Costretta a lasciare il nativo Afghanistan dopo il ritorno al potere dei Talebani, Donya, che lavorava come interprete per l’esercito americano, si ritrova in California con un impiego presso un’azienda che produce biscotti della fortuna per i ristoranti cinesi della zona. La ragazza cerca di costruirsi una vita lontana da casa, arrivando a ottenere l’incarico di scrivere i bigliettini all’interno dei biscotti e potendo contare su alcuni connazionali e uno sparuto gruppo di amici del luogo. Eppure c’è qualcosa che la tiene sveglia la notte, e la spinge a cercare aiuto nella terapia.
Holly è una provinciale – ma molto sofisticata – che vive a New York. Ha frequentazioni di gente di ogni tipo: artisti, ricchi, malviventi. Paul è un giovane scrittore protetto… da un’amante più anziana di lui. Holly e Paul abitano nello stesso palazzo. Si conoscono, diventano amici. La ragazza, che mira a sposare un miliardario, passa da una festa all’altra, rincorre il tempo, è fragile, passa da depressioni profonde a esaltazioni sfrenate. Ma non manca mai, la mattina, rientrando da una festa, di far colazione davanti alle vetrine di Tiffany, la leggendaria gioielleria. Emergono, dal passato di Holly, scheletri e fantasmi, ma sono solo frutto della sua ingenuità. E comunque, sposare un ricchissimo messicano cancellerà tutto. Ma il magnate si tira indietro. A Holly rimane Paul, che l’ama davvero, e forse anche lei contraccambia.
The Young Pope è una serie televisivaitalo–franco–spagnola di genere drammatico ideata e diretta da Paolo Sorrentino, che ha esordito il 21 ottobre 2016 sul canale satellitareSky Atlantic.Lenny Belardo è un cardinale giovane, mite e dallo scarso peso politico. Abbandonato in orfanotrofio in tenera età, Lenny è continuamente tormentato da tale abbandono e ha sviluppato un rapporto molto turbolento con la fede e con Dio. Inaspettatamente, Lenny viene eletto pontefice dal collegio cardinalizio, che crede forse di aver trovato una pedina da poter manovrare a piacimento. Tuttavia Lenny, salito al soglio pontificio con il nome pontificale di Pio XIII, si dimostrerà un papa controverso e per nulla incline a farsi comandare, machiavellico e manipolatore.
Middle America. Un ex malavitoso Jack Jordan (Benicio Del Toro) torna a casa in macchina per la festa del suo compleanno. Troppo veloce in una curva investe e uccide un padre con le sue 2 bambine. Nonostante la sua sofferenza, Cristina (Naomi Watts) concede il dono del cuore di suo marito. Il felice beneficiario di questo dono, Paul (il bravissimo Sean Penn) rinasce una seconda volta e si allontana da sua moglie (Charlotte Gainsbourg) per andare alla ricerca della donna che il suo nuovo cuore aveva amato fino all’incidente. Ecco presentato in lineare la trama di un film denso che ruota, come fa il montaggio, intorno alle vicende devastanti dei 3 protagonisti che provano a ritrovare il senso della loro vita. Scavando profondamente nel dramma, il film tratta di molti (troppi) argomenti: fanatismo religioso, inseminazione artificiale, dono di organi, aborto, vendetta, ingiustizia della sorte, moralità, paura della morte e peso della propria vita: 21 grammi (dicono che sia il peso che perdiamo al momento della morte!) nella bilancia con il peso della vita dei propri cari. Interpretato magistralmente dai 3 protagonisti, questo film ricco di emozioni drammatiche sconcerta di sicuro ma non lascia indifferenti. Resta però una domanda: 21 grammi è (s)montato senza logica temporale per metterci nella stessa confusione mentale dei 3 personaggi principali (come nel film Memento) o per dare un tocco originale ad un film con dei temi che non lo sono più?
