Un giovane torna dal Vietnam e sposa la dolce fidanzata che l’ha aspettato. Dopo la cerimonia gli sposi si recano in un motel, dove per tradizione le coppie del posto vanno a festeggiare la prima notte. Ma nel motel accadono fatti terribili e raccapriccianti. I due assistono a un assassinio e subito dopo la donna è violentata dai killer. Non è finita.
Il Cairo, Egitto, gennaio 2011. Nouredin è un ufficiale della polizia corrotto come tutti i suoi colleghi. Chiede denaro per proteggere i commercianti da attacchi delle stesse forze dell’ordine di cui fa parte. Per le strade intanto iniziano ad avvertirsi i primi segnali di quella rivolta che avrà il proprio fulcro in piazza Tahrir. Nouredin si trova però impegnato nel caso dell’omicidio, in un hotel di lusso, di una cantante che gode di una certa notorietà. Una cameriera ha visto tutto e per questo rischia la vita.
Robin Hood, nel frattempo divenuto Pari d’Inghilterra per i servigi resi a re Riccardo Cuor di Leone tornato dalle Crociate, si ribella al reggente che intende abolire la Magna Charta. Il figlio Robert viene imprigionato e costretto a un duello. Il reggente lo tiene tre giorni senza cibo né acqua per indebolirlo, ma Lady Catherine lo nutre di nascosto.
Nel castello di un nobile si introduce un giovane che tenta di sopprimere il capo dei soldati. Questi infatti è un avventuriero che ha ucciso per avidità tutti i suoi cari. Il malvagio farà una brutta fine; tra duelli di spada e assalti di pirati, si intreccia una storia d’amore a lieto fine.
Per guadagnare tanto e molto in fretta, avvocato texano entra in affari con i narcos messicani. Vorrebbe fare una rapida transazione, intascare e chiuderla, ma non ha previsto che ignoti rubino il carico, e il potente e spietato boss Reiner non ha intenzione di lasciarlo andare. Scritto dall’80enne Cormac McCarthy, narratore influenzato da Saul Bellow e qui anche produttore, è un film in cui il pessimismo prevale: fallibili, inutili, malvagi, innocenti, sono tutti vittime della storia di cui sono i principali artefici. “C’è così poco cinema in The Counselor da generare una paradossale purezza espressiva… Scott trova una limpidezza di sguardo mai posseduta…” (Roberto Manassero).
Roma, i nostri tempi. A un ricercatore universitario viene negato il rinnovo dell’assegno di ricerca; ha 37 anni, una casa da pagare, una fidanzata da soddisfare, molti amici accademici finiti per strada, stesso destino. Pietro Zinni, un chimico, non vuole fare la loro stessa fine, non vuole essere umiliato facendo il lavapiatti in un ristorante cinese, né il benzinaio per un gestore bengalese. Le sue qualifiche e il suo talento non possono essere buttati al vento. Si ingegna e scopre una possibilità ai limiti della legalità: sintetizza con l’aiuto di un suo amico chimico una nuova sostanza stupefacente tra quelle non ancora messe al bando dal ministero. La cosa in sé è legale, lo spaccio e il lucro che ne derivano no. Ma fa lo stesso, i tempi sono questi. Pietro recluta così tutti i suoi amici accademici finiti in rovina, eccellenti latinisti, antropologi e quant’altro e mette su una banda. Lo scopo è fare i soldi e vedersi restituita un briciolo di dignità. Le cose poi prendono un’altra piega…
È passato un anno da quando la banda di Pietro Zinni è stata colta in flagranza di reato nel laboratorio di produzione Sopox e ognuno dei suoi componenti rinchiuso in un carcere diverso. Da Regina Coeli Pietro continua ad avvertire le autorità che un pazzo ha sintetizzato gas nervino ed è pronto a compiere una strage, ma nessuno lo prende sul serio. Dunque si fa trasferire a Rebibbia per incontrare il Murena, che ha informazioni utili a intercettare lo stragista. Dopodiché Pietro intende rimettere insieme la banda di ricercatori universitari: le menti più brillanti in circolazione in perenne stato di disoccupazione (o detenzione).
