M*A*S*H è una serie televisivastatunitense creata da Larry Gelbart, ispirata dal film M*A*S*H (1970) di Robert Altman, che a sua volta era tratto liberamente dal romanzo (e dai suoi seguiti): M*A*S*H: A Novel About Three Army Doctors (1968) scritta da Richard Hooker (nome d’arte di H. Richard Hornberger). La serie inoltre è influenzata dal romanzo Comma 22 (1961) di Joseph Heller.Andata in onda dal 17 settembre 1972 al 28 febbraio 1983, per un totale di 11 stagioni e 251 episodi, la puntata finale è risultata essere per molti anni la più vista della storia della televisione americana (con 105,9 milioni di telespettatori), record detenuto fino al 2010 e superato, con 111 milioni, dal SuperBowl.Oltre al grande successo di pubblico, la serie riscosse unanimi consensi dalla critica televisiva e colse numerosi premi, tra i quali 14 Emmy Awards(con ben 109 nomination) e 7 Golden Globe.La versione originale ha in sottofondo le false risate del pubblico, quella italiana ne è sprovvista.
M*A*S*H è una tragicommedia incentrata sulle vicissitudini del 4077th Mobile Army Surgical Hospital (Ospedale Chirurgico da Campo dell’Esercito) statunitense in Uijeongbu, Corea, durante la Guerra di Corea (1950–1953).Molte delle situazioni raccontate, anche le più assurde, sono realmente accadute, come testimoniano molti dei veterani del conflitto
La storia dei celeberrimi innamorati di Verona. Fanno parte di due famiglie divise da rivalità e odio. Si innamorano ma non riescono a essere liberi. E letteralmente muoiono d’amore. Forse il loro sacrificio servirà a portare finalmente la pace. Una delle rappresentazioni classiche di maggior qualità spettacolare mai realizzate. Ma non solo spettacolare, anche artistica. Stranamente questo film non ha mai sedotto la critica. Forse era giudicato troppo fastoso. È senz’altro vero che il cinema entra con grande prepotenza nel teatro, ma è un preciso diritto del cinema. Il lavoro è squisitamente o disperatamente Metro-Goldwyn- Mayer, con tutte quelle caratteristiche: sfarzo di tutto, grande ricerca storica, budget cospicuo. Vennero assunti i massimi esperti di Shakespeare, di costumi e musica dell’epoca, in omaggio alla cultura inglese (un amore-odio che è precisa tendenza degli americani, che diventa solo amore quando si tratta di Hollywood). Il regista Cukor era noto per le sue attitudini allo stile, all’eleganza e alla cultura. Volle che Romeo fosse uno dei più grandi attori di teatro dell’epoca, Leslie Howard, che aveva quarantatré anni ed è forse il più vecchio Romeo della storia del teatro. Giulietta venne affidata a Norma Shearer, allora trentaquattrenne e dunque a sua volta inadeguata: era la moglie di Irwing Thalberg, boss della Metro. A Howard la produzione contrappose il più grande attore americano di ogni epoca, John Barrymore, che, bizzarro e alcolizzato, creò enormi problemi, ma che accende la sequenza ogni volta che appare. Nella parte di Mercuzio, Barrymore esegue un vero esercizio di virtuosismo, specie nel lungo monologo iniziale. Nell’ottica classica il film presta sicuramente il fianco a molte critiche per le visibili contaminazioni, ma se si accetta la collaborazione tra teatro e cinema, il risultato è straordinario. E finirei con un’altra menzione, che non viene mai fatta: i doppiatori. Spesso le nostre voci hanno migliorato il prodotto, in questo caso certamente non lo hanno peggiorato. Ricordiamo le tre principali: Ruffini (Barrymore), Panicali (Howard) e Pagnani (Shearer).
In un ospedale mobile da campo, durante la guerra di Corea, tre ufficiali chirurghi ne combinano di tutti i colori, andando a donne e infischiandosene della disciplina. Messi sotto inchiesta se la cavano vincendo a rugby. Scatenata e impertinente farsa antimilitarista che fece epoca e fu seguito dall’omonima, famosa serie TV. Fa ridere molto e morde. Oscar per la sceneggiatura di Ring Lardner Jr. che aveva adattato un romanzo di Richard Hooker. Ottimi attori cui Altman diede, durante le riprese, spazio per improvvisare. Palma d’oro a Cannes. M.A.S.H. = Mobile Army Surgery Hospital.
