Quattro malviventi si impadroniscono di un vagone della metropolitana di New York con alcuni passeggeri e il controllore, chiedendo in cambio degli ostaggi un milione di dollari. Se entro un’ora non li avranno, uccideranno i sequestrati. L’ispettore della metropolitana prende delle iniziative che si rivelano quasi tutte giuste. Alla fine sarà un piccolo dettaglio (uno starnuto) a fargli trovare il colpevole.
Per la difesa nucleare degli Stati Uniti il dottor Forbin ha progettato un efficientissimo computer ribattezzato Colossus. Al momento della sua attivazione, Colossus rivela che anche in Unione Sovietica è funzionante un analogo cervello elettronico, Guardian, costruito dal dottor Kuprin. Messi in contatto l’uno con l’altro i due sistemi cominciano a scambiarsi informazioni ed il governo americano, preoccupato di una fuga di dati riservati, ordina di disattivare la connessione. Quasi reagendo a questa misura, i due computer provocano un lancio di missili tra Russia e America.
Forse definibile come thriller metafisico, è in realtà un film ingiudicabile per come è stato sconciato e amputato dai produttori della Morgan Creek, dato che l’irlandese Sheridan è regista di rispetto (Orso d’oro a Berlino 1993 per Nel nome del padre , 7 candidature agli Oscar senza vincerne uno), anche perché lo script di David Loucka si presta a molte riserve. Ambientato in un inverno innevato alla periferia di New York, è la storia di una tipica famiglia di provincia perseguitata da inquietanti presenze di ritorno dal passato. Escluso Craig che è fuori parte, gli attori funzionano, nonostante tutto, specialmente la Watts e la Weisz. Non mancano le citazioni abusate (le gemelline di Shining ). La paura è suggerita soprattutto dai rumori della colonna sonora.
1943: alcuni contingenti di truppe Usa sono in Inghilterra in attesa dello sbarco in Normandia. Un ufficiale e due sergenti si legano a tre giovani donne, una delle quali sposata con un militare che combatte in Asia. I rapporti fra le tre coppie sono contrastati dai familiari delle ragazze e dalla popolazione locale.
In una zona desertica della California, il geologo Ben recupera alcune pietre nere di origine sconosciuta e le porta nel suo laboratorio per analizzarle. Durante la notte si scatena una tempesta ed un frammento della roccia cade accidentalmente dal contenitore nel quale era riposto. Il giorno dopo, Dave Miller, un collega dello scienziato, scopre il laboratorio disseminato di pietre nere e Ben, morto, immobile e duro come una statua. Una bambina in gita con la sua scolaresca nella zona visitata da Ben raccoglie una delle pietre misteriose e, tornata a casa, la mette a contatto con l’acqua. Risultato: la casa è distrutta ed invasa dalle pietre che si sono moltiplicate e la bambina, portata di corsa all’ospedale, ha una mano che già comincia a pietrificarsi. Dopo vari tentativi, Dave comprende che le pietre provengono da un meteorite caduto nel deserto, che hanno la facoltà di assorbire e risucchiare il silicio dal corpo degli esseri umani (nel film si spiega che il silicio mantiene elastica la pelle) e che l’acqua le fa crescere e moltiplicare. Nel frattempo la salute della bambina sta migliorando da quando il dottor Reynold le ha somministrato una soluzione salina: evidentemente è questa l’arma che bisogna usare contro la “meteora infernale”. Ma bisogna far presto perchè è in corso un terribile temporale. Lo scienziato si reca nel deserto ed assiste sgomento al moltiplicarsi delle rocce che si sgretolano e si ricompongono dando vita ad un vero e proprio esercito di monoliti che espandendosi inarrestabilmente minaccia da vicino i centri abitati. Occorre, quindi, prendere subito una decisione estrema: si fa saltare una diga e l’acqua salata del mare allaga la zona distruggendo una volta per sempre i mostruosi monoliti.Il film è stato realizzato dallo staff di Jack Arnold, ma John Sherwood, per quanto volenteroso, non è certo all’altezza del maestro.
Dimenticatevi di 8 Mile: il nuovo lavoro di Jim Sheridan lo batte a tempo di hip-hop e pallottole, e come il suo predecessore trae ispirazione dalla biografia di uno dei protagonisti più discussi della scena. Marcus Greer è il figlio di una ragazza madre che tenta di proteggerlo dalla violenza delle strade di New York e fargli vivere una vita dignitosa nonostante la mancanza del padre di cui non vuole rivelare l’identità. Quando la giovane signora Greer viene uccisa, il ragazzino dodicenne si trasferisce dai nonni materni ma capisce sin da subito quali sono le dure regole del gioco e per cercare di emergere nel mondo dell’hip-hop e allo stesso tempo diventare un vero gangster si infila in un giro di spaccio dominato da Majestic (Adewale Akinnuoye-Agbaje) da una parte e dai colombiani dall’altra.
Con sei quaderni, una gonna che odia e il mal di pancia, Melinda Sordino si avvia ad affrontare il primo giorno di lezioni. L’estate passata, durante una festa, è stata violentata da uno dei ragazzi più popolari della scuola, motivo per cui, sconvolta, ha chiamato la polizia, giunta subito dopo a interrompere i festeggiamenti. Nessuno conosce la verità, genitori inclusi, e i compagni vedono nella telefonata alle forze dell’ordine, la voglia di guastare il divertimento degli altri e additano Melinda come una scocciatrice. Lei decide di non parlare con nessuno, tiene chiuso in un mutismo ansiogeno il suo spaventoso segreto. Solo le attenzioni di un insegnante d’arte riusciranno a far emergere la triste verità.
Il ventiquattrenne Andrzej Leszczyc si sveglia troppo presto per andare all’ufficio militare dove deve passare la visita di leva. Finora ha avuto il rinvio perché studente di ittiologia, ma ora che la sua tesi non procede (ed è stato espulso dall’Università), decide di arruolarsi immediatamente. È ancora buio. Esce di casa ugualmente e vaga per la città. All’ufficio leva è interrogato e quindi sottoposto a visita medica: «Segni particolari? Nessuno». Quella sera stessa dovrà partire per il campo. Gli rimangono soltanto poche ore di libertà prima di passare due anni nell’esercito. Allora decide di ritornare a casa. Qui non dice niente a Teresa, la sua ragazza che talvolta presenta come moglie.
Leon Okrasa è l’addetto all’inceneritore dell’ospedale di una cittadina di provincia situata nella pianura polacca. Abbandonato sin da bambino è stato allevato da una donna che ha sempre chiamato nonna. Affetto da un leggero ritardo mentale che lo ha spinto ad autorecludersi in una introversione estrema, Leon ha sviluppato un sentimento d’amore nei confronti di Anna, un’infermiera che vive di fronte alla sua misera abitazione. La donna in un passato recente è stata vittima di uno stupro del quale è stato accusato proprio Leon che ne è invece stato un sofferto testimone. In seguito alla morte della nonna l’uomo prende una decisione: invece di continuare a spiare a distanza Anna penetrerà di notte nella sua casa dopo aver fatto in modo che assuma inconsapevolmente dei sonniferi.
Nella Francia delle guerre napoleoniche il capitano Gerard viene scelto da Napoleone per recapitare una falsa notizia militare: Gerard è così poco sveglio intellettualmente che Bonaparte è certo che il nemico lo catturerà e sarà informato male. Insieme a una bella contessa filospagnola, Gerard viene fatto prigioniero da banditi italiani e soldati inglesi, ma riesce a guidare l’esercito francese alla vittoria finale.
Una coppia di impresari americani viene scortata dalle forze militari in una perlustrazione per le gole del deserto dell’Afghanistan, finché un talebano nascosto in un antro fa fuoco sul gruppo. Impaurito, l’assassino fugge per il deserto finché non viene catturato e rinchiuso in un carcere militare dove subisce torture e viene interrogato come possibile terrorista. Impossibilitato da una temporanea sordità a rispondere a qualsiasi domanda, viene inviato in un campo di prigionia.
Estate 1944, nell’Ungheria alleata della Germania. Partito il padre per il fronte, due bambini gemelli vengono affidati dalla madre alla nonna, una contadina inacidita e crudele. Per sopravvivere, si addestrano a resistere al dolore e alla fame. Ci riusciranno, a costo di camminare sui cadaveri dei loro genitori. Tratto dal 1° romanzo omonimo della Trilogia della città di K. (1987) di Ágota Kristóf, il 4° film dell’ungherese Szász, suggestivamente fotografato da Christian Berger, è una versione storico-realistica di Hänsel e Gretel con un rovesciamento finale di ruoli tra buoni e cattivi. È la storia eterna dell’iniziazione dei bambini a un mondo adulto fatto di sopraffazione e violenza. I grandi orrori delle operazioni belliche e dei campi di sterminio non sono meno presenti perché fuori campo, a evidenziare che la guerra è fatta anche di piccoli orrori perpetrati dai civili. Vincitore del Karlovy Vary International Film Festival del 2013.
Tormentato a seguito dell’improvvisa morte della madre, Jean Berlot è un uomo solo, continuamente perseguitato dalle allucinazioni e profondamente disturbato. Durante i preparativi per il funerale della cara defunta, Jean fa amicizia con un marchese che lo esorta a trascorrere un po’ di tempo nella sua tenuta per superare le sue frequenti crisi. Qui però verrà involontariamente coinvolto in una messa nera e nelle abitudini dissolute del marchese. Portato in un sanatorio gestito dal Dr. Murlloppe che lo invita a provare una terapia preventiva, Jean s’innamorerà di una bella infermiera di nome Charlota che gli rivelerà di lavorare presso l’ospedale contro la sua volontà e che il vero direttore e il personale sono rinchiusi in un seminterrato…
Joseph è un insegnante di sessantacinque anni che non va più d’accordo con la scuola e si ritira, ma, incapace di starsene tutto il giorno in casa con la moglie, si ricolloca prima come corriere su due ruote e poi come responsabile del ritiro delle bottiglie vuote in un supermercato. Nonostante lo scetticismo della consorte, il lavoro non solo non lo umilia ma, al contrario, lo appassiona e i clienti lo incuriosiscono al punto che – complice una naturale predisposizione alla fantasticheria – Joseph comincia ad intromettersi nelle loro vite. I Vuoti a rendere di Jan Sveràk, ultimo atto della trilogia scritta ed interpretata da suo padre Zdenek, non sono tanto i pensionati dell’età di Joseph, ai quali talvolta non resta che aspettare la resa al Creatore, ma gli onesti (trasparenti) personaggi che lo circondano e che il destino pare aver dimenticato di riempire di occasioni, offrendo un inatteso quanto gratificante secondo lavoro a Joseph, che s’improvvisa a sua volta creatore di storie e di relazioni. Il doppio ruolo di attore e sceneggiatore di Zdenek Sveràk si unifica in questo modo anche all’interno del film, non senza autoironia (spunta ad un certo punto un enorme pallone gonfiato) e non senza piacevoli scorrettezze (giustificato anagraficamente nella sua crescente disinibizione, Joseph quasi solidarizza con l’uomo che ha lasciato sua figlia e suo nipote per accasarsi con una nuova e insaziabile compagna). La trasgressione vera non è un colore di questa tavolozza, ma l’umorismo è efficace e intelligente, il ridicolo evocato e brillantemente dribblato, il patetico pienamente dominato e non più sfruttato. Gli autori superano così i difetti ancora presenti in Kolja e consegnano un film dall’assunto sentimentale e dallo sviluppo semplice, che sembra rubato alla vita e invita a fare esattamente questo: vale a dire a non limitarsi ad attendere l’estate perché fa caldo e poi l’inverno perché non ci sono le mosche, ma ad impossessarsi del timone della propria esistenza e a farne un piccolo film, anche inverosimile o grottesco, l’importante è che lo suggerisca il desiderio.
Questa versione del Faust (il racconto popolare tedesco divenuto celebre nell’opera omonima di Goethe) è sviluppato in chiave moderna e surrealista (corrente a cui Švankmajer dichiaramente aderisce) risulta sublime nella sua realizzazione. Sfruttando le tecniche della stop-motion e della clay-motion, ed alternandole a riprese ordinarie in 4:3, il regista e sceneggiatore ceco costruisce una narrazione non lineare in cui si racconta, in chiave moderna e con le dovute variazioni sul tema, la storia di un Doktor Faust dei giorni nostri, ossessionato da una conoscenza che non sa più spingere oltre, e che arriva ad un patto con Mefistofele per tentare di soddisfare.
Alice è una bambina che immagina di lanciare sassi sulla riva di un fiume ma che, in realtà, vive in vecchio condominio circondata da bambole decrepite, cianfrusaglie scrostate ed animali imbalsamati. Quando un coniglio impagliato, all’improvviso, si anima fuggendo dalla teca di vetro nella quale era rinchiuso, Alice lo insegue a perdifiato, non esitando ad infilarsi all’interno del cassetto di una scrivania pur di raggiungerlo. Comincia così quest’opera monumentale del maestro Jan Svankmajer, forse l’ultimo vero surrealista ancora vivente in Europa, purtroppo ancora troppo poco conosciuto dal grande pubblico.
Praga, 1988. L’anziano Louka (Sv(3 rák), esimio violoncellista disoccupato, indebitato e scapolo sottaniere, accetta per denaro di sposare una russa (Safranková), madre di Kolja (Chalimon) di 5 anni, per permetterle di acquisire la cittadinanza ceca. Ottenutala, la donna se ne va in Germania, lasciando Kolja alla nonna che, però, ha un infarto e muore. Kolja, che non sa il ceco, passa a Louka, che non parla il russo. Rapporto difficile. Opus n. 4 di J. Sv(3 rák, figlio del protagonista Z. Sv(3 rák, noto attore ceco di commedia, è un film – piccolo, in apparenza, ma ricco a livello tematico e stilistico – sul mestiere (l’arte?) della paternità. Qui è acquisita e provvisoria, ma pur feconda di cambiamenti: nella vita del violoncellista Kolja è un segno straordinario che si manifesta nel quotidiano e ne permette la mutazione. Discutibile edizione italiana della Lucky Red, con Omero Antonutti che dà una voce troppo intristita al protagonista. Oscar 1997 per il film straniero.
In un piccolo pub le sedie sono alzate sopra i tavoli. Il locale è chiuso, non ci sono clienti ma sei attori dilettanti che si sono incontrati per provare “The Insect Play”, un’opera dei fratelli ?apek. Mentre le prove procedono, avvengono alcune inquietanti trasformazioni.
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