Un attore disoccupato accetta di occupare la casa di un collega durante la sua assenza. Dalla finestra osserva una splendida donna che, una notte, viene assassinata. Con l’aiuto di una pornostar cerca di risolvere il caso. Assai ben ambientato nel mondo californiano della pornografia, è un thriller pieno di suspense basato sugli ingredienti più tipici del bravo De Palma: claustrofobia, perversioni, terrore, deviazioni di personalità. “È un film sul cinema come trucco, inganno, falso, manipolazione” (C. Bisoni). Body double indica, in gergo, una particolare controfigura usata per girare le scene di nudo.
Un film di Hal Ashby. Con Jane Fonda, Jon Voight, Bruce Dern Titolo originale Coming Home. Drammatico, durata 127 min. – USA 1978. – VM 14 – MYMONETRO Tornando a casa valutazione media: 3,21 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Allo scoppio del conflitto nel Vietnam, un ufficiale americano parte per la guerra. Sua moglie, infermiera volontaria, conosce un reduce paralizzato del quale si innamora. L’uomo, fervente assertore del non-intervento, è sorvegliato dall’Fbi che mette al corrente l’ufficiale della relazione dell’infermo con sua moglie.
Una donna si ritrova a dover affrontare un’inaspettata deviazione del suo viaggio mentre cerca di capire come rompere con il suo ragazzo e ripensare la sua vita.
Guerra tra i romani e i popoli d’Oriente che si ribellano al dominio sempre più iniquo dell’imperatore Commodo, succeduto al padre Marco Aurelio (un ottimo Alec Guinness). Persino il re d’Armenia che ha sposato Lucilla, sorella di Commodo, insorge, ma viene sconfitto e ucciso. Lucilla si trasferisce a Roma con Livio, comandante romano di cui si è innamorata. A Livio, vincitore in duello di Commodo, i soldati offrono l’impero, ma egli rifiuta, disgustato dalla dilagante corruzione.
Ubicato nell’Alta Austria, Radegund è un’oasi di pace dove Franz e Fani si sono incontrati e innamorati. La loro vita scorre lieta scandita dalle stagioni e dalle campane della chiesa, dal lavoro nei campi e la ricreazione sui prati. Ma la guerra allunga la sua ombra e rovescia il loro destino. Franz è chiamato alle armi e a giurare fedeltà al Führer. Incapace di concepire la violenza obietta, procedendo in direzione ostinata e contraria.
Quattro personaggi: Susie ha scritto un libro sui ladri di piante di orchidea dalle quali si può ottenere un tipo di sostanza stupefacente molto particolare. Johnny è il ladro, un tipo duro e segnato dalla vita e dai traffici illeciti. Charlie, timido e impacciato, fa lo screen writer e deve adattare il romanzo di Susie per una sceneggiatura di un film. E infine c’è Donald, fratello gemello di Charlie, anche lui sceneggiatore. Charlie è in crisi creativa e passa le sue giornate cercando disperatamente di farsi venire un’ idea, ma si perde guardando la fotografia di Susan stampata sul retro della copertina del libro. Fin qui tutto risulta piuttosto semplice, ma le cose si complicano nel momento in cui i vari personaggi si adattano agli altri. Susie deve intervistare Jonnhy per proseguire con la pubblicazione dei suoi romanzi e finisce col rimanere coinvolta da lui e dalla sua attività e Charlie chiede aiuto al fratello per scrivere la sceneggiatura del film. I quattro si incontrano di nuovo tre anni dopo: Susie è sempre innamorata e legata al suo Jonnhy, che da ruvido delinquente e diventato quasi romantico, e i due fratelli si ritrovano coinvolti in un incidente e in una sparatoria che avrà esiti negativi. Temi importanti e non facili, per quest’ opera di Jonze in concorso al Festival Internazionale di Berlino: il doppio, la creatività come stimolo per un arricchimento della realtà o come distruzione di un’ identità, lo smarrimento per la ricerca di una personalità nell’altro da sé. Tutto questo raccontato con uno stile che cambia durante la narrazione: dalla commedia, i toni diventano quasi grotteschi per finire nel dramma. È pericoloso adattare e adattarsi, si rischia di perdere e di perdersi.