Il film narra le disavventure di Alice, una donna rimasta vedova con un figlio. Alice cerca un lavoro e nel frattempo si imbatte in una serie di personaggi negativi finché non incontra David. Suo figlio non accetta David e fugge di casa insieme a una sua coetanea. Gli agenti lo ricondurranno a casa e il ragazzo si convincerà dell’affetto di David. Per questo film, che fu diretto da Scorsese dopo MeanStreet, Ellen Burstyn ricevette l’Oscar come migliore attrice protagonista dell’anno.
A Parigi per la settimana del prêt-à-porter (abito di serie su modello di sartoria) convergono giornalisti, stilisti e curiosi di mezzo mondo. Dalla A di Aiello alla W di Whitaker, sono 31 personaggi (meno dei 49 di Il matrimonio , più dei 24 di Nashville e dei 22 di America oggi ), senza contare le 14 celebrità, da Belafonte a Trussardi, nella parte di sé stessi. Stroncature acide o irritate dai critici di lingua inglese, accoglienze severe o deluse dalla maggior parte degli europei. Divertente, elegante, leggero. Spumeggiante perché il suo oggetto è la spuma, superficiale perché il suo tema è la superficialità, l’epopea dell’effimero. Sotto il vestito niente, e filmare il niente non è facile. L’atteggiamento di Altman verso il mondo della moda è ambivalente: ammaliato perché lo vede come uno spettacolo di circo (puro teatro), ma non può far a meno, dall’alto dei suoi 70 anni, di descriverlo con l’ironia lucida di un profanatore. Il suo vero bersaglio non è la moda, ma il microcosmo che vi gravita intorno. Tutti i personaggi dei media son messi sulla graticola. Con gli altri (compresi i due giornalisti chiusi in camera senza vestiti) si diverte, ma ride con loro, non di loro. Fa eccezione quello di A. Aimée cui è affidata la serietà, un po’ anche la morale della storia con la sfilata a sorpresa delle modelle nude nel sottofinale. L’epilogo all’aperto potrebbe essere di Ferreri: un sorriso o un ghigno?
1952. Due giovani studenti universitari, Alberto Granado ed Ernesto Guevara partono per un viaggio in moto che li deve portare ad attraversare diversi paesi del continente latinoamericano. Quella che doveva essere un’avventura giovanile si trasforma progressivamente nella presa di coscienza della condizione di indigenza in cui versa gran parte della popolazione. Quel viaggio cambiera’ nel profondo i due uomini. Uno di loro diventera’ il mitico “Che” mentre l’altro, ancora vivente, e’ medico a Cuba. Uno degli applausi piu’ lunghi alla proiezione stampa di Cannes 2004. Perche’ tutti i giornalisti presenti sono ‘comunisti’? Sicuramente no. Perche’ credono che Castro sia solo un benefattore dell’umanita’? Ancora una volta la risposta e’ no. Allora perche’? Perche’ di fronte a un cinema o sempre piu’ plastificato o sempre piu’ povero di idee, un film che propone la gioventu’ come ‘luogo’ in cui scoprire dei valori personali e decidere di impegnarsi per degli ideali, risponde a un bisogno profondo. Due studenti che non si fanno di droga, che non rubano, che non scopano ogni ragazza che incontrano ma che si mettono in viaggio come spericolati turisti e si trovano alla fine ‘uomini’ perche’cambiati dentro fanno pensare che l’utopia (pur con tutte le sue possibili distorsioni nel momento in cui entra in gioco il potere) non puo’ morire. Una bella lezione ‘morale’ senza moralismi ne’ agiografie.
Il piantatore di cotone Sam Tucker (Zachary Scott) con la sua famiglia si trasferisce nel Sud degli Stati Uniti, decidendo di mettersi in proprio e cercando di trasformare una terra ostile in una fertile piantagione.
