Azur ha gli occhi azzurri, Asmar ce li ha neri come la notte. Il primo è figlio di un nobile gelido, il secondo di un’amorevole balia, che cresce i pargoli come fratelli, raccontando a entrambi, ogni sera, alle porte del sonno, la leggenda della fata dei Jinns, che attende, da una prigione nascosta, il giovane che la libererà. Ma un giorno il padre di Azur lo manda lontano da casa per studiare e scaccia dalla sua dimora francese la nutrice e il piccolo Asmar. Solo una volta adulto, Azur si imbarcherà in direzione dell’Oriente per ritrovare i suoi cari e liberare la fata dei Jinns.
Doveva essere un concerto dedicato all’amore dei vent’anni. Purtroppo alcuni suonatori, tra cui Renzo Rossellini, non sapevano leggere la musica. Si salvano in due, Truffaut e Wajda.
“Antoine e Colette” di Truffaut: Episodio Girato a Parigi, l’episodio diretto da François Truffaut costituisce il secondo capitolo del ciclo dedicato ad Antoine Doinel, interpretato da Jean-Pierre Léaud, dopo I 400 colpi. Antoine è innamorato di Colette, una ragazza parigina di buona famiglia, che però non è interessata al suo amore, nel corso dell’episodio, finalmente rivede il suo amico Renè che non vedeva da tanto tempo.
Nota bene: La versione 1080p è del solo episodio “Antoine e Colette” di Truffaut. I subita li ho tradotti dai subeng con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Ricevuti misteriosamente in prestito 200 franchi, barbone alcolizzato fa molti incontri d’amore e d’amicizia finché s’avvia, in una ventosa mattina, a saldare il debito. A livello stilistico è forse il film più maturo di Olmi, certamente il più raffinato: la sua Parigi, paesaggio dell’anima, è straordinaria. Ha una splendida 1ª parte, una zona centrale un po’ ripetitiva e prolissa, riprende quota nella conclusione. Non c’è più, forse, la leggerezza delle sessanta stringate pagine del racconto lungo Die Legendevom heiligen Trinker (1939) di Joseph Roth, ma, dopo averlo visto, nessuno lo leggerà o rileggerà come prima. Olmi ci aiuta a capirlo meglio, a penetrarlo in profondità. L’interpretazione dell’olandese Hauer è una delle sue carte vincenti. Sceneggiato da Olmi con Tullio Kezich. Leone d’oro a Venezia.
Una delle due regie (l’altra fu Inchiesta in prima pagina) del commediografo Clifford Odets. Cary Grant impersona un giovane operaio londinese incerto sull’indirizzo da dare alla propria vita: non sa se scegliere l’onesto lavoro e l’onesto matrimonio, oppure la relazione con una donna sposata e guadagni poco puliti nella cricca del marito di lei. Alla fine, dopo la morte della madre, si decide: lascerà la città, le buone e le cattive amicizie e diventerà sindacalista.
Dal romanzo (1952) di Howard Fast: nel 73 a.C. il gladiatore trace Spartaco promuove una rivolta di schiavi contro il governo di Roma, sconfigge una legione e si dirige verso il sud. È sconfitto dall’armata di Crasso che fa crocifiggere seimila schiavi sulla via Appia. Come film di S. Kubrick è un ibrido: troppe paternità (lo sceneggiatore Dalton Trumbo e soprattutto il produttore-attore K. Douglas che in un primo tempo aveva ingaggiato il regista Anthony Mann) e una certa eterogeneità stilistica. È poco kubrickiano il richiamo a una nozione di progresso di cui la vicenda del “primo rivoluzionario della storia” è simbolica portatrice. Gli appartiene per le scene di battaglia e di violenza (cui collaborò il grafico Saul Bass), la mescolanza di ragione e passione nei personaggi principali, la splendida direzione degli attori tra cui spiccano L. Olivier e C. Laughton. È, comunque, il migliore – e il più adulto – dei colossi storici di Hollywood. Ridistribuito nel 1991 in un’edizione restaurata con l’aggiunta di una quindicina di minuti. 4 Oscar: fotografia (Technirama 70) di Russell Matty, Ustinov attore non protagonista, scene e costumi.
