Tratto da un romanzo di Stephen King. Misery è la creatura letteraria di uno scrittore che ha avuto enorme successo proprio in virtù di quel personaggio. Lo scrittore sta raggiungendo la sua villa in montagna e ha un incidente d’auto. Così deve ricorrere all’aiuto di un’infermiera, Annie. La donna è semplicemente una pazza e quando viene a sapere che il personaggio di Misery sta per morire, comincia a boicottare l’uomo in tutti i modi, arrivando anche alle più crudeli forme di violenza. Un film di ottima tensione e di buon successo con Kathy Bates (l’infermiera) che ha vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista.
Un insegnante col vizio del gioco recupera, grazie al prestito fattogli dalla madre, un’ingente somma che deve restituire ad un creditore. Prima di farlo, però, si reca ad un casinò e, dopo una clamorosa vincita, perde nuovamente tutto. Si rimette alla pari con un’azione sporca e, quando si rende conto di ciò che ha fatto, si comporta in modo da essere assassinato.
In una cittadina del Middle West ballo e musica rock sono al bando per aver causato indirettamente la morte di alcuni giovani. Da Chicago arriva un ragazzo nato per danzare che, con l’aiuto di una bella, cambia le cose. Tentativo di mescolare Flashdance con Gioventù bruciata. Nonostante la regia di H. Ross che col teatro e la danza ci sa fare, il cocktail non si può dire riuscito, perché la storia è debole e gli attori mediocri.
Un film di Godfrey Reggio. Documentario, Ratings: Kids+16, durata 100 min. – USA 1988. MYMONETRO Powaqqatsi valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dopo il successo di Koyaanisquatsi ecco un altro originale documentario di Reggio. Dopo la natura questa volta è interessato all’uomo e al lavoro. Le musiche di Philip Glass sono ancora una volta suggestive e se il primo film era prodotto da Francis Ford Coppola in questo caso si è aggiunto George Lucas.
Una principessa ama il suo servitore, che però deve partire per terre lontane. Durante la sua assenza, un malvagio nobiluomo s’invaghisce della principessa e la fa rapire da tre figuri. Ma, a salvarla torna, provvidenzialmente, l’innamorato, che, dopo alterne vicende, punisce il malvagio e sposa la bella. Favola arcinota, ma raccontata con garbo, impeto e ironia da Reiner che s’è servito di ottimi caratteristi e di una bella pattuglia di stuntmen che gli hanno offerto mirabolanti scene d’azione.
Espulsi dall’università di New York per scarsa serietà, tre giovani bricconi, studiosi di parapsicologia, aprono una ditta acchiappafantasmi per la disinfestazione ectoplasmatica e l’esorcismo degli spiriti maligni. È la stessa formula di Gremlins che, però, gli è superiore: una furba miscela di ¼ di terrore e di ¾ di buffoneria con pesante predominio degli effetti speciali. Nel trio centrale il migliore è il grasso Murray. Seguito da Ghostbusters 2.
Harry Cain è un agente di sicurezza in un centro commerciale. Un giorno la sua vita è sconvolta dalla morte della moglie, uccisa da un killer sotto i suoi occhi. Harry, disperato, cerca di scoprire l’identità dell’uomo.