Julien e Sophie sono amici dall’età di 8 anni. Crescono, volendosi bene e cimentandosi in giochi e sfide continue al mondo degli adulti. Passano gli anni. Julien ha moglie e due figli; Sophie è sposata a un calciatore. Finale a sorpresa con cemento. Insolita commedia romantica, con venature di allegro cinismo e uno spolvero fiabesco. Rivela nella regia di Y. Samuell (anche sceneggiatore con Jackie Cuckier ed Equinoxe) “un gusto particolare per le forzature antirealistiche e per l’esasperazione dei colori” (M. Calderale). A sorpresa, per un film a basso costo, successo di pubblico in Francia e Belgio. felici e, pagando il giusto debito al sempiterno Amelie, arricchisce una trama altrimenti banale con una lunga serie di visioni, effetti speciali e follie digitali che permettono alla pellicola di non adagiarsi.
E ci sono altri 342 tra attori, musicisti, ballerini, burattinai. Nel 1968 Mel Brooks esordì nella regia con The Producers ( Per favore non toccate le vecchiette ): buon successo e Oscar a Brooks per la sceneggiatura. Nel 2001 a Broadway andò in scena la sua trasposizione in musical: un trionfo, 12 Tony Awards di cui 2 a Susan Stroman (regia, coreografie) più di 1000 repliche, molte versioni internazionali (anche in Italia, con la regia di Saverio Marconi). Il musical diventa infine un film con gli stessi 2 ottimi protagonisti maschili e l’aggiunta ghiotta di U. Thurman, segretaria-soubrette, e del comico W. Ferrell come il matto neonazista autore dell’involontario successo di Springtime for Hitler . Musiche e testi di M. Brooks, produttore e sceneggiatore con Thomas Meehan. Fotografia: John Bailey, Charles Minsky. Dato il costo – e i rischi – l’hanno finanziato in 2: Columbia e Universal. Non è obbligatorio essere innovativi, e il film non lo è, ma lo spettacolo originale è così divertente, creativo e spregiudicato che basta da solo. Anche quando va in esterni (il numero strepitoso “Along Came Bialy” delle vecchiette con il girello) mantiene la sua prospettiva frontale, cioè teatrale. 19 canzoni. Fiasco di pubblico anche in USA.
Un siciliano (Buscarino) ritorna alla sua isola dopo aver passato quindici anni nell’Italia del Nord e vi incontra sua madre (Nugara). Ispirato a Conversazione in Sicilia (1941) di Elio Vittorini, girato in bianco e nero (William Lubtchansky), “ha l’impatto di una realtà di memorie, l’insistenza di una fuga nel tempo e l’immutabilità di una esistenza evocata in uno spazio preciso, la Sicilia, rivissuta come sospesa negli anni, in una scansione visiva che è già stata letteraria” (E. Bruno). I personaggi non hanno nomi propri, sono indicati con i ruoli (la madre, il figlio) o con le mansioni (arrotino, poliziotto, venditore d’arance); i paesaggi (Sciacca, Musumeci, Vizzini) danno verità concreta a un discorso di cadenze epiche, a una cavalcata poetica che è, insieme, realistica e metafisica. Distribuito dall’Istituto Luce.
Jimmy Logan, ex quarterback con una gamba offesa, e Clyde Logan, veterano dell’Iraq senza un braccio, decidono di organizzare una rapina. Separato dalla consorte e licenziato dal boss l’uno, single con pub l’altro, i Logan vivono nell’America rurale, collezionano una sfortuna eterna e perpetuano una maledizione familiare. Ma quella superstizione, esemplificata dal corso disastroso delle loro esistenze, diventa la loro chance: una buona copertura (chi accuserebbe mai due storpi?) e una buona occasione (giunti a questo punto, i Logan non hanno niente da perdere).
Storia vera. La raccontò, nei primi anni ’90, il giornalista Kurt Eichenwald in un libro-inchiesta sull’Archer Daniels Midland dell’Illinois, multinazionale dell’industria agroalimentare. Istigato dalla moglie e ansioso di far carriera, il biochimico Mark Whitacre diventa un collaboratore dell’FBI per il quale, anno dopo anno, raccoglie prove dell’esistenza di un accordo fraudolento sul controllo dei prezzi, progettato dalla dirigenza per cui lavora. Nel frattempo si mette in tasca 11 milioni di dollari. Sceneggiato da Scott Z. Burns, il film si svolge su un doppio binario: il thriller dell’inchiesta e il ritratto del protagonista. Al di là del bipolarismo di cui soffre, le sue bugie e la sua bulimia sono lo specchio del “sogno americano”. Ossessionato dalla cura dei dettagli e abituato ad alternare blockbuster d’azione con film più impegnativi e critici (i primi gli permettono di fare i secondi), Soderbergh ha aspettato 8 anni che Damon fosse pronto e disponibile a impersonare Whitacre. Da lui guidato, l’attore ne ha dato un’interpretazione memorabile.