Il titolo allude alla pianta dell’amarilli (Amaryllis Belladonna) che in Giappone fa sbocciare i suoi fiori rossi (o bianchi) intorno all’equinozio di autunno (23 settembre). 1° film a colori di Ozu che li usa con parsimonia, opponendo le tenui tinte degli interni domestici a chiazze di rosso (attenzione al bollitore!). Ex ufficiale di Marina, Mikani è un padre così autoritario che obbliga la figlia maggiore Fumiko a scappare di casa per andare a vivere con il fidanzato pianista. Si dimostra altrettanto intransigente con Taniguchi che gli chiede il consenso di sposare l’altra figlia Setsuko che, invece, ha l’appoggio della madre e di un’amica, anche lei con gli stessi problemi. Solo gli amici riescono a convincerlo a una riconciliazione. Scritta da Ozu con Kogo Noda e Ton Satomi, autore del romanzo omonimo. L’avvio drammatico della storia si stempera in cadenze più leggere, non prive di ironia anche perché la figura del padre è contraddittoria, incrocio tra tradizionalismo giapponese e influenza liberale occidentale. Ozu conduce il gioco con l’abituale, squisita maestria. Sottotitoli italiani.
Una villa isolata nella campagna francese. Una famiglia si riunisce per le vacanze, ma non si tratterà di un’occasione lieta. Il capofamiglia, come si scoprirà in breve tempo, è stato assassinato. L’omicidio puo’essere stato compiuto solo da una delle 8 donne presenti nella casa (compresa la sorella giunta in modo inaspettato). Se le donne rispondono al nome di Catherine Deneuve, Fanny Ardant, Isabelle Huppert, Emmanuelle Beart, Virginie Ledoyen ecc… si può facilmente immaginare quanto il gioco di rivalità (tra i personaggi ma anche tra le personalià attoriali) sia ad alto voltaggio. Anche di comicità perché il testo utilizzato ha un’origine teatrale che dosa con grande abilità commedia, satira e giallo. Ozon, dopo l’intimista e funebre Sotto la sabbia, spiazza tutti divertendosi a tenere a bada 8 caratterini non facili. Ci riesce con apparente nonchalance. Ma non tutto deve essere stato facile come appare. Per i posteri va ricordato il bacio lesbico tra la Deneuve e la Ardant (Buñuel e Truffaut sorridono sornioni dall’aldilà).
Ogni immagine in Ozu è polisemica, ogni inquadratura rinvia ad una molteplicità di significati simbolici. Il suo cinema è sintetizzabile in due ossimori, realismo simbolico e minimalismo epocale. Il film si apre con l’inquadratura di una lanterna in primo piano, mentre sullo sfondo camminano dei giovani studenti in fila indiana, e termina con l’immagine di un grosso cancello chiuso, di una staccionata che recinge un piccolo cortile, in cui siede pensosa una vecchia donna. La vita dell’uomo simbolicamente si svolge tra queste due inquadrature, all’inizio, guidata dalla luce delle speranze ed ispirata dai sogni di gioventù, alla fine, racchiusa entro uno spazio limitato, chiuso da una porta che impedisce allo sguardo di scorgere oltre, senza possibilità di sognare un futuro che non c’è più. In questo suo primo lungometraggio sonoro del 1936 sono già presenti tutti gli stilemi cinematografici ed i temi ricorrenti della filmografia dell’Ozu della maturità, che sboccerà nel secondo dopoguerra con i capolavori di Tarda primavera e Viaggio a Tokio.
Le speranze di una madre ormai anziana di vedere il proprio unico figlio felicemente realizzato nel lavoro, dopo anni di sacrifici fatti come operaia in una seteria di un piccolo villaggiodella provincia di Shinshu, per mantenerlo agli studi fino all’università, vengono disilluse dal suo viaggio a Tokio, dove scopre che il giovane, nonostante la laurea, ha trovato soltanto un modesto impiego, mal retribuito, come insegnante presso una scuola serale e vive con la moglie ed il figlio da poco nato in un angusta casetta alla periferia della metropoli, che ricorda suggestivamente le borgate pasoliniane di Mamma Roma, film di un altro grande poeta, vissuto come Ozu per tutta vita con la madre, ed ispirato come questo dalla venerazione del regista per la figura materna.