Un film di Nicolas Winding Refn. Con Callum Mitchell, Douglas Russell, Gary McCormack, Andrew Flanagan, Gordon Brown, Stewart Porter, Matthew Zajac, Maarten Steven, Robert Harrison, James Ramsey, P.B. McBeath, Rony Bridges, Ewan Stewart. Azione, Ratings: Kids+16, durata 90 min. – Danimarca, Gran Bretagna 2009. MYMONETRO Valhalla Rising valutazione media: 2,67 su 29 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
In un tempo mitologico sconosciuto, c’era una volta uno schiavo di incredibile forza guerresca. Con l’aiuto di un giovane ragazzo, un giorno riuscì a liberarsi e riversò la sua furia sugli uomini che lo avevano tenuto prigioniero per anni torturandoli e uccidendoli. Attraverso le valli della Scozia, questo guerriero orbo e muto ma dalla potenza sovrumana si imbarcò su un vascello di nobili vichinghi per intraprendere una crociata in Scandinavia, ma, passando attraverso una bruma inquietante e ripetuti attacchi da una forza sconosciuta, comprese presto di essersi addentrato in una terra oltre i confini della natura e che il suo fato era già stato scritto dagli dei. L’immaginario della mitologia norrena è ricco di suggestioni legate alla natura selvaggia, intesa sia come paesaggi incontaminati che come brutalità primordiale dell’uomo. Proprio a partire da queste stesse due componenti cerca di costruire la fascinazione del suo film il danese Nicolas Winding Refn, proseguendo un percorso di estetizzazione della violenza iniziato con la trilogia di Pusher. Tutelato da illustri precedenti assai simili nella logica e nello stile (Apocalypto di Mel Gibson; 300 di Zack Snyder), il regista di Copenhagen filma nello stesso modo tanto i grandiosi paesaggi scozzesi quanto la violenza perpetrata contro i corpi squartati dal silenzioso guerriero protagonista. Non conta la distanza: che sia in campo lungo come la verde vallata immersa nella bruma o in primissimo piano come i volti e le ferite dei personaggi, ogni inquadratura è costruita per suscitare contemplazione, per rispettare non tanto un principio di mitopoiesi quanto una riconoscibile rappresentazione del furore cosmico. La continua esibizione di primi piani obliqui, viraggi al rosso, sotto o sovraesposizioni pare essere l’unico modo che il regista conosce per tematizzare una storia che parla della brutalità della natura umana in termini di religione e sacrificio. E che, anche a voler mettere da parte i naturali dubbi etici, è davvero troppo poco per un film che ambirebbe ad essere un personale Ashes of Time di terra scandinava e che invece rappresenta solo l’ennesimo capitolo di un'”invasione barbarica” di certo cinema contemporaneo che mitizza la violenza.
Driver (non ha un nome) ha più di un lavoro. È un esperto meccanico in una piccola officina. Fa lo stuntmen per riprese automobilistiche e accompagna rapinatori sul luogo del delitto garantendo loro una fuga a tempo di record. Ora Driver avrebbe anche una nuova opportunità : correre in circuiti professionistici. Ma le cose vanno diversamente. Driver conosce e si innamora di Irene, una vicina di casa, e diventa amico di suo figlio Benicio. Irene però è sposata e quando il marito, Standard, esce dal carcere la situazione precipita. Perché Standard ha dei debiti con dei criminali i quali minacciano la sua famiglia. Driver decide allora di fargli da autista per il colpo che dovrebbe sistemare la situazione. Le cose però non vanno come previsto. Basato sul romanzo omonimo di James Sallis Drive, presentato in concorso al Festival di Cannes dà l’impressione della banalità messa in bella copia. Chiunque legga la sinossi di cui sopra si rende conto di come, contesto automobilistico a parte, si tratti di una storia visitata e rivisitata dal cinema innumerevoli volte. Nicolas Winding Refn sembra pensare che la trasformazione del mite (per quanto a disposizione per ‘colpi’ non suoi) Driver in un violento raddrizzatorti (ovviamente per inatteso amore, anche paterno) possa essere sufficiente. Ma è necessario essere David Cronenberg per saper dosare con la giusta consapevolezza i toni di un progressivo scatenarsi di pulsioni tenute a freno. Winding Refn non si rivela all’altezza del compito che si è prefisso convinto com’è che basti far scorrere un po’ di sangue in più per ottenere il risultato. Non basta.
