Un magistrato senza macchia indaga sulla morte di una giovane drogata e risale così a un industriale, il quale tenta con ogni mezzo di ostacolarlo. Mentre la città tripudia per una vittoria calcistica, il magistrato, che ha scoperto la non colpevolezza dell’indiziato, decide di procedere egualmente contro di lui per colpire attraverso l’uomo tutto il marcio di una società irrimediabilmente corrotta.
Ex cronista sportivo si fa coinvolgere in un’impresa disonesta da un’organizzatore per lanciare un pugile con una serie di incontri combinati. Poi si pente. Ultimo film interpretato da H. Bogart (1899-1957) che aveva già firmato per girare The God Shepherd, ma non ebbe il tempo di farlo. Un quadro realistico dell’ambiente pugilistico senza concessioni sentimentali e romantiche. Sceneggiato da Philip Yordan sulla base di un romanzo di Budd Schulberg, liberamente ispirato alla vita di Primo Carnera.
Andare in pensione dopo 37 anni di lavoro sembra ad Hannes, bidello in una scuola, la fine di tutto. Non ha amici, non ha grandi passioni, ha lasciato appassire il sogno di tornare a vivere sull’isoletta abbandonata da giovane in seguito alla distruttiva eruzione di un vulcano. I suoi rapporti con i figli sono pessimi e pure dalla moglie sembra essersi molto allontanato.
New Mexico, 1983. Il 12enne fragile Owen – i cui genitori stanno divorziando – fa amicizia con la coetanea Abby, nuova vicina di casa, senza intuire la sua vera natura di vampira bambina responsabile di una serie di efferati omicidi. Scritto dal regista, è il remake dello svedese Lasciami entrare (2008), tratto dall’omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist. L’operazione di Reeves punta su due obiettivi complementari: aumentare le scene d’azione; renderlo più appetibile e tranquillizzante per il pubblico USA, soprattutto nel lavoro sugli attori, levigando volti e corpi infantili, senza snaturare il romanzo. Distribuisce Filmauro.
I due aspetti del bene e del male sono qui rappresentati da due sorelle gemelle: una bionda, brava e buona, l’altra bruna, perfida e corrotta. Naturalmente la cattiva tenta di corrompere la buona.
Un film di Satyajit Ray. Con Chhabi Biswas, Sumitra Jatterjee, Sharmila Tagore Titolo originale Devi. Drammatico, durata 93 min. MYMONETRO Devi (la Dea) valutazione media: 3,50 su 3 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un vecchio proprietario terriero, profondamente religioso, sogna che la propria nuora è l’incarnazione della Dea Kali. E come tale la installa in un tempio, chiamando il popolo ad adorarla e a chiederle miracoli e guarigioni. Il marito, tornato da Calcutta, cerca di indurre il padre alla ragione ma, non riuscendovi, decide di andarsene con la moglie. Costei però, sul punto di partire, non resiste al pensiero che forse un piccolo miracolato -che sembra effettivamente guarito, da moribondo che era – potrebbe soccombere, e ritorna nel tempio: mentre il marito, disperato, la lascia. La fama della ‘dea’ cresce ma un giorno, dovendo guarire il nipotino di casa, essa fallisce: il bimbo, nonostante tutte le preghiere, muore. Quando il marito di nuovo arriva, deciso a liberarla dal fanatismo che la circonda, è tardi: la donna è già impazzita. Presentato al festival di Cannes nel 1962, il film è, per la critica indiana, uno dei culmini dell’arte di Ray. Non c’è niente contro la superstizione che è causa della tragedia, ma tutto è presentato con un senso dell’inevitabile: non solo del destino, ma di qualcosa che sta cambiando. Il film comunica la fede nella sicurezza che la superstizione è destinata a morire. La storia ha tutti gli ingredienti del dramma, ma Ray la stilizza in qualcosa di staccato… Come in un’antica pittura di due guerrieri che lottano, c’è più fermezza che movimento (Chidananda Das Gupta).
Dal libro di Jay Anson: il 18 dicembre 1975 i Lutz prendono possesso, con i loro tre bambini, di una casa coloniale a Long Island, pur sapendo che tredici mesi prima era stata teatro di una orribile strage. Rosenberg ha lavorato con efficacia su una sceneggiatura un po’ sgangherata. Diede origine a un prologo: Amityville Possession.
Harry e Sally s’incontrano tre volte nell’arco di dieci anni e lui ogni volta ci prova, ma non va. Poi diventano amici e un bel giorno finiscono a letto insieme. Da una sceneggiatura, scritta da Nora Ephron, abile, non troppo originale ma ricca di battute frizzanti, R. Reiner, figlio di Carl, ha cavato una piacevole commedia a tratti davvero divertente, con due bravi protagonisti, belle musiche (Berlin, Gershwin e Goodman) e qualche strizzata d’occhio a Woody Allen e Blake Edwards.
Dopo uno scontro iniziale, gli alunni di III media Mario e Franco, diventano amici. Mario appartiene ad una modesta famiglia piccolo-borghese, mentre Franco è figlio di un diplomatico. Quando Franco sta per trasferirsi altrove per la professione del padre, Mario ottiene che il ragazzo resti a Roma presso la sua famiglia, ma uno spiacevole episodio di cui si rende colpevole lo stesso Mario induce Franco a partire col padre.