La qualità di questo film, nonostante sia stato prelevato da Youtube, è discreta. Non ho trovato versioni migliori.
La timida seconda moglie di Maxim de Winter, facoltoso gentiluomo della Cornovaglia, è ossessionata nella dimora di Manderley dall’immagine della prima moglie defunta. Dal romanzo (1938) di Daphne du Maurier. Dopo Intrigo internazionale il più lungo film di Hitchcock – qui al suo esordio a Hollywood – che gli valse 8 nomination e 2 premi Oscar (miglior film, fotografia di G. Barnes). Soprattutto nella 1ª parte una romantica, angosciosa, disperata mystery story. Nel racconto gotico è una vetta.
Ayub Khan-Din sceneggia una sua commedia di successo sul multietnismo nelle periferie britanniche e O’Donnell dirige un film eccezionale, ironico, trascinante: un vero fenomeno. Om Puri è il padre anglicizzato ma non fino al punto da non pretendere dai suoi figli un matrimonio tradizionale. Basset è la moglie british che si scontra con lui. I figli sono più inglesi di un nativo. Il melting pot produce un vero capolavoro cinematografico.
Nel primo dopoguerra a Kamagasaki, quartiere povero di Osaka, Hanako, figlia di uno straccivendolo, entra nel mercato nero di sangue umano per trasfusioni e scatena una feroce guerra tra bande rivali dalla quale esce libera di continuare i suoi traffici. 3° lungometraggio (colori, cinemascope) del 28enne Oshima, il 2° dei 3 girati nel 1960 per la Shoshiku-Ofuna. Nella crudele descrizione di un mondo dei bassifondi dove vige la legge della giungla si avvertono gli echi di Brecht ( L’opera da tre soldi ) e di Jean Genet, mentre a livello stilistico si mischiano i moduli del noir e di un violento espressionismo. Il sole (rosso-arancione) che tramonta domina lo schermo. In DVD (raro) con sottotitoli italiani e inglesi.
Bella moglie di diplomatico britannico a Parigi passa due ore al giorno in un appartamento subaffittato. Il marito geloso le fa visita e la trova in compagnia di uno scimpanzé. Sarebbe più semplice se vivessero insieme. In bilico tra commedia borghese e favola enigmatica sui temi della tolleranza e del conformismo, scritto da Jean-Claude Carriére, già collaboratore di Buñuel, è un film casto, freddo, di controllata tenerezza che rispetta i personaggi.
L’impiccagione di uno studente, condannato per avere stuprato e ucciso due ragazze giapponesi, non riesce: l’uomo non muore e perde la memoria. Per ridargli un’identità, i burocrati della giustizia tentano una psicoterapia, improvvisandosi attori che mimano le fasi salienti della sua vita e i delitti da lui commessi. Per rievocare l’ultimo crimine si ricorre a una ragazza (non attrice) coreana come lui. L’imputato ritrova sé stesso e può essere impiccato. La botola si riapre, lui precipita nel vuoto, ma il cappio non stringe nulla. Uno dei più potenti film di Oshima: “un grido di rivolta (contro il potere), un insulto ai sacri principi (l’ordine, la legge e le sue ipocrisie), un divertimento macabro, una fiaba allucinata” (F. Di Giammatteo). Scritta dal regista con Tsumotu Tamura, Mamoru Sasaki e Michinori Faukao, è un’acre parabola satirica alla Brecht che nella 2ª parte s’ingorga e ridonda per un eccesso di simbolismi e di indignazione. Edizione italiana con sottotitoli. Titolo inglese Death by Hanging.
Tre aviatori inglesi, atterrati in Francia nel 1942 col paracadute, sfuggono ai tedeschi grazie all’aiuto dei francesi e a una forte dose di fortuna. Film d’inseguimento in cadenze di farsa, condotto a ritmo forsennato, con una bella squadra di comici tra cui spicca l’esagitato L. de Funès. Record d’incassi in Francia tra i film sull’occupazione anche se _ o proprio perché _ ribadisce il falso mito e gli stereotipi della Francia unita contro i tedeschi. Scritto da Oury con M. Jullian e, per la prima volta, da sua figlia Danièle Thompson.