Un film di Larry Charles. Con Sacha Baron Cohen, Pamela Anderson, Ken Davitian Titolo originale Borat: Cultural Learnings of America For Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan. Commedia, durata 84 min. – USA 2006. – 20th Century Fox uscita venerdì 2marzo 2007. – VM 14 – MYMONETRO Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan valutazione media: 2,33 su 231 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Irriverente, sovversivo, oltraggioso. Borat Sagdiyev è un reporter kazako in viaggio negli Stati Uniti d’America per girare un documentario che riprenda le usanze e i costumi del nuovo mondo, per poi riportare la preziosa e fedele testimonianza al suo paese. Misogino, antisemita e razzista, semina il panico e lascia il segno a ogni suo passaggio, scardinando di volta in volta le certezze e le ipocrisie di una cultura carica di pregiudizi e oscenità. Dal creatore di Ali G., Sacha Baron Cohen, un film che promette di far ridere a crepapelle dall’inizio alla fine della pellicola. Su un carrettino di gelati, insieme al suo goffo collega, Borat viaggia in lungo e in largo negli States alla ricerca di qualcuno che gli indichi le buone maniere, lo stare in società, ma soprattutto la strada per raggiungere il suo obiettivo unico e solo: incontrare l’eroina del suo telefilm preferito.
In una fabbrica di pigiami un’operaia canta e balla così bene da far perdere la testa al direttore. Contrastano questo sentimento rivendicazioni salariali e lotte interne tra i lavoratori e direzione, ma alla fine i buoni sentimenti hanno la meglio, come in ogni favola che si rispetti.
1964. Bronx. Il collegio della parrocchia di St. Nicholas ha al suo centro due forti personalità. Padre Flynn, il parroco, è un innovatore che cerca di sostenere gli allievi più in difficoltà e, in particolare, l’unico studente di colore della scuola, Donald Miller. Il ragazzo è stato iscritto dalla madre, contro il volere del marito violento, per sottrarlo ai pericoli della scuola pubblica. L’altro, rigido, pilastro della comunità è Sorella Aloysius Beauvier, la superiora dell’ordine le cui consorelle insegnano nell’istituto. Sorella Aloysius è una strenua conservatrice dell’ordine e del rigore e spaventa a morte tutti gli allievi. Un giorno però, in seguito ad alcune osservazioni sul comportamento di Donald riferitele dalla più giovane e candida delle suore Sorella James, comincia a nutrire il dubbio che le attenzioni di Padre Flynn per il ragazzo non siano solo altruistiche. Un’avvertenza: chi non ama il buon vecchio cinema di una volta quello, per capirsi, con bravi attori, sceneggiature di ferro e modi di ripresa convenzionali, è pregato di astenersi. Chi poi dà già per scontato che un film con preti e suore non possa trattare altro che argomenti o stucchevoli o fuori tempo massimo farà bene a fare altrettanto. Oppure decida di assumersi il rischio della visione. Potrebbe cambiare opinione. Perché Il dubbio, pur denunciando la sua origine teatrale, si salva dalle sabbie mobili della trasposizione (considerando che il regista è l’autore della piece) grazie alle prestazioni dei tre protagonisti e a una sceneggiatura che esula (e così facendo se ne avvantaggia) dai richiami all’attualità. Perché la piaga della pedofilia nelle istituzioni religiose non è sicuramente (e purtroppo) circoscritta agli Stati Uniti ma è lì che è esplosa con maggiore virulenza al punto di spingere la Chiesa a fare pubblica ammenda. Shanley si dimostra però interessato a tematiche diverse e più complesse. Il film non si risolve quindi in una detection sulla colpevolezza o meno di Padre Flynn o sulla forza dei pregiudizi di Sorella Aloysius. Il contrasto e la difficoltà di discernimento stanno soprattutto altrove. Non a caso la vicenda ha inizio l’anno successivo all’uccisione di John Fitzgerald Kennedy. Il trauma nella società è stato forte ma nel mondo qualcosa sta mutando per sempre. Lo testimonia la foto del ‘papa morto’ (Pio XII) che ormai viene usata per vedere il riflesso della classe quando l’insegnante è voltata verso la lavagna ma che la superiora non ha sostituito con quella del papa del Concilio. Il film non si limita ad affrontare il tema del rinnovamento della Chiesa negli Anni Sessanta ma va oltre affrontando il nodo della complessità della lettura della realtà. È sufficiente essere progressisti per liberarsi d’ufficio da qualsiasi possibilità di errore? Al contrario: chi è favorevole alla conservazione ha il diritto di leggere in chiave solo negativa i comportamenti che non si confanno alla norma e si ispirano invece a un’umanità più vicina agli ultimi? Sono solo alcuni dei quesiti che il film pone lasciando poi allo spettatore il compito di dare una risposta sulla base delle proprie convinzioni o (perché no?) dei propri dubbi.