Le strade di Cozy (Bowman) e Lee (Fessenden), individui con poco o nulla in comune se non una permanente carenza di risorse economiche ed emotive, si intersecano sotto l’insegna del fraintendimento, lo stesso che li costringe alla fuga attraverso la Florida nell’errata convinzione di aver ucciso un uomo… Il bell’esordio della Reichardt è un essenziale anti-road movie in cui i topoi del genere (il conflitto generazionale; le nervature jazz; gli splendidi paesaggi naturali e architettonici) vengono ribaltati da una prospettiva circolare, con gustosi sconfinamenti nella dark comedy.
Note: Nominato al premio della gran giuria del Sundance Film Festival (1994) nella categoria Dramatic.
Un professionista di Pavia rivede dopo vent’anni la donna di cui fu innamorato da giovane. Poi gli dicono che è morta. Intanto una portinaia viene trovata barbaramente assassinata. È stata l’antica fiamma che aveva un conto da regolare?
Anne Rand ha divorziato da un marito ubriacone e vive in Estonia con una madre malata. La morte improvvisa del genitore la convince ad accettare un’offerta di lavoro a Parigi, dove dovrà prendersi cura di un’anziana signora. Convinta a partire dall’entusiasmo della figlia, Anne precipita in un mondo profondamente diverso dal suo, di cui prende le misure passeggiando ogni notte sola e scompagnata. L’incontro con Frida, fiera parigina ostinata a dimenticare le sue origini estoniane, non è dei migliori ma a convincerla a restare è Stéphane, gestore di una brasserie e amante della donna molti anni prima. La convivenza e la reciproca curiosità invitano presto al dialogo e alla comprensione. Tra un tè caldo e un croissant di pasticceria, Anne e Frida troveranno un sentimento amicale, che le spingerà a fare il punto della loro vita e a riprendere la vita. Ispirato dalla biografia materna e dalla passione per la capitale francese, Ilmar Raag alimenta la mythologie parigina, fiamma forte e viva nel buio della sala. Dichiarazione d’amore a Parigi e al cinema francese, da cui riprende l’idea della triangolazione come struttura relazionale che lega i percorsi affettivi e sentimentali dei protagonisti, A Lady in Paris è una storia di incontri, di sguardi, di impasse. Con pudore e discrezione Raag esplora il volto dei suoi personaggi rivelandone l’anima e definendone l’identità in funzione del loro rapporto col passato, coi sogni realizzati e quelli infranti. Guidato da un’irriducibile Jeanne Moreau, il regista estone passeggia per i boulevard chiarendoci il fascino esercitato da Parigi sugli stranieri e sui narratori come lui, che alla maniera di Anne impara a comprare un croissant in boulangerie e a snobbare il museo del Louvre, meta del turista e non di un vrai parisien. Posseduta dal mito di Parigi è pure la protagonista, emigrata e dolente con una vita faticosa e sfortunata alle spalle, che rispolvera la voce ‘analogica’ di Joe Dassin e si perde nelle sue note, ritrovandosi consapevole di sé e del suo desiderio dentro l’alba e davanti alla Torre Eiffel. A Parigi la Anne di Laine Mägi recupera attenzione e senso, innamorandosi finalmente di un uomo gentile e risvegliando da uno struggimento nostalgico l’anziana signora che pazientemente accudisce. Egoista e ossessionata da un ex amante per cui è ormai troppo agée, Frida vive sprofondata negli interni del suo appartamento borghese dove mette in scena solo se stessa e l’imitazione di una relazione, immemore del mondo che continua a esistere fuori dalla porta. Testimone di un amore sorgente tra Anne e il suo Stéphane, un empatico Patrick Pineau, deciderà per la vita, emergendo da ciò che era latente e calandosi nel presente e una stagione che con gli orrori può ancora promettere splendori. La bionda e delicata Anne è la trovata drammaturgica che rompe allora le illusioni senili e riporta aria fresca dentro uno spazio chiuso e una reclusione affettiva, inducendo Frida e Stéphane a scendere di nuovo in strada e a (re)incontrare la città dei loro sogni. Perché come sosteneva Humphrey Bogart: “avremo sempre Parigi”, una città che appare un perfetto altrove, promessa e già ricompensa.
Un intellettuale comunista brasiliano accetta di collaborare con il padrone di un’emittente televisiva per contrastare l’invadenza degli americani, ma scopre di aver favorito inconsapevolmente il colpo di Stato militare del 1964.
‘Barravento’ per i brasiliani è la tempesta che spazza via tutto, che uccide i marinai non ancora approdati. La storia si svolge tra i poveri pescatori di Bahia. Firmino, un paesano tornato dopo alcuni anni in città, cerca di far capire ai pescatori il perché della loro miseria. Si scontra presto con la superstizione e l’ignoranza che regnano tra gli uomini del villaggio.