Storia di una famiglia sfasciata. Due fratelli, ex campioni di lotta greco-romana, Tommy e Brendan Conlon, non si frequentano da anni. Li accomuna solo l’odio per il padre, irlandese alcolista, pure lui ex lottatore. Si ritrovano ad Atlantic City per il torneo di arti marziali miste “Sparta”, premio unico 5 milioni di dollari. Tommy, ex marine, è reduce da una sporca guerra in Asia Minore, malconcio di corpo e di mente; suo fratello Brendan fa il prof di fisica e ha bisogno di soldi perché sta per perdere la casa. Costretti a combattere tra loro, lo fanno sul serio. Il film non manca di momenti emozionanti (la scena in cui Tommy mette a letto il padre sbronzo). Prolisso, interminabile. Scritto dal regista con Cliff Dorfman e Anthony Tambakis.
An extremely lovely tribute to Ozu, on the 20th anniversary of his death. It uses a combination of footage from vintage films and new material (both interviews and Ozu-related locations) shot by Ozu’s long-time camera-man (who came out of retirement to work on this). Surprisingly (or perhaps not), it focuses less on Ozu’s accomplishments as a film-maker than on his impact on the lives of the people he worked with. One of the best films of this type I’ve ever seen.
Due sorelle, due caratteri a confronto: Setsuko, la maggiore, personificazione delle virtù femminili giapponesi e della forza della tradizione; Mariko – la secondogenita interpretata da Hideko Takamine – affascinata dal nuovo e desiderosa di calarsi nello spirito moderno. Insieme gestiscono un bar in gravi difficoltà economiche; oltre ai problemi finanziari, Setsuko risente di un matrimonio infelice con Ryosuke. Il padre, gravemente malato, è preoccupato per le sorti della figlia maggiore, mentre Mariko, in cerca di una soluzione valida che possa risollevare la sorella anche sul piano sentimentale, la esorta a riallacciare i rapporti con Hiroshi, suo primo amore. L’improvvisa morte di Ryosuke – dovuta a un malore – anziché essere vissuta in chiave liberatoria da Setsuko le suscita un forte senso di colpa per aver trascurato il marito, tanto da rifiutare la proposta matrimoniale di Hiroshi, scegliendo di vivere da sola.
Xbin e Shuichi sono due studenti. Sospesi fra la paura degli esami e il desiderio di vacanze sulla neve, i due finiscono per corteggiare – senza saperlo – la stessa ragazza.
Kihachi (Takeshi Sakamoto) non è istruito, ha perso la moglie ed è costretto a mantenere suo figlio Tomio (Tokkan Kozou) in condizioni economiche assai precarie. Padre e figlio si innamoreranno però della stessa ragazza Harue (Nobuko Fushimi), rimasta orfana, dando luogo a rivalse e rivendicazioni. Prodotto dalla Shochiku, il film di Ozu rivolge la sua attenzione agli strati meno facoltosi e abbienti della popolazione giapponese e, di riflesso, anche ai luoghi e agli ambienti che essi abitano. Il personaggio di Kihachi ritornerà in Storia di erbe fluttuanti (1934), Una ragazza innocente (1935) e Una locanda di Tokyo (1935), a riprova di un’affezione di Ozu non solo per lui ma anche per l’universo di debolezze e fragilità che egli è in grado di evocare. Capriccio passeggero però è ben lontano dall’empireo della produzione del regista nipponico: si tratta, a conti fatti, di una ronda familiare venata di ritorsioni e sopraffazioni, in cui l’innamoramento, unico motore di liberazione e rivalsa sociale, finisce con il rivelare la natura solitaria e prevaricatrice del desiderio. Tale impianto, che volente o nolente non può che risultare contaminato da elementi cinici e poco idilliaci, mal si sposa allo sguardo languido e commovente che il regista provvede a veicolare, generando un ibrido non del tutto fallimentare, ovviamente, ma ben al di sotto delle possibilità del cinema di Ozu
Chikako vive in un quartiere operaio della capitale insieme al fratello minore Ryoichi. Il suo lavoro d’ufficio non è sufficente per sopravvivere per cui è costretta a lavorare in un locale equivoco. La scoperta sarà molto amara per Ryoichi…
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