Una bambina buona e simpatica nasconde sotto le angeliche apparenze gli istinti di una feroce assassina (la nonna era una maniaca omicida). La piccola uccide un compagno di scuola per rubargli la medaglia e brucia vivo un uomo di fatica che la sospetta del delitto. La madre, sconvolta, medita di eliminarla perché non ammazzi più.
Nel consacrarsi a una passione che non sarà mai ricambiata, una romantica viennese trasforma la sua infatuazione per un pianista in un’ossessione amorosa che la consuma fino alla morte. Da un racconto di Stefan Zweig uno dei più squisiti “film di donna” della storia del cinema, immerso in un clima magico e, insieme, ossessivo. In mano d’altri poteva uscirne una storia sentimentale strappalacrime. Ophüls ne fa un capolavoro romantico.
Il lato oscuro è quello degli USA dopo l’11-9-2001, durante le 2 presidenze di Bush Jr. Il taxi è del contadino afghano Dilawar che si era messo a fare il taxista. Nel 2002 fu arrestato dalla Milizia Militare USA e 5 giorni dopo morì per le percosse e le torture subite, nella prigione di Bagram, come sospetto complice terrorista di Al Qaeda e dei talebani. Il ricorso alla tortura negli interrogatori, adottata dalla CIA e dall’esercito USA, è il tema centrale di questo nauseante e impietoso docudrama del documentarista Gibney ( Enron – L’economia della truffa ), frutto di una laboriosa inchiesta che dall’Afghanistan passa all’Iraq (le famigerate fotografie del carcere di Abu Ghraib) e alla sofisticata prigione di Guantanamo. Sfilano soldati che eseguirono gli interrogatori, 2 giornalisti del New York Times che fecero scoppiare lo scandalo, detenuti innocenti torturati, generali che trasmisero o permisero gli atroci abusi, il personale dell’amministrazione Bush, lo stesso Bush e i suoi principali consiglieri legali che riuscirono ad aggirare le regole della Convenzione di Ginevra per la tutela dei diritti dei prigionieri di guerra. Notizie preziose: l’FBI si dissociò dalla CIA; solo il 7% dei presunti terroristi furono catturati da forze USA; tutti gli altri denunciati e consegnati dagli alleati; nel carcere di Bagram la temperatura arrivò a 65 °C. Voce narrante: Luigi La Monica. Oscar 2007 per il documentario. Inosservato in Italia.
Uno scapolo impenitente affitta per le scappatelle di tre amici sposati un appartamento nel quale s’installa una bella sociologa che si fa passare per donnina di facili costumi e, tenendoli a bada, li studia. Commedia che vorrebbe essere pepata e cerca in affanno di diventare maliziosa senza riuscirci per colpa di un’inerte e prolissa sceneggiatura contro la quale gli interpreti lottano invano.
Un film di David Koepp. Con Kevin Bacon, Kathryn Erbe, Kevin Dunn, Zachary David Cope, Illeana Douglas, Conor O’Farrell. Titolo originale Stir of Echoes. Thriller, durata 110 min. – USA 1999. MYMONETRO Echi mortali valutazione media: 2,88 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Dal romanzo di Richard Matheson. Chicago: un gruppo di persone che non ha di meglio da fare tiene sedute spiritiche che finiscono per diventare pericolose. Bacon ha strane visioni che parrebbero venire dall’al di là. Al centro c’è il suo bambino. Ecco dunque che il pericolo diventa reale. Qualche discreta tensione.
