Zombi 2 è un cult movie per eccellenza come dice Marco Giusti in “Stracult”. Un film che lo stesso Fulci amava così tanto da definirlo “un horror artaudiano”, prendendo a prestito le sue notevoli Poesie della crudeltà. Però aggiungeva che era “un horror senza crudeltà ma con molta presupposizione della crudeltà”. La partenza è subito inquietante con una misteriosa barca a vela alla deriva nella baia di Hudson. La polizia interviene e un agente che si spinge all’interno scopre mosche, vermi e una mano mozzata in putrefazione. Una musica intensa realizzata con il sintetizzatore conduce lo spettatore verso l’inizio dell’incubo. Esce fuori uno zombi da una cabina e si divora l’agente a morsi in un trionfo di splatter, mentre l’altro poliziotto spara a ripetizione e riesce a far cadere in mare lo zombi.
Romero, colui che attraverso una figura irreale, lo zombie, aveva negli anni ’70 demolito certezze e instillato dubbi più che concreti, torna a criticare aspramente la civiltà moderna con un film romanticamente crepuscolare e ben riuscito, per quanto non privo di insospettabili difetti. Che Land of the Dead sia un film politico è palese: meno palese (e prevedibile) è il fatto che sia “solo” un film politico. La trama: i morti viventi vagano in una terra disabitata, mentre gli esseri umani si sono rifugiati in una città-fortezza per poter continuare a vivere le proprie vite. Ma al di fuori delle mura l’esercito dei morti viventi sta diventando sempre più numeroso Tensione, suspance e colpi di scena sono quasi completamente assenti e poco riescono le ottime caratterizzazioni dei personaggi a supplire alle mancanze di una sceneggiatura che, se presa come pamphlet sociale risulta essere perfetta (e condivisibile, almeno da un punto di vista proletario), mostra invece le corde sia come elemento portante di uno zombie-movie classico, che come base per un film capace di regalare emozioni forti. Romero è ancora capace di grandi suggestioni e immaginifiche trovate (i fuochi d’artificio la cui visione stordisce e ammalia per un attimo le menti ottenebrate degli zombie), ma oggettivamente qui è poco a suo agio con l’azione vera e propria. Non c’è apparizione zombesca che non appaia telefonata, non c’è personaggio che non abbia già scritto in faccia il suo destino fin dalla prima inquadratura. Sembra quasi che, troppo concentrato sull’inserire messaggi e intra-lettura nella pellicola, Romero si sia scordato la parte relativa all’intrattenimento. L’America, che ha sostenuto ben poco il film, è distante e, probabilmente, lo è anche il resto del mondo cinematografico e non. C’è ancora posto per il cinema di Romero nel 2005? Forse, o forse no, sta di fatto che La Terra dei Morti Viventi è un bel film, anche se la sensazione dominante è che, anche per gli zombie, dopo notti, albe e giorni, sia arrivato davvero il tramonto.
Una misteriosa epidemia che resuscita i morti trasformandoli in mostri affamati di carne umana dilaga negli Stati Uniti senza che militari e scienziati possano opporvi rimedio. Francine, una ragazza incinta che lavora presso un’emittente televisiva di Philadelphia, insieme all’amico Stephen e ai poliziotti Peter e Roger, tenta di mettersi in salvo raggiungendo in elicottero un grande centro commerciale che potrebbe offrire sicuro rifugio e abbondante scorta di viveri ed armi. Dopo aver eliminato gli zombi che si trovano all’interno (i mostri muoiono se colpiti al cervello) Francine, Stephen e Roger (Peter è stato ucciso dopo che il morso di uno zombi lo ha irrimediabilmente contaminato), devono fronteggiare l’improvvisa irruzione di un banda di teppisti motorizzati che vogliono saccheggiare le provviste di cibo.Durante il concitato scontro, gli ingressi del supermercato restano incustoditi e ciò permette ai morti viventi di riversarsi a frotte nei magazzini. Stephen cade vittima degli invasori, ma Francine e Peter riescono avventurosamente a raggiungere l’elicottero e prendono il volo verso un incerto destino. La critica ha privilegiato come chiave di lettura del film quella della metafora del consumismo imperante (autodistruttivo e, insieme, autorigenerantesi) nel mondo contemporaneo, trovando un evidente riscontro nell’ambientazione del quasi avveniristico “shopping mall” nel quale vivi e morti viventi convergono e famelicamente si combattono e si contendono la sopravvivenza. Nelle intenzioni del regista c’è comunque anche l’accento posto sul problema razziale (la famiglia di portoricani che rifiuta di consegnare alla polizia i suoi morti) e sulla violenza istituzionalizzata, cinica, drastica e impietosa nell’uso delle armi contro i nemici della società. L’impianto orrorifico – scandito dai sanguinolenti effetti speciali di Tom Savini, solo in parte mitigati da qualche slittamento verso l’autoironia o il surreale -, e la cornice apocalittica da fine del mondo sono però gli elementi che più si impongono nella memoria dello spettatore, complice anche lo sviluppo stesso della storia che, rinunciando a qualsiasi premessa esplicativa (il film si riallaccia idealmente ma non necessariamente alla Notte dei morti viventi realizzato da Romero 10 anni prima), è tutto compresso nel racconto di una battaglia da incubo.Dario Argento, oltre ad esserne il produttore, è anche coautore della colonna sonora.