Gabriele torna a Manduria (TA) per l’estremo saluto al padre. Flashback lungo nel 1967 quando era il figlio birichino di Ernesto, capostazione, e di Franca, insegnante, che in Pinuccio ha un fratello più giovane, vitellone malizioso, zio adorato. Ernesto ha l’hobby della pittura e una passione per Cézanne di cui copia, anzi rifà, l’autoritratto. Gli dedica una mostra che un critico locale sbriga come frutto di un dilettante velleitario. Colpo di scena finale. Scritto con D. Starnone e C. Cavalluzzi, è il 2° film consecutivo di Rubini con Scamarcio con cui, affrontando i rapporti conflittuali tra arte figurativa e critica, si regolano obliquamente i conti con i cinerecensori. Meno esagerato e più squilibrato, ma come sempre ridondante, affidato ai chiassosi stereotipi della commedia mediterranea, ai soprassalti fantastici del ragazzino e a un’accentuata dimensione di inverosimiglianza narrativa. I suoi veri protagonisti sono Rubini e il piccolo Gabriele. Fotografia di Fabio Cianchetti che filma i treni a vapore e i paesaggi pugliesi come se appartenessero a un western di Ford. Musiche: Nicola Piovani.
Si tratta di un montaggio di una serie di filmati di propaganda degli anni quaranta, cinquanta e sessanta, nei quali si evidenzia la capacità del governo americano, attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa, di indottrinare o comunque influenzare l’opinione comune della popolazione sul delicato tema della guerra nucleare.
L’opera ebbe un grande successo di critica (ottenendo anche una nomination al British Academy of Film and Television Arts) e divenne ben presto un punto di riferimento per il genere, tanto che ad essa seguì un libro illustrato e la pubblicazione della colonna sonora. A questo ha certamente dato aiuto il fatto che The Atomic Cafe uscì in un periodo, i primi anni ottanta, in cui iniziò una fase di disarmo nucleare da parte dei due blocchi contrapposti che avevano dato luogo alla Guerra fredda.
Diretto sequel di Mad Doctor of Blood Island, il film inizia come di consueto su una barca con a bordo John Ashley che riveste i panni di Bill Foster. Il mostro alla clorofilla del film precedente è a bordo e ammazza tutti con furia selvaggia. La barca esplode. Si salva solo Foster aggrappato al relitto. In realtà, si salva anche il mostro che, accasciato sulla spiaggia, si risveglia e si allontana nella giungla. Agile, dinamico e furioso, il mostro è protagonista di un inizio diverso da quello degli altri due film lenti nel presentare situazioni e personaggi. Stavolta questa esigenza non c’è e Romero pigia sull’acceleratore, ma è solo una mossa spiazzante. Dopo i titoli, troviamo Foster di nuovo a bordo di una nave diretta all’Isola di sangue. Con lui, Myra Russell (Celeste Yarnall), una giornalista interessata a quanto è successo a suo tempo. Sull’isola, Foster ritrova un’atmosfera pesante: non lo vogliono, il suo tentativo precedente è stato inutile, il mostro è tornato. Torna anche il dottor Lorca stavolta interpretato dall’ottimo Eddie Garcia. Alla mezz’ora il film cambia registro: Myra viene rapita da una banda di guerriglieri e inizia un lungo inseguimento nella giungla che appartiene al genere avventuroso. L’horror è lasciato completamente da parte. I guerriglieri portano la ragazza alla nuova base del dottor Lorca che tiene in laboratorio il mostro alla clorofilla: ne ha separato il corpo dalla testa, ma entrambi sono vivi grazie al suo fluido verde. La seconda mezz’ora è stata d’azione. Allo scoccare dell’ora di film, Lorca entra in sala operatoria. La testa del mostro osserva. Il siero alla clorofilla che lo tiene in vita gorgoglia. Torna l’horror per il gran finale, sia pure ancora combinato con l’action. Mad Doctor of Blood Island era stato un successo travolgente nel circuito dei drive-in americani, ma Romero, per la prima volta alla guida solitaria di un film della serie, piuttosto perversamente, non dà al pubblico una nuova razione della stessa cosa e, dimostrando di non essere troppo interessato all’horror, realizza una singolare contaminazione di generi, riuscita solo in parte. I personaggi sono puri stereotipi. La bestia di sangue mostra sempre le qualità professionali di Romero, ma sembra girato più in fretta, per qualche scollatura di montaggio e qualche piccola scena non riuscita. John Ashley si fa sempre vedere con piacere e Eddie Garcia è uno degli attori feticcio di Romero. Nato nel 1921, è tuttora attivissimo dopo aver interpretato quasi duecento film e averne diretti almeno una quindicina. Il manifesto con il mostro con la propria testa mozzata tra le mani fece sensazione (esempio di pura exploitation: la scena non c’è nel film)