Ritenuto il miglior film del breve periodo americano di Jean Renoir, da molti critici avvicinato al cinema di Robert Flaherty, L’uomo del Sud – che si avvale del contributo alla sceneggiatura di William Faulkner e come aiuto regista dell’allora ventottenne Robert Aldrich – si aggiudicò nel 1946 un premio alla Mostra di Venezia, pur uscendo in Europa solo nel 1950. In questo film Renoir introduce il dirompente conflitto tra uomo e natura – “quasi vi si sente l’odore della terra smossa dall’aratro, battuta dalla pioggia o riscaldata dal sole” – ma non è solo la natura il grande ostacolo da rimuovere, anche i difficili rapporti umani giocano un ruolo determinante nella vicenda.
Tra il 20 e il 21 maggio 1927 Charles Lindbergh volò per primo attraverso l’Oceano Atlantico da New York a Parigi in 33 ore e mezzo. Una delle grandi imprese del secolo. Film “positivo” e celebrativo, dunque anomalo nella carriera del caustico Wilder. Sempre nobile, spesso avvincente, qua e là tedioso e soporifero. Impeccabile ricostruzione d’epoca. La musica aiuta.
Una Plymouth Fury rossa del ’58 ha un potere malefico e demoniaco. Vent’anni dopo un adolescente timido la rimette in sesto e stabilisce con essa un rapporto di gelosia morbosa, seminato di molte morti violente. Da un romanzo di Stephen King. Il mostro è un’auto di serie, macchina orrorifica ingegnosa, ma non ha abbastanza carburante per tutto il percorso.
Anni ’70. Patrizia Reggiani conosce a una festa Maurizio Gucci, rampollo della dinastia Gucci, una tra le piu` celebri nel mondo della moda. Nasce una storia d’amore, dapprima osteggiata dal patriarca della famiglia, Rodolfo Gucci, ma poi arriva il matrimonio e la prole. La sfrenata ambizione della donna, che vorrebbe indirizzare le politiche aziendali del marchio Gucci, la porterà a tessere spericolate strategie, come quelle con lo zio del marito, Aldo Gucci, che incrineranno i rapporti familiari, innescando una spirale incontrollata di tradimenti, decadenza, vendette.
Sequestrato con i passeggeri di una diligenza da tre banditi, allevatore li mette uno contro l’altro, e li fa fuori. Tratto da un racconto di Elmore Leonard e sceneggiato da Burt Kennedy, è uno dei 12 western di B. Boetticher. Comincia in chiave di commedia e finisce in tragedia. Stringato, diretto con energia pari alla finezza, quasi un Hawks.
Nei primissimi minuti della versione dvdrip ci sono delle scritte messe da chi ha rippato il dvd che non si possono togliere. Le scene non doppiate sono quelle della versione integrale, non credo abbiamo sottotitoli
22/8/24 aggiunta versione 1080p gentilmente inviata da un utente.
La nuova famiglia Addams (The New Addams Family) è una serie televisivacanadese–statunitense del 1998. È basata sui personaggi ideati da Charles Addams e sulla serie originale del 1964La famiglia Addams. La serie, in Italia, è stata trasmessa nel 1999 da Rai Uno. La serie poi fu replicata nel 2010 e nel 2013 sul canale Frisbee.Alcuni particolari sono cambiati rispetto all’originale, come la residenza degli Addams: nell’originale la residenza era 001 Cimitery Lane, mentre ora è 1313 Cimitery Lane. Quasi tutti i 65 episodi sono stati girati a Vancouver, nella Columbia Britannica,in Canada, mentre quelli finali negli Stati Uniti. La serie televisiva racconta le vicende della Famiglia Addams. La famiglia Addams è una famiglia stravagante e bizzarra, estremamente tetra per certi aspetti quanto comica per altri. I componenti della famiglia sono il padre (Gomez Addams), la moglie (Morticia Addams), lo zio Fester, la nonna Addams, la figlia Mercoledì, il figlio Pugsley e il maggiordomo Lurch. La famiglia abita al 1313 di Cemetery Lane in una specie di castello. Esattamente come in ogni famiglia, ognuno ha il proprio hobby, solamente che quelli della famiglia Addams sono estremamente stravaganti ed agghiaccianti, soprattutto agli occhi delle persone ospiti della famiglia. Gli hobby infatti, possono spaziare dal terrorizzare gli ospiti nel cimitero di famiglia, a cercare di tagliare la testa al fratellino più piccolo utilizzando una ghigliottina. Tuttavia la Famiglia Addams si ripropone di fare umorismo ed ironia su molti aspetti della cultura americana e nella maggior parte delle situazioni la famiglia cerca di esporre concetti ed idee giuste (anche se utilizzando sistemi un po’ estremi).