Laura è una fotografa professionista e ha poteri straordinari che le permettono di assistere anche da lontano ad alcuni delitti. “Vede” dunque uccidere molte persone (una scrittrice e tre bellissime modelle). Si offre allora di aiutare la polizia.
California 1963. Due delinquenti catturano una coppia di poliziotti e ne uccidono uno. L’altro riesce a fuggire, ma per molti anni sarà ossessionato dal ricordo di quel tragico episodio. Dramma poliziesco insolitamente intenso nel suo realismo sociale senza facili effetti. Sceneggiato da Joseph Wambaugh, autore del romanzo.
Il Muppet Show (The Muppet Show) è una trasmissione televisiva ideata dallo statunitenseJim Henson, andata in onda dal 1976 al 1981. I protagonisti sono dei curiosi pupazzi detti Muppet, dalla fusione tra le parole inglesi marionette (marionetta) e puppet (pupazzo). Jim Henson (animatore materiale anche di alcuni dei protagonisti), già presenza importante del programma Sesame Street (in Italia come “Sesamo apriti”), che ha in parte rivoluzionato il mondo della televisione per bambini, riuscì con questo programma a collocare i suoi pupazzi in una cornice rivolta ad un pubblico di adulti. Ogni puntata della serie ha come ospite speciale un artista che interagisce con i muppet, alla maniera di un famoso show televisivo americano, l’Ed Sullivan Show. Il Muppet Show è stato sicuramente il più grande successo dei Muppet essendo andato in onda in più di 100 paesi. Nonostante il programma sia stato prodotto negli Stati Uniti, lo spettacolo viene trasmesso per la prima volta nel Regno Unito
The Muppet Show – Stagione 1 – 24 episodi (Solo 16 nei DVD Italiani)
Vera storia di Robert Stroud, condannato nel 1909 all’ergastolo per omicidio, che in carcere, per molti anni chiuso in isolamento, divenne un esperto di fama mondiale sulla vita degli uccelli. Ottenne il permesso di sposare la sua assistente. Tratto da un libro di Thomas E. Gaddis (qui interpretato da O’Brien) e sceneggiato da Guy Trosper, è un solido efficiente, monocorde film con il piombo nelle ali. Vola basso, senza cadute ma nemmeno impennate, trattenuto da un rigido moralismo che esalta la dignità dell’uomo e denuncia, con massiccia oratoria, il sistema carcerario americano. Memorabile interpretazione, un vero tour de force, di Lancaster, anche produttore, che all’inizio delle riprese aveva protestato il regista inglese C. Crichton.
Terrore di notte sul metrò. Due teppisti imperversano in un vagone della subway. Di buona intensità drammatica, nonostante la convenzionalità dei personaggi.
Ragazza sogna di sposare un miliardario. Ci riesce, ma lui è fuori di testa, un paranoico sadico. Lei, già incinta, lo lascia. Lui la perseguita, la ricatta, vuole distruggerla. Lui muore, lei abortisce. Ophüls prese in mano il film, iniziato da John Berry, in condizioni disastrose e si districò ammirevolmente. È il suo film più fittamente parlato, ma gli attori sono diretti benissimo. Assai interessante la tematica. Scritto da Arthur Laurents dal romanzo Wild Calendar di Libbie Block.
La solita banda di Formula 1 (i piloti e le loro donne, i tecnici, i dirigenti delle squadre) attraverso 6 gran premi: Montecarlo, Clermont Ferrand, Belgio, Olanda, Inghilterra fino a Monza. Ciascuno è filmato in modo diverso. 1° film sulle corse d’auto (fotografia in 70 mm SuperPanavision di Lionel Lindon) girato senza trasporto e con il ricorso allo split-screen (montaggio nel quadro frazionato in caselle, cercando la contemporaneità o il contrasto). Frankenheimer è un appassionato delle quattro ruote, e si vede, ma il copione di Robert Alan Arthur è una prolissa passerella di stereotipi senza sugo e di situazioni già viste. Il personaggio di Bedford è ispirato a Stirling Moss. 3 Oscar: montaggio, suono, effetti visivi. L’alta qualità tecnica accentua quella bassa del resto. 2 film in uno e stanno male insieme.
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