Dal romanzo (1956 – 20 milioni di copie vendute in USA) di Grace Metalious, sceneggiato da John Michael Hayes per le Fox: in una cittadina del New England tra un picnic e l’altro si pecca accanitamente sotto la vernice della rispettabilità. Da un best seller librario a un longseller audiovisivo: fu seguito da Ritorno a Peyton Place (1961), da una serie TV (dal 1964 al 1969) e da 2 film TV (1977 e 1985). Già purgato dall’editore per alleggerirne la drammatica carica di denuncia sociale, il film evira il romanzo con un metodico conformismo censorio di inconfondibile ipocrisia hollywoodiana. I fatti (omicidio, suicidio, violenza carnale incestuosa, aborto ecc.) rimangono, ma le cause sono omesse, vanificando il margine critico dell’ipocrisia e della falsità borghese e puritana con cui l’aveva scritto l’autrice. Dura quasi 3 ore. Sprecate. Lo scandalo funzionò anche da noi. Ebbe 9 nomination (5 agli attori) e nemmeno 1 Oscar.
Cronista televisivo insiste perché Dixie Leonard e Eddie Sparks appaiano in una trasmissione. Rievocazione della vita dei due cantanti-fantasisti dal ’42 attraverso la seconda guerra mondiale, la Corea, il Vietnam. Tra autobiografia e storia, il film è discreto a livello decorativo, ma poco attendibile a quello storico-sociale. Un veicolo per la Midler.
Raimi costruisce un film ipercitazionista (Sergio Leone è il più saccheggiato) con il pretesto della presenza di Sharon Stone. L’idea del torneo tra pistoleri a eliminazione diretta non sarebbe malvagia se non ci fosse il problema che, dopo un po’, il finale diventa prevedibile e l’interesse si perde. Gene Hackman se la cava, come sempre, da par suo.
A New York un’ambiziosa ragazza ebrea si innamora di un dongiovanni che per qualche tempo la corteggia, quindi la abbandona per tornare al suo mondo. La giovane si unirà all’uomo che l’ha sempre attesa, rassegnandosi a una vita piatta e priva di imprevisti.
T.R. Baskin è una ragazza di provincia che viene a lavorare in città, ansiosa di ambienti e rapporti nuovi. Rimedia solo delusioni, incontri balordi con uomini sposati che si lasciano ingannare dal suo aspetto di bionda mangiatrice di uomini. Sta per mollare tutto e tornarsene a casa, ma supera la crisi. Rimarrà e un giorno farà l’incontro giusto.
Purtroppo non ho trovato versioni in italiano, ci sono su Emule ma non scendono
Un giornalista americano a Parigi, combinando ingegnosamente i vari piani di volo di tre sue amiche hostess, riesce ad averle regolarmente nel proprio letto senza che le tre lo sappiano. L’arrivo di un amico dall’America, più qualche imprevisto nel traffico aereo internazionale, metteranno il furbacchione in serio imbarazzo: dovrà ripiegare forzatamente su una sola delle tre.
Nell’agosto del ’43 colonnello d’aviazione USA finisce in campo di concentramento italiano. Dopo l’armistizio sfugge con altri alla deportazione. Da un romanzo di David Westheimer un film spettacolare in cui conta soprattutto l’apporto degli attori. Buon apporto italiano con S. Fantoni e A. Celi.
Casalinga frustrata, con ambizioni di scrittrice e marito noioso, si lascia andare a un focoso pomeriggio di sesso con un aitante non giovanissimo che ci resta secco. L’ingombrante cadavere deve sparire. Caratterizzazioni discrete e dialoghi vivaci in una farsa sgangherata che ogni tanto fa sorridere. K. Alley è meno brava e meno simpatica di quanto lei sembra essere convinta di essere.
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