Ambientata nei primissimi anni del Secondo Dopoguerra, la serie ripete pedissequamente lo schema dei racconti gialli di Ellery Queen: lo spettatore viene messo a conoscenza di tutti i fatti e gli indizi utili a scoprire il colpevole e, prima dell’ultima scena, l’investigatore si rivolge al pubblico e lo sfida a risolvere il caso. Come da tradizione del giallo vecchio stile (ad es. Hercule Poirot nei romanzi di Agatha Christie), Ellery Queen raduna tutti i sospettati in una stanza e alla fine svela il nome dell’assassino. Nonostante il successo di pubblico, la serie durò solo una stagione. La morte di Hutton nel 1979 mise poi la parola fine al ventilato progetto di produrre una nuova serie di episodi.
Quarta parete
A differenza di tutti i film e telefilm polizieschi/investigativi, quasi alla fine di ogni episodio, prima di rivelare il nome del colpevole di turno, il personaggio di Ellery Queen si rivolgeva direttamente alla telecamera e quindi al pubblico televisivo (infrangendo in questo modo la quarta parete) chiedendo se, viste tutte le prove e gli indiziati, qualcuno avesse capito chi fosse davvero il colpevole.
Per motivi poco chiari i morti insepolti tornano in vita con impulsi cannibaleschi. Ogni persona ammazzata si trasforma in uno di loro. Sette persone cercano di resistere, barricandosi in una casa abbandonata. È il cult movie di basso costo che segnò una svolta nel cinema dell’orrore, portato da Romero fuori dagli studios , dalle convenzioni, dal ghetto. È un film pessimista che visualizza la fine del mito americano: è un nero a gestire la resistenza degli assediati dagli zombi, protagonista impensabile nel 1968 in un sistema di cinema commerciale, cioè consensuale. Ebbe seguiti, remake e innumerevoli imitazioni. Costato poco più di 100 000 dollari, ne incassò più di 5 milioni. Esiste una versione colorizzata. Nel 1998 fu rieditato con 13 minuti in più, tutti tagliati dal regista nel 1968. Operazione di marketing, non restauro con il Director’s Cut .
Usciti dalle tombe e dalle cripte, gli zombi sono ormai padroni del mondo, anche se un manipolo di uomini, asserragliati in un bunker, tenta di organizzare un’ultima resistenza. George Romero riprende il filone degli “zombi” che gli diede la notorietà. Ma ormai il “genere” è esausto, anche s’è ancora apprezzabile il mestiere con cui il regista di Pittsburgh orchestra le sue orripilanze.
Jean è una donna affascinante, che ha successo nel lavoro e nella vita privata. Una conoscente, che l’ama alla pari del marito e della figlia, è uno strano personaggio di nome Marion. Nessuno sa cosa faccia di preciso e qualcuno sussurra addirittura che sia una strega. Il film meno conosciuto in assoluto di George A. Romero regista di La notte dei morti viventi.
I due maestri del genere fantastico si sono divisi in parti uguali un omaggio allo scrittore Edgar Allan Poe. Romero ha trasposto La verità sul caso di Mr. Valdemar, nel quale un vecchio sta per morire ma non intende favorire nel testamento la giovane moglie. Lei cerca in tutti i modi di liberarsi di lui, ma senza perdere l’eredità. La scelta di Argento è caduta su Il gatto nero opportunamente riadattato: un fotografo specializzato in raffigurazioni sanguinose e criminali vive con una violinista che possiede un gatto nero. L’animale ossessiona il fotografo che decide di sopprimerlo. Due stili diversi attraversano gli episodi: quello di Romero ha un taglio claustrofobico, quasi televisivo, mentre quello di Argento, di gran lunga migliore, crea suggestioni di taglio visionario che lo rendono inquietante. Particolarmente incisiva l’interpretazione di Harvey Keitel.
Negli USA si diffonde, veloce, un’epidemia che ridà vita a morti affamati di carne umana. Impegnati all’aperto a girare un horror con piccole cineprese a spalla, studenti di cinema e il loro docente filmano in diretta la spaventosa situazione. 5ª tappa della saga Dead che Romero iniziò nel 1968 in BN con La notte dei morti viventi , trasformandola in un serial d’autore di impietosa analisi politica della società USA dei 2 Bush. In questo 5° film il cinema, in senso tecnico-espressivo, sostituisce la denuncia. Romero affida il ruolo di regista ai suoi personaggi (agli studenti) che registrano ciò che vedono, coniugando il verbo to shoot (riprendere, ma anche sparare). Seguito da Survival of the Dead .
Un aereo militare che trasporta un carico pericolosissimo – un virus da impiegare come arma batteriologica – precipita al suolo. Immediatamente nell’aria si diffonde una nube tossica. A fare le spese del disastro sono gli abitanti di una piccola città che finiscono preda di una follia omicida che degenera in morte. Per arginare il pericolo, ma anche (o soprattutto?) per soffocare la notizia, le autorità isolano la regione mobilitando medici e militari in assetto di guerra. Ma la misura è in sé sterile: può servire, infatti, solo a dar tempo ai responsabili della sicurezza per valutare altre soluzioni. A niente servono la fuga di alcuni giovani (ex combattenti in Vietnam) dalla città infetta ed il lavoro febbrile di un dottore che riesce ad isolare il virus e ad approntare un antidoto … I comandi militari hanno già deciso: l’ordine è distruggere tutto ciò che si trova nella zona contaminata, abitanti compresi. Uscito nel periodo caldo della contestazione alla guerra del Vietnam, il film lancia strali su strali contro i pericoli della guerra batteriologica e contro l’ipocrisia degli alti comandi e dei politici preposti al bene della nazione. Opera robusta, ma, per opinione diffusa, fredda e formale – quasi dovuta -, priva senz’altro della sottile forza polemica del precedente originalissimo La notte dei morti viventi.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.