La famiglia Addams è un telefilm comicostatunitense andato in onda fra il 1964 e il 1966 sul network statunitense ABC.La serie creata, da David Levy, è ispirata all’omonimastriscia a fumetti creata da Charles Addams (1912–1988), e pubblicata sul New Yorker. La famiglia in questione è composta da Gomez Addams (John Astin), ricchissimo e distinto gentiluomo amante dei sigari e con l’hobby di far saltare trenini elettrici, da sua moglie Morticia (Carolyn Jones), fascinosa dark lady sempre pallidissima e vestita di nero, e dai loro due figli, la piccola e sadica Mercoledì e il pingue Pugsley. Vivono in una enorme e fatiscente villa di stile vittoriano, decisamente sinistra, che ospita anche lo strampalato zio Fester (l’ex bambino prodigio Jackie Coogan), una non meglio specificata ma altrettanto bislacca nonnina ed un cugino, chiamato Itt, che parla un grammelot incomprensibile e di cui niente si vede a parte un enorme ammasso di capelli che ne copre interamente la figura. La famiglia ha come maggiordomo un gigantesco surrogato del (cinematografico) mostro di Frankenstein, chiamato Lurch (Ted Cassidy), mentre da vari anfratti della casa talvolta esce una Mano (mozza), a cui la famiglia si rivolge col medesimo nome. L’enorme e smisurata ricchezza della famiglia consente ai protagonisti di non lavorare mai e di coltivare le proprie stranezze.
Dal dramma di Francis de Croisset, già filmato nel 1938 in Svezia da Gustaf Molander con la giovanissima Ingrid Bergman (Senza volto). Col viso deturpato da una cicatrice procuratale quand’era bambina dal padre ubriaco, una ragazza brucia i suoi giorni dedicandosi al male finché un’operazione di chirurgia plastica la riappacifica con la vita.
Sceneggiato da Paul Schrader e Mardik Martin che si sono ispirati alla sua autobiografia, è la storia del campione mondiale dei pesi medi Jake La Motta, detto “il toro del Bronx” per le furenti capacità di picchiatore, ma soprattutto di incassatore. Conquistò il titolo nel 1949 contro Marcel Cerdan e lo cedette a Ray Sugar Robinson il 14 febbraio 1951. Costato quattordici milioni di dollari e due anni di lavoro, è un violento film sulla violenza, in cui la boxe è un supporto per il ritratto di un uomo eccezionale sul ring, ma esemplare, nella sua normalità, in privato come prodotto avvelenato di una cultura, di un ambiente, di una società. Di questo mondo, fondato sulla violenza, Scorsese suggerisce la dimensione sociale di sfruttamento, mostrandone il funzionamento con acuta finezza. Il miglior film di ambiente pugilistico della storia del cinema. Preparatosi alla parte con un puntiglioso allenamento e aumentando di una trentina di chili, De Niro è sensazionale per la paranoica furia e l’umorismo sardonico con cui s’è calato nel personaggio. Oscar a lui come miglior attore e a Thelma Schoonmaker per il montaggio. La splendida fotografia in bianconero di Michael Chapman, di potenza spettrale, è di una ricchezza cromatica che il colore avrebbe difficilmente raggiunto.