In una zona povera e depressa dell’Ohio, l’amicizia tra Martha, obesa e fulva 40enne, e il 20enne Kyle è turbata dall’arrivo della disinibita ragazza-madre Rose. Pochi giorni dopo Rose è trovata strangolata. Prodotto, scritto e diretto dal polimorfo e prolifico S. Soderbergh che l’ha anche fotografato (in digitale) e montato sotto pseudonimo, è il film più breve, più grigio, meno costoso (1,5 milioni di dollari), forse più gelido, sicuramente più anaffettivo fatto negli USA da molti anni. Nessuna compassione per i personaggi atoni, interpretati senza una stecca da sconosciuti trovati sul posto. Agli spettatori e ai critici il compito di interpretarlo: pamphlet sul degrado etico e sociale della provincia USA? parabola sulla banalità del male? compatto e controllatissimo esercizio di narrativa antihollywoodiana? 1° film distribuito negli USA contemporaneamente in sala, in DVD e su una pay-TV: malissimo sul primo mercato, bene negli altri. Fuori concorso a Venezia 2005. Bubble sta per bolla, ma anche chimera, frode.
È la storia d’amore tra Scott Thorson, pianista eclettico e barocco, e un ragazzo gay di 18 anni strapazzato dalla vita e risucchiato da un uomo in un sogno a occhi aperti che alla fine diventa incubo. Basandosi sull’autobiografia di Thorson, Soderbergh si affida al talento dei suoi interpreti: Douglas ottimo nell’interpretare un’icona gay che ha sempre voluto dissimulare la sua natura, e Damon perfettamente calato nella parte. Lustrini, Rolls Royce, tanto kitsch e molta musica per un film che negli USA è stato presentato solo dal canale televisivo HBO che lo ha prodotto, mentre nel resto del mondo è uscito nei cinema.
Haywire = dare i numeri, impazzire. C’è un solo motivo per vedere questo thriller, scritto da Lem Dobbs e diretto da un regista diseguale che, almeno in Italia, spacca in due i cinecritici o sedicenti tali: quelli che lo stimano e quelli che lo ritengono un bluff, un falso d’autore. Si chiama Gina Carano, famosa in USA come campionessa di M.M.A. (Mixed Martial Arts). Il suo personaggio ha un cognome preso dal titolo originale ( Citizen Kane ) di uno dei più apprezzati film nella storia del cinema USA. Quel che fa, e quanti ne ammazza, è situato in un microcosmo astratto e teorico abitato da fantasmi, “fatto di astrazioni e geometrie, che nasce dalle macerie di un genere per ribadire che il cinema è innanzitutto il rapporto di un corpo con lo spazio che lo circonda” (G. Calzoni).
Roma, novembre 2011, negli ultimi giorni dell’ultimo governo Berlusconi, gli stessi in cui papa Ratzinger decide di dimettersi. Un deputato della maggioranza dalla doppia vita è ricattato da boss della mala romana per far approvare in Parlamento un megapiano di lottizzazione del litorale di Ostia. Ma tra le cosche criminali interessate all’affare scoppia una faida. Esercitatosi a lungo nel genere criminoso con 2 serie TV – Romanzo criminale (2008-10) e Gomorra (2014) – e il lungometraggio Acab – All Cops Are Bastards (2012), Sollima gira un film pretenzioso che punta, nello stile e nei mezzi, al capolavoro ma che invece è un tonfo per mancanza di originalità della storia, della fumettizzazione dei personaggi, della farraginosità della scrittura, della tediosa prolissità. Il difetto è nel manico, il romanzo omonimo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, anche sceneggiatori con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, ma la regia ne è complice. Che senso ha, nell’Italia del 2015, riproporre una mera descrizione del malaffare dilagante, già vista e rivista al cinema e in TV, già letta e riletta nei libri e tutti i giorni sui quotidiani, senza aggiungere almeno un tentativo di scavarne le ragioni o di prospettarne una via d’uscita, se non quello di spremere tutto lo spremibile da un filone di successo? Innegabile la perizia di Sollima, ma improntata all’estetismo più che all’estetica, al Kitsch più che al bello. Finale falso e fuorviante.
Il tema dell’elaborazione del lutto impregna questa bizzarra commedia. L’ha scritta (con David Michod) e diretta un regista che già nei corti aveva miscelato i generi con intenti scherzosi. Qui però fa sul serio e pone subito un quesito: chi è Hesher, che entra nella vita del piccolo T.J. e di suo padre e li aiuta a superare l’apatia dell’uomo, successiva alla morte della moglie, madre del ragazzino? Reale o immaginario? Salvifico o distruttivo? Non innocuo, comunque: con totale apparente noncuranza compie brutti gesti (incendia auto, butta una bomba) o assiste al pestaggio di T.J. senza intervenire in suo aiuto. Il ragazzino – e con lui lo spettatore – lo segue e lo guarda con un misto di attrazione e ripulsa. Il film resta aperto alle più diverse interpretazioni, e lo suggerisce in più modi, perfino nei simboli religiosi dei titoli di coda. Gordon-Levitt col capello lungo e il fascino tenebroso è, comunque, uno dei personaggi più originali visti negli ultimi tempi.
La drammatica storia di una ragazza che ha un unico e grande sogno : diventare attrice. Anna, questo il suo nome, senza dire nulla alla sua famiglia, si trasferisce a Copenhagen in cerca di fortuna. Presto però Anna resta incinta e partorisce una bambina. La ragazza farà il possibile per dare alla figlia tutto ciò di cui ha bisogno, ma non riuscirà a conciliare la sua vita di madre con il suo grande sogno di gioventù. Questa situazione di rinunce e responsabilità porterà ad un atto disperato, con tragiche conseguenze per Anna e sua figlia.
“BAD FILM” è una produzione leggendaria che è stata girata nel 1995 nel corso dell’anno, ma è rimasta incompiuta a causa di difficoltà di finanziamento. Quest’anno, oltre 150 ore di filmati catturati nell’ormai obsoleto formato Hi-8 (video ad alta risoluzione da 8 millimetri), sono stati rieditati per creare un’opera cinematografica sbalorditiva. Il suo concetto: “Verso la fine del 20° secolo sulla linea ferroviaria Chuo di Tokyo, appena prima del ritorno di Hong Kong al controllo cinese, masse di persone vanno su tutte le furie e l’amore si scatena”. La sua premessa vede Koenji essere conquistato dai cinesi e condurre battaglie su vasta scala tra vigilanti giapponesi e stranieri sulla linea Chuo, Shinjuku e altrove. La maggior parte del cast è composta da membri del Tokyo GAGAGA, un collettivo di spettacoli formato dal regista SONO Sion nel 1993.
Scritta dal regista e ambientata a Genova, è una commedia italiana anomala per molti motivi di contenuto e di forma, con una sceneggiatura firmata anche da Doriana Leondeff e Marco Pettenello. Ogni tanto Soldini filma dall’alto, all’altezza delle statue di Garibaldi, Leopardi, Verdi, Da Vinci e altri padri della patria che commentano la vicenda con le voci di Pierfrancesco Favino, Neri Marcorè, Gigio Alberti. Commedia poetica, surreale, con la capacità di riflettere sul nostro tempo: dietro a situazioni che fanno ridere o sorridere, si nascondono verità, spesso spiacevoli. Nello studio di un avvocato dedito al Milan e a manie di grandezza, pieno di clienti e assessori da galera, si trovano e si animano un idraulico con figli e moglie sempre in giro drogata di caffè, e un’artista che non sa come pagare l’affitto. “E poi c’è la cicogna, è lei la leggerezza simbolica, il simbolo positivo di qualcosa che deve nascere” (M. Porro). Soldini mescola con leggerezza i toni dall’amarezza al grottesco e dirige gli attori/complici con brio. Musiche: Banda Osiris. Distribuisce Warner.
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