Sul finire degli anni sessanta dell’Ottocento la famigerata banda dei fratelli James imperversava nello stato del Missouri, assalendo banche, treni e diligenze. Gli ultimi ribelli della guerra civile erano al servizio del più carismatico dei fratelli James, Jesse, bandito professionista dal grilletto facile, lo sguardo glaciale e i modi affabili. Figlio di un pastore e ultimo dei tre fratelli James è venerato e invidiato dal più piccolo dei cinque Ford, frustrato per il credito minore ricevuto in seno alla banda. Robert, poco più che ventenne, spera di farsi apprezzare e reclutare dal carismatico leader. L’ostinata diffidenza di James per Robert trasformerà l’ammirazione in disprezzo. Il biasimo di Bob e un colpo di pistola fredderanno Jesse James a tradimento. Era il tre aprile 1882. Era l’inizio della leggenda del “bandito sociale”. Chiariamo subito una cosa: L’assassinio di Jesse James non è un western, almeno nel senso tradizionale del termine. A mancare è il respiro epico di una nazione sopravvissuta alla guerra civile e di uno stato, quello del Missouri, attraversato da locomotive a vapore cariche di capitali da rubare o da investire per ricostruire. Senza una contestualizzazione precisa del contesto sociale e del periodo storico in cui la leggenda prese forma, è difficile comprendere il personaggio di Jesse James, il guerrigliero degenerato in bandito, il fuorilegge giustificato e poi trasformato in una ballata, eseguita sullo schermo dal cow-boy Nick Cave. Adattamento del libro omonimo di Ron Hansen, il film di Andrew Dominik si limita all’introspezione psicologica, concentrandosi interamente e comodamente sulla relazione tra il fuorilegge navigato e l’ambizioso neofita. Gli accoliti al soldo di James, colti dopo l’ultimo assalto al treno nel 1881 (anno del suo trentaquattresimo compleanno), non hanno nulla in comune coi “cavalieri” reazionari che, con la pratica sistematica della violenza e dell’intimidazione, cercarono di sopravvivere al processo di modernizzazione economica del Sud. La maschera di Jesse James scritta da Dominik e drammatizzata da Pitt, fuori parte e fuori gioco, è priva del fascino irresistibile del cavaliere romantico, della grandezza dei suoi sentimenti, dell’amore per gli spazi aperti, della radiosità che lo rese popolare e lo consacrò alla leggenda: il bandito d’onore, il bandito battista, l’espropriatore degli espropriatori. Il film di Dominik non riesce ad appropriarsi dell’universo western né a calarvi l’eroe più discusso della mitologia nazionale americana
Finita la Seconda Guerra Mondiale, 21 rappresentanti del regime nazista vennero processati per crimini contro l’umanità. Questa è il racconto del processo di Norimberga in cui l’avvocato americano Robert Jackson, ebbe un ruolo da protagonista.
Un ricco possidente, rapito da due fratelli,propone a questi di accompagnarlo con una grossa mandria attraverso un percorso preso di mira dai pellirosse. La strada è lunga e i contrasti sono tanti; i tre si contendono anche l’amore di una donna, ma ad avere la meglio sarà Ben, impersonato naturalmente da Gable.
Alessandro, figlio di Filippo II e della Regina Olimpia, dopo l’assassinio del padre diventa Re di Macedonia e parte alla testa del suo esercito contro l’Imperatore persiano Dario III. Una volta conquistata la Persia, Alessandro prosegue la sua inarrestabile marcia attraverso l’Asia centrale e riporta una lunga serie di vittorie; nel corso della campagna, però, dovrà domare le ribellioni dei propri soldati. Girato tra il Marocco e la Thailandia con un budget faraonico di oltre 150 milioni di dollari, Alexander costituisce probabilmente il progetto più singolare e ambizioso nella carriera di Oliver Stone, un cineasta conosciuto soprattutto per le sue pellicole di forte impegno politico e sociale, e dalle tematiche spesso controverse. Con questo film, invece, per la prima volta Stone si è dedicato alla realizzazione di un imponente kolossal storico, basato in prevalenza sul libro Alessandro il Grande, scritto dallo studioso Robin Lane Fox e adattato per lo schermo dallo stesso regista insieme a Christopher Kyle e Laeta Kalogridis.