Un giovanotto, che da molti anni vagabonda nel sud accompagnato da una sinistra (ma immeritata) fama di incendiario, trova lavoro presso un dispotico proprietario terriero. Nelle sue nuove mansioni suscita la simpatia del datore di lavoro, ma anche l’ostilità dei figli di questi, il complessato Jody e la bionda, altera Clara. In realtà la ragazza maschera in tal modo l’attrazione per il nuovo venuto.
Nemico pubblico n.1 inizia con l’uccisione, esecuzione, nel traffico parigino di Jacques Mesrine. Attorno alla sua figura, quella di un gangster mediatico, narcisista e violento, Richet costruisce un dittico concepito come due film autonomi, basato sull’autobiografia scritta in carcere dallo stesso Mesrine (che si legge mérin). Tornato dalla guerra d’Algeria Mesrine rifiuta il lavoro proposto dal padre e inizia un’ascesa senza precedenti nella malavita locale, tra rapine e sparatorie. Malgrado le suppliche della moglie spagnola che gli darà tre figli, diventa, tra gli anni ’60 e ’70, il gangster più ricercato di Francia. Costretto all’esilio in Canada, sarà arrestato e fuggirà in modo rocambolesco da una delle prigioni più dure dello stato. Il primo episodio, dalla messa in scena secca e nervosa, ha il pregio di rifarsi ai classici film d’azione degli anni ’70 all’americana, con una costruzione dei personaggi credibile e una struttura narrativa avvincente. Un Vincent Cassel con parecchi chili in più si cala nel ruolo in maniera camaleontica: più che adeguato, Cassel pare l’attore necessario alla parte di Mesrine. Gérard Depardieu e Cècile de France supportano un film completamente incentrato su una persona. Nemico pubblico n.1 – L’istinto di morte è infatti un ritratto, più che un poliziesco, che cerca nelle azioni e nei comportamenti di Mesrine una risposta alla violenza, una denuncia alla società, o il punto esatto in cui il suo percorso è divenuto una strada senza uscita. Ma sembrano più tanti piccoli cambiamenti a portare gradualmente la vita di Mesrine verso il baratro. Nemico pubblico è riuscito appunto perché non riesce a darci alcuna risposta. Senza mitizzarlo né demonizzarlo, Richet non nasconde una profonda fascinazione per il personaggio. E in un’adeguazione del punto di vista, il film, come lo spettatore, cerca di capire qualcosa di una persona che ha suscitato fiumi d’inchiostro oltre che di sangue. Mesrine però fugge sempre, dalle prigioni come dallo schermo.
Seconda parte della biografia di Jacques Mesrine, il gangster più ricercato della storia di Francia. Dopo la vertiginosa ascesa nel crimine e nella violenza, Mesrine torna a Parigi e diventato ormai leggenda, intraprende una guerra mediatica e reale con la polizia. Evade due volte di prigione, gioca al gatto e il topo con il commissario Broussard al punto da brindare con lo champagne durante uno storico arresto. Cosciente fino al ridicolo del suo potere esercitato sui media e sulla società, il secondo Mesrine è un personaggio ai limiti del grottesco, eccessivo, a volte fuori dalle righe. Il mito creato sembra sfuggirgli dalle mani, fino a prendere il sopravvento sull’individuo. La leggenda di Jacques “Jacko” Mesrine termina, o inizia, col suo assassinio da parte della polizia a Porte de Clignancourt il 2 novembre 1979. Diverso dal primo episodio, Nemico pubblico n.1 seconda parte, è più forte, e sembra affrontare la vicenda da un altro punto di vista. Senza soffermarsi sulla trama (condensata) e con la totale messa in ombra degli altri personaggi da parte di Vincent Cassel, il film di Richet è una corsa rocambolesca tra rapine, inseguimenti e sparatorie. Ludivine Sagnier e Mathieu Amalric supportano il ruolo di Cassel senza mai invadere la scena. Con diversi richiami a Scarface di De Palma, Nemico pubblico è il racconto di un criminale che ha imboccato una strada in picchiata e senza uscita. Velatamente autoironico, a una domanda sulla vecchiaia, Mesrine risponde che non vivrà abbastanza per vederla. Richet mette allora in scena un uomo intrappolato nella caricatura del suo stesso personaggio, in parte compiaciuto, in parte colpevolmente cieco di fronte alla piega degli eventi. In una produzione più sottile del primo episodio ma meno meditata, il regista vincitore di un César, fa dello spettacolo la sua carta vincente. E non a caso, per la storia di un personaggio in cui è difficile distinguere la realtà dal mito. Nervoso e tragico, Nemico Pubblico lascia lo spettatore con il fiato sospeso fino a una sequenza finale da antologia.
Clive è uno scrittore ormai vecchio e malato, che ha compiuto molti errori nella vita. In una notte resa particolarmente difficile dai rimorsi, egli tenta di ricostruire a modo proprio la sua storia, attribuendo ad altri, i figli, le proprie colpe. Ma il giorno dopo, quando i figli arrivano a festeggiare il suo 78esimo compleanno, Clive è ben felice di constatare quanto i due giovani siano retti e giusti. Il solo debole è lui.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.