A Sweethaven, villaggio ai bordi del mare, giunge il marinaio Popeye alla ricerca del padre. Lì comanda il misterioso Commodoro e si paga una tassa per tutto mentre il minaccioso Brutus sta per sposare la vezzosa Olivia. Tra Popeye e la fanciulla nasce un’affinità che si consolida quando il marinaio inciampa in un cesto in cui si trova un bambino. Ora Popeye si sente madre di colui che chiama Pisellino la cui sicurezza è affidata a lui e ad Olivia, soprattutto quando il piccolo finirà nelle mani del Commodoro. Nel 1929 Elzie Crisler Segar creava Popeye (da noi trasformato in Braccio di Ferro) che successivamente Dave e Max Fleischer avrebbero portato sullo schermo. Il produttore Robert Evans ha l’idea di trasformare il personaggio disegnato in un eroe in carne ed ossa sulla scia del successo di Superman e Flash Gordon. Lo script viene affidato al corrosivo Jules Feiffer che non trova l’interesse degli interpellati Arthur Penn e Mike Nichols. Si arriva così a Robert Altman che vede nel soggetto la possibilità di fare della popolazione di Sweethaven una metafora della società americana ormai bloccata in avidi atteggiamenti stereotipati in cui irrompe l’ingenua vitalità del marinaio con un occhio solo.
Nel XXIV secolo, il sistema solare è stato colonizzato dagli umani e si trova in una situazione di precario equilibrio geopolitico a causa delle tensioni fra la Terra e le ex-colonie marziane, oramai indipendenti sotto il vessillo della Repubblica congressuale marziana, e del degrado sociale in cui sopravvive gran parte della popolazione degli avamposti nella fascia principale degli asteroidi e sui pianeti esterni.
In questo difficile contesto, si intrecciano le vicende del detective di polizia Josephus Miller, di stanza su Cerere, a cui viene affidata l’indagine sulla scomparsa di una donna terrestre, Julie Andromeda Mao, e il secondo ufficiale del cargo porta ghiaccio Canterbury, James Holden, inavvertitamente coinvolto in un incidente che rischia di destabilizzare irreversibilmente le relazioni tra Marte e la Terra e innescare un conflitto interplanetario.
Cathryn mentre è a casa da sola e lavora a un suo racconto fantasy riceva la telefonata di una donna misteriosa che le insinua il dubbio che il marito la tradisca. Quando lui torna nega tutto e le suggerisce una vacanza nella loro casa di campagna. Mentre sono insieme lei lo vede trasformarsi in René l’amante di un tempo morto in un incidente aereo. Le apparizioni continuano anche in provincia: la donna vede anche un proprio doppio e deve sottrarsi alle avances troppo plateali del suo amante attuale che ha con sé la figlia adolescente Susannah. La tragedia è in agguato. Robert Altman realizza il suo film più sperimentale affrontando nuovamente un tema a cui tornerà a dedicarsi anche in futuro: i tormenti psicologici di una donna. Susannah York aderisce con grande intensità al personaggio schizofrenico di Cathryn (le verrà assegnato il premio come migliore attrice al Festival di Cannes) offrendo anche al regista un proprio racconto sugli Unicorni che farà da interpunzione straniante alla vicenda. Ciò che però Atman vuole indagare non è tanto una casistica patologica quanto piuttosto lo spazio mentale di una donna che è interiormente minata da sensi di colpa. La sua relazione con il marito è turbata dal suo desiderio di maternità e dalle relazioni con altri uomini che ha cercato, più o meno consapevolmente, allo scopo di diventare madre. Su di lei e su quanto la circonda Altman sperimenta soluzioni linguistiche complesse che coinvolgono sia l’aspetto visivo (zoomate improvvise, sfocature in cerca di dettagli) sia quello acustico (accentuazione di rumori, musica che attinge alle colonne sonore del cinema horror). Affronta poi (con un personaggio che si chiama come l’attrice protagonista ed è l’unico altro appartenente al sesso femminile) la presenza di una adolescenza impegnata precocemente a cercare la giusta collocazione ai pezzi del puzzle della propria vita.
Walter Hill, maestro dei film d’azione, ricrea i temi e le atmosfere tipiche della “frontiera” trasponendole in un’ambientazione suburbana di imprecisa collocazione temporale. Il suo film è un western post-moderno, dove un eroe solitario armato di Winchester e muscoli (Paré) corre al salvataggio della sua bella (Lane), superdiva rock rapita dalla banda di teppisti motorizzati capeggiata dal cattivissimo Raven (Dafoe, che rivedremo in Platoone L’ultima tentazione di Cristo). Non mancano sparatorie, brutti ceffi, inseguimenti e, naturalmente, il duello finale. Il tutto sottolineato da un’eccellente colonna sonora (Ry Cooder tra gli autori).
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