Dal 1° al 3 luglio 1863 a Gettysburg (Pennsylvania) si svolse la più grande e sanguinosa battaglia (cinquantamila morti) della guerra civile. Le truppe sudiste del generale Robert E. Lee furono sconfitte da quelle nordiste al comando del generale George G. Meade. Scritto dal regista e basato sul romanzo The Killer Angels di Michael Shaara, prodotto dalla società televisiva di Ted Turner, fu messo in onda nei Paesi anglofoni in 3 puntate; esiste una versione per l’homevideo che dura quasi 6 ore. Piuttosto accurato, dal punto di vista storico-militare, nella descrizione della battaglia, ne rimuove sistematicamente la crudeltà e l’orrore: le morti sono tutte gloriose, pulite, istantanee, così come sono tutti valorosi, nobili e in buona fede sia gli unionisti sia i confederati. Sulle ragioni della guerra totale? Silenzio. I personaggi principali sono il generale Longstreet (Berenger), sudista contrario alla schiavitù; il docente Joshua Chamberlain (Daniels), soldato in nome dell’abolizionismo; il capo supremo dei confederati R.E. Lee (Sheen).
Dopo alcuni anni nel carcere di San Quentin per omicidio l’ex combattente Roy Tucker (G. Hackman) viene fatto evadere e ospitato in una villa dove ritrova la moglie (C. Bergen). Gli si propone, in cambio dell’ottenuta libertà, di assassinare un importante uomo politico. Se rifiuta, ne andrà di mezzo la moglie. Epilogo tragico. Tratto da un romanzo di Adam Kennedy, è un altro film sulla sindrome del complotto, assai diffusa _ almeno al cinema _ negli anni ’70, con obliqui rimandi all’assassinio di John F. Kennedy e riferimenti espliciti a misteriose organizzazioni di cui la delinquenza organizzata sarebbe soltanto una delle componenti. A qualsiasi livello, è indifendibile.
Louie è una serie televisivastatunitense trasmessa dal 2010 al 2015 dal canale FX. La serie televisiva è scritta, diretta, interpretata, montata e prodotta dal suo stesso ideatore, il comicostand-upLouis C.K.,[1] che recita una versione fittizia di se stesso: un comico e padre divorziato che cresce le sue due figlie nella città di New York. La serie ha un formato piuttosto libero ed atipico, caratterizzato da storyline per lo più sconnesse e da segmenti (descritti come «sketch estesi»)[2] che ruotano attorno alla vita di Louie, intervallate da performance stand-up dal vivo. La serie è liberamente ispirata alla vita di Louis C.K., e lo mostra sul palco come un comico e giù dal palco come un padre di due bambine appena divorziato. Ogni episodio è costituito da due storie che possono essere collegate tematicamente o meno, oppure da un’unica storia che dura per tutto l’episodio, spesso composta da diverse scene connesse tra loro. Le scene sono intervallate da performance comiche originali di C.K., che solitamente hanno luogo in piccoli locali di cabaret di New York, tra cui Comedy Cellar e Carolines a Manhattan. Nella prima stagione vengono mostrate occasionalmente brevi conversazioni tra Louie e il suo terapeuta.
Le storie mostrate nella serie sono generalmente distinte le une dalle altre, anche se saltuariamente alcuni personaggi ricorrenti (come Pamela, amica di Louie) creano una fittizia continuity tra gli episodi. In varie occasioni, infatti, la continuità non è tenuta in considerazione. Ad esempio, in due differenti episodi vengono mostrate due attrici e due personaggi molto diversi per interpretare il ruolo della madre di Louie.[8] Come spiegato da C.K., «ogni episodio ha il proprio scopo, e semplicemente non importa se va a scombinare lo scopo di un altro episodio».[9] Alcune storie, inoltre, si svolgono al di fuori della normale linea temporale della serie, come nell’episodio God in cui Louie viene mostrato durante la sua infanzia, oppure in Oh Louie, che si svolge nove anni prima che iniziasse la sua carriera di comico. L’episodio pilota include sequenze di una gita scolastica e di un imbarazzante primo appuntamento, mentre gli episodi successivi affrontano una grande varietà di temi, tra cui il divorzio, il sesso, la depressione, l’orientamento sessuale e il senso di colpa cattolico.
Due fratelli camionisti, Joe e Paul Fabrini, sono sfruttati dal datore di lavoro. In un incidente Paul perde un braccio, mentre Joe è coinvolto in un processo di omicidio dalla moglie del principale che ha ucciso il marito. Da un romanzo di Albert Isaac Bezzerider, uno dei migliori polizieschi di taglio sociale che erano una specialità della Warner di quegli anni. Dialoghi scoppiettanti di Jerry Wald e Richard Macaulay, un quartetto di attori eccellenti.
Una gang di 5 membri, guidata da Seok-Tae, rapisce un bambino di nome Hwa-Yi e i suoi membri crescono il bambino come loro figlio. Il bambino è ora di 17 anni e si è trasformato in un killer letale. Con la partecipazione all’attività criminale del padre, Hwa-Yi viene a conoscenza del proprio passato. Hwa-Yi mette mano alle proprie armi per scoprire chi è veramente.
John Knox è un killer a contratto con due dottorati di ricerca (letteratura inglese e Storia degli Stati Uniti) a cui è stata diagnosticata una forma di demenza chiamata ‘malattia di Creutzfeldt-Jakob che non si può curare e che gli sta facendo perdere rapidamente la memoria. Prende accordi per incassare gli ultimi soldi prima di ritirarsi dall’attività e decide di portare a termine un ultimo lavoro con il suo partner Thomas Muncie. Ma qualcosa va storto.
Modesto cassiere di un supermercato lui, ‘eccellente’ avvocato lei, Ernest e Angela cenano insieme quasi per caso. Lui vorrebbe rivederla, lei no. Ma il destino decide altrimenti. Fermati dalla polizia lungo una strada deserta di Cleveland, un controllo di routine degenera.
Il fiume Inguri segna il confine naturale tra la Georgia e la Repubblica di Abkhazia. I secessionisti hanno reclamato questa porzione del paese, cacciando brutalmente i georgiani che la abitavano. Proprio lungo questa tormentata frontiera, in primavera, lo scioglimento del ghiaccio dà vita a piccole isole itineranti, che si fanno e si disfano a seconda delle stagioni e dei capricci della natura. Un vecchio contadino e sua nipote adolescente si installano in questa terra di nessuno, costruendo una precaria baracca di legno, per coltivarvi il necessario per sopravvivere al rigido inverno. Quando sull’isola compare un ribelle ferito, il già fragile equilibrio di questa insolita coppia si spezza pericolosamente. Quello diretto dal georgiano George Ovashvili è un film che indaga tra le pieghe dei conflitti. In primo luogo, il difficile rapporto tra uomo e natura, cristallizzato nel tentativo ancestrale di dominare, a mani nude, un ambiente riottoso, pronto a sottrarre con violenza ciò che un attimo prima aveva dato. In seconda battuta, c’è la lotta fratricida tra due popoli, che si manifesta nella presenza dei soldati georgiani che pattugliano il confine con le loro barchette, alla ricerca dei ribelli. Sopraggiungono molesti, così come il rumore degli spari nella notte, a turbare la quiete della vita del contadino, scandita solo dai ritmi di un lavoro paziente, in balia della natura. Il terzo contrasto, non meno importante, è quello tra la prudente saggezza dell’uomo anziano e l’incosciente desiderio di emozioni della nipote sulla soglia dell’adolescenza. La routine lenta e faticosa che li unisce, al contempo li divide, determinando il sentore strisciante di una deflagrazione che non si consuma mai veramente. Almeno non a parole, in un’opera dove gli sguardi, le inquadrature – carrellate o movimenti di macchina a mano – e la fotografia in 35 mm – contano molto più dei dialoghi, ridotti all’osso per l’intera durata del film. Un film da festival, in cui la sceneggiatura è scarna, al pari delle battute, e il ritmo è dilatato. Un film dove l’immagine ha la meglio sulla parola, esibendoci, in tutto il suo crudele splendore, una natura tanto generosa quanto capricciosa. Il regista ce la mostra con estremo realismo, ai limiti del documentario. I due attori protagonisti contribuiscono a rafforzare questa poetica del reale, agendo davanti alla macchina da presa con grande naturalezza, parlando solo con gli occhi: solcato, lui, dalla fatica dell’età e dalle intemperie della vita – ma nonostante tutto determinato e teneramente preoccupato per la nipote – e animata, lei, da un bisogno di vita che la spaventa e la incoraggia al contempo. In questo deserto di comunicazione, non è tanto la parola a mancare, quanto le risposte alle domande che questa storia incompiuta di uomini suscita. Curiosità e desiderio di emozioni più forti che il regista non soddisfa, interessato più ai capricci della natura che a quelli degli uomini.
Ricostruzione dell’incontro di boxe, valevole per il titolo mondiale dei pesi massimi, tra i pugili neri Mohammed Alì, già Cassius Clay, e George Foreman a Kinshasa (Zaire) il 30 ottobre 1974. Al materiale filmato da Gast nel 1974 a Kinshasa s’aggiungono le interviste allo scrittore Norