeno un finale frettoloso intaccherà l’atmosfera “da manuale”.
Ben, 80enne pittore, e George, 60enne insegnante di musica, stanno insieme da quasi 40 anni. Decidono di sposarsi. La loro scelta provoca una valanga: George è licenziato per aver ufficializzato una situazione scabrosa fino a quel momento accettata anche se non detta. L’assenza di un’entrata regolare provoca la débacle economica. Vendono la casa, non ne trovano un’altra, si fanno ospitare dagli amici. Piccolo film di scuola alleniana sulle grandi e sulle piccole difficoltà di una coppia, in ambiente gay, un po’ malinconico, mai melenso né consolatorio, ma nemmeno mai graffiante. Sachs ha la mano leggera. Troppo.
Quello di Victoria è il più esteso lago tropicale del mondo (68 800 kmq), compreso tra Uganda, Kenya e Tanzania. Nel 1962, “per fare un esperimento”, vi fu introdotto qualche pesce persico del Nilo. Nel giro di venti anni il vorace predatore provocò l’estinzione di quasi tutta la fauna ittica, assunse dimensioni da squalo cannibale e trasformò l’ecosistema della regione, l’assetto sociale e le abitudini alimentari degli indigeni. Nacque un’industria che esporta i filetti di pesce persico in mezzo mondo. Quasi ogni giorno all’aeroporto di Mwanza (Tanzania) atterra un cargo russo Antonov che riparte con un carico di cinquanta tonnellate di pesce. Non è, però, un documentario ittico quello che Sauper, tirolese giramondo con casa a Parigi, ha girato tra molte difficoltà, tangenti da pagare e rischi con una piccola telecamera e un aiutoregista. Altrimenti non avrebbe vinto, dopo 3 anni di lavoro, 16 premi (uno a Venezia 2004 nelle Giornate degli Autori) e una nomina all’Oscar 2005. Il pesce persico diventa una metafora del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale. Gli aerei non arrivano vuoti a Mwanza, come i razzisti, panciuti piloti ucraini dicono: trasportano kalashnikov, napalm e munizioni per rifornire le guerre civili che dagli anni ’80 devastano il cuore (di tenebra) dell’Africa. Diseguale, sconnesso, impressionistico nella prima ora, sull’orlo del miserabilismo, diventa poi uno sconvolgente rapporto con crude immagini: sterminate distese del pesce scartato che i poveri indigeni friggono e mangiano; ragazze che campano prostituendosi per pochi dollari agli alieni della civiltà occidentale; bambini che sniffano colla; ragazzini che a nuoto spingono i pesci nelle reti; il guardiano che spera nell’arrivo di una guerra di cui profitterebbero in molti.
La condizione femminile è il perno di questo affresco di storia cubana in forma di trittico: 1895 (colonialismo), 1933 (dittatura di Machado), 1959 (rivoluzione). Ciascuna delle 3 storie ha un proprio tono e stile: acceso melodramma nella 1ª (Revuelta), dramma psicologico con risvolti ironici e catarsi finale nella 2ª (Nuñez), commedia allegra e colorita nella 3ª (Legrá), contraddistinta dalla veloce parlata campesina . È il migliore, comunque, il più acclamato film cubano degli anni ’60. 2° film di Solas (1942) che l’ha scritto con Julía García Espinosa e Nelson Rodríguez, evita lo schematismo dell’ortodossia ideologica e la retorica della propaganda, non senza risvolti di ironia critica su alcuni aspetti del nuovo regime. Conta anche per la varietà del registro stilistico che passa dal barocchismo al cinema hollywoodiano classico e alla commedia neorealistica del 3° episodio. 1° premio al Festival di Mosca del 1969.
Like You Know It All (Korean: 잘 알지도 못하면서; RR: Jal Aljido Mot-hamyeonseo; lit. “You Think You Know It All But You Don’t”) is a 2009 South Korean comedy-drama film written and directed by Hong Sang-soo
Arthouse filmmaker Goo can’t seem to direct a hit, but at least the critics love him. He goes to Jecheon, North Chungcheong Province to judge the local film festival, but the common practice for jurors is to schmooze by day, drink at night, and sleep through movies. He bumps into an old friend Boo Sang-yong in town and drinks till he passes out, but not before soundly offending his friend’s wife. After Jecheon, Goo heads to Jeju Island to give a college lecture. There, he meets up with a former mentor, who it turns out is now married to Goo’s ex-unrequited lover.
Raised by Wolves – Una nuova umanità (Raised by Wolves) è una serie televisivastatunitense di fantascienza, creata da Aaron Guzikowski che ha debuttato su HBO Max il 3 settembre 2020.I primi due episodi sono stati diretti da Ridley Scott, che è anche uno dei produttori esecutivi della serie.
Nel XXII secolo, due androidi (Madre e Padre), in fuga con degli embrioni dalla Terra devastata dalla guerra, hanno il compito di crescere bambini umani in un misterioso pianeta (Kepler-22 b). Dopo alcuni anni, solo uno dei bimbi sopravvive e si scopre che sul pianeta sono presenti altri terrestri, anch’essi fuggiti.
In un innevato villaggio del Kurdistan armeno, ex repubblica caucasica dell’URSS, vive Hamo, vedovo sessantenne, ex ufficiale dell’esercito sovietico con una pensione di dieci dollari al mese. Nelle sue visite giornaliere al cimitero dov’è sepolta la moglie, conosce Nina, attraente vedova cinquantenne. Per amarla vende il poco che ha. Leone d’oro di Controcorrente a Venezia 2003. Finale liricamente surreale, un po’ facile, ma all’insegna di una voglia irriducibile di vivere che è latente nel film e ne permette le cadenze stralunate e asciutte di commedia dolceamara in cui Saleem, curdo irakeno esule in Francia dopo brevi soggiorni in Siria e in Italia, trasfigura una situazione di mesta miseria. Col contributo della fotografia di Christophe Pollock, esperto nel superare le difficoltà e i rischi del biancore innevato, il regista fa parlare il paesaggio più che i personaggi tra cui i due protagonisti mantengono un’ammirevole dignità nella lotta per la sopravvivenza.
Una pioggia di comete affascina il mondo e tutti si mettono a guardare l’incredibile spettacolo: la conseguenze è che tutti diventano ciechi. Bill Masen (Howard Keel) è ricoverato in ospedale per un’operazione agli occhi e si rammarica di non aver potuto seguire lo spettacolo a causa delle bende che gli coprono gli occhi. Si rammarica meno quando al risveglio si rende conto di quanto è accaduto e, toltesi le bende, si ritrova in una Londra desolata dove i ciechi brancolano disperatamente causando disastri. Altra conseguenza è che delle strane piante, i Trifidi, nate da semi provenienti dallo spazio, crescono impetuosamente diventando, dato che possono “camminare” e uccidere, una terribile minaccia per l’umanità. Tratto con parecchie libertà da uno dei classici della fantascienza inglese, dell’ottimo John Wyndham, è un film diseguale che però ben rappresenta, anche esteticamente, l’approccio britannico al fantahorror in rapporto a quello americano, più sbrigativo, dell’epoca. Più cura è data allo sviluppo dei personaggi e alle relazioni interpersonali, con il risultato che maggiore è la partecipazione dello spettatore alle loro vicende e migliore è conseguentemente l’impatto drammatico della storia. L’inizio è di grandissima efficacia, con il risveglio del protagonista nell’ospedale abbandonato e la sua scoperta di una Londra devastata e semideserta: non a caso verrà praticamente rifatto da Danny Boyle in #Vedi#28 giorni dopo. Il resto è meno efficace, ma non mancano buoni momenti di suspense. Gli effetti speciali sono poco memorabili, ma suscitano simpatia per la loro spiccata artigianalità. Le sequenze del faro sono girate da Freddie Francis (al suo esordio, non accreditato, alla regia) per aggiungere “polpa” a un film che al termine della lavorazione era risultato troppo corto.
Primi anni Settanta, in una cittadina della Baviera. Cresciuta in una famiglia e in un ambiente di zelanti cattolici praticanti, la ventunenne Michaela Klinger, affetta da epilessia di cui controlla le crisi con farmaci, va a studiare all’università di Tübingen dove per la prima volta si sente autonoma e assaggia la libertà. È un terremoto di emozioni che innesca nuove e più gravi crisi durante le quali “sente le voci”. È soltanto una malattia o una possessione diabolica, come credono i due preti che si occupano di lei e la sottopongono a esorcismi? Scritto da Hans Bernd, il film s’ispira a una storia vera di cui fu vittima a Klingenberg (Baviera) un’epilettica di 23 anni, che sarebbe morta di anoressia l’1-7-1976. Sui temi del conflitto tra scienza e religione, tra spinta centrifuga verso la crescita e quella centripeta della chiusura familiare e provinciale, H.-C. Schmid e il suo sceneggiatore hanno fatto un film emotivamente molto denso, ma anche tendenzialmente imparziale nel rispetto dei fatti e dei personaggi. Gli dà l’acqua della vita l’esordiente (al cinema) S. Huller (doppiata da Connie Bisnuto), giustamente premiata a Berlino 2006. Costumi di Bettina Marx.
Siamo in “Nuovo Zelandia” un luogo in cui le ere (quella Vittoriana e una più recente) sembrano essere entrate in commistione. In questo mondo esistono i vampiri, creature originate 300 anni prima da una mutazione genetica. Essi però hanno stretto un patto con gli umani e si sono uniti in una comunità di “Fratelli”. I vampiri fanno uso delle loro superiori conoscenze e dei poteri attribuiti loro dalla particolare conformazione fisica per aiutare gli esseri umani. I quali li ricambiano con spontanee donazioni di sangue. Tutto è sempre andato per il meglio finché un giorno Edgar, un vampiro, ha iniziato a vedere gli umani come prede. Edgar è figlio del Grande Sacerdote della comunità e fratello di Silus il quale si allea con la polizia umana per metterlo in condizione di non nuocere. Troverà anche un amore non semplice da sostenere. Chi predilige le storie di vampiri ‘mordi e fuggi’ non apprezzerà questo film neozelandese. Chi invece è interessato a vicende più complesse stile Intervista col vampiro troverà sangue per i suoi denti. Perché oltre all’ambientazione ibrida Perfect Creature recupera con grande abilità l’immagine del Vampiro come ‘male che viene dal di fuori e infetta’ partendo da una premessa in cui il pericolo è stato superato grazie a un patto di mutuo soccorso con l’umanità. Ma il diverso integrato è sempre sul filo del rasoio. Rischia, anche per la colpa di uno solo, di veder rimesso in discussione uno status che sembrava ormai consolidato. Glenn Standring riesce ad offrire un film raffinato, capace di rivisitare i ‘luoghi’ del cinema vampiresco non limitandosi a una noiosa ripetizione ma cercando di scavare nelle ancora non del tutte esplorate (e sembrerebbe impossibile) potenzialità degli emofagi protagonisti.
Ex playboy britannico di nascita danese, Claus von Bulow (Irons) sposa nel 1966 ricchissima americana (Close) che nel 1980 entra in coma irreversibile. Condannato per tentato uxoricidio, ricorre e ottiene l’assoluzione due anni dopo grazie a un brillante avvocato difensore (Silver). Ispirato a un fatto vero e basato su un libro dell’avvocato Alan Dershowitz, adattato da Nicholas Kazan, appoggiato alla fotografia di Luciano Tovoli e ai costumi di Milena Canonero, è un film elegante e algido che ha, in fondo, soltanto due meriti: l’interpretazione “fredda” di Irons, premiata con un Oscar, e l’insolita costruzione.
Il perfido Galactus sta per attaccare la Terra, servendosi di Silver Surfer, temibile uomo d’argento che vola su una tavola da surf (anch’essa d’argento). Le autorità sono costrette a chiedere l’intervento dei Fantastici 4 (due dei quali si stanno sposando). Fonte inesauribile di spunti per il cinema hollywoodiano, il mondo dei fumetti è la patria anche di questo 2° capitolo sui personaggi creati da Stan Lee (testi) e Jack Kirby (disegni) per la Marvel nel 1961. Non è un sequel ma un’avventura a sé che ha una sola ideuzza (lo scambio di poteri dei 4 personaggi) in un mare di banalità, battutelle e trucchi mal sfruttati. Si capisce chiaramente che T. Story non prende la cosa troppo sul serio, ma riesce perfino a esagerare e mette insieme 92 minuti di solo intrattenimento talmente vacuo che finisce per annoiare. A parte Silver Surfer, l’unico pregio del film è la breve durata.
Tre fratelli napoletani , Maurizio, Jerry e Lello Cubani (Cubani è il cognome) decidono di far esplodere l’auto di una persona che gli ha fatto uno sgarro Dopo aver messo in fuga un ladro intento a rubare l’ auto interessata procedono. Sfortunatamente per i Cubani, l’ auto fatta esplodere è quella di Saggese, uno spietato boss che aveva nascosto in quella vettura un considerevole quantitativo di droga. I tre fratelli, accortisi dell’ errore, cominciano a fuggire ma devono rinunciare alla loro auto, trafugata dal ladro incontrato poco prima.
Paul, sedicente figlio di Sidney Poitier, conquista la fiducia dei Kittridge, agiata coppia newyorkese. La tolleranza dei due ha però un sussulto quando risulta che il ragazzo è un abile maestro nell’inganno, la cui tecnica consiste nell’introdursi nelle case di persone abbienti.
Al suo ultimo incarico, un agente che viaggia nel tempo dovrà catturare l’unico criminale sfuggitogli nel corso del tempo. Tratto dal racconto “Tutti voi zombie” del 1959 di Robert A. Heinlein, il film racconta la vita di un singolare agente, magistralmente interpretato da Ethan Hawke (Nomination all’Oscar® come Miglior Attore Non Protagonista per Boyhood), che deve affrontare una serie intricata di viaggi spazio temporali, progettati per garantire l’applicazione della legge per l’eternità. Ora, al suo ultimo incarico, l’agente è all’inseguimento di un criminale che da sempre continua a sfuggirgli: l’obiettivo è salvare migliaia di vite messe in pericolo dai piani di questo terribile assassino.
È un colosso storico a programma, tradito dal banale, scorretto titolo italiano e indicato da quello originale che, nel frasario del catechismo italiano, corrisponde a Regno dei Cieli. L’azione comincia nel 1184, alla fine di quel breve periodo di pace tra la II crociata (1147-49) e la III (1189-92), dovuto alla politica conciliante tra il sovrano cristiano Baldovino IV il Lebbroso e il sultano Saladino. Tipico personaggio del cinema di R. Scott (anche produttore), il protagonista è il fabbro francese e vedovo Baliano, figlio bastardo del nobile Godfrey di Ibelin e da lui promosso cavaliere. Nella sua bottega c’è una scritta: “Che uomo è un uomo che non rende il mondo migliore?”. Segue il padre verso Gerusalemme, obbedendo ai suoi insegnamenti: essere intrepido col nemico, dire sempre la verità, proteggere gli indifesi. In Terra Santa, pur facendo carriera col suo valore, non riesce a migliorare il mondo a causa dei fanatici estremisti delle due fazioni che vogliono lo sterminio del nemico al grido di “Dio lo vuole!”. Che i guerrafondai cristiani siano i Templari è probabilmente il solo grave errore storico di un film “politicamente corretto” nel miglior senso dell’abusata locuzione, che però rimane un’allusiva denuncia della politica della Casa Bianca e del Pentagono ai tempi di Bush, padre e figlio (che nel 2001 definì new crusade la guerra al terrorismo). Del film un musicista francese direbbe: lente mais allant avec une grande rigueur de rythme . Personaggi in altorilievo. Scritto da William Monahan, girato in Spagna e Marocco. Scene: Arthur Max ( Il gladiatore ); costumi: Janty Yates; fotografia: John Mathieson.
Se voglio fischiare, fischio (Eu când vreau să fluier, fluier) è un film rumeno del 2010 del regista Florin Șerban
Silviu, diciottenne ribelle, è in galera da quattro anni. A sole due settimane dalla fine della pena, riceve una visita da suo fratello minore, il quale lo informa che è appena tornata la madre dall’Italia, paese in cui lavora come receptionist d’albergo. Quando Silviu apprende dal fratellino che sua madre ha intenzione di portarlo con sé in Italia, perde completamente il senno: è stato lui infatti a crescere suo fratello e non ha intenzione di lasciarlo alla madre, donna incostante e inaffidabile che già una volta ha abbandonato i figli per seguire un uomo. Dopo aver provato a convincere sua madre invano, Silviu arriva a compiere atti estremi
E’il 14 luglio, festa nazionale della Francia. Una squadra mista, composta da poliziotti italiani e francesi, e comandata dall’esperta Helène Laborie, sta scortando a Strasburgo su un blindato Abedin Nexhep, un pericoloso esponente della mafia albanese che deve essere processato dal Tribunale per i Diritti Umani. Contemporaneamente, alla periferia della stessa città, cinque ladruncoli stanno rubando centinaia di computer portatili da un deposito. Il blindato, dopo essere sfuggito ad un’imboscata tesa da un esercito di killer assoldati da Nexhep, ripara nel deposito di computer. Attaccati da ogni parte, i ladri e i poliziotti sono costretti ad allearsi per cercare di uscirne vivi. Nonostante punti molto in alto, citando a più non posso Carpenter e Peckinpah (per tacere de I magnifici sette, il cui celebre refrain viene fischiettato dalla banda di ladri prima del colpo), il regista confeziona un ottimo film di genere, cupo, opprimente ma mai banale: basti pensare all’implicita ed ambigua corrispondenza tra le vespe parassite del titolo, su cui viene mostrato in apertura un documentario, e gli albanesi che penetrano in Europa per liberare il loro capo. Politicamente scorretto, certo, ma in ottima compagnia nella migliore tradizione dell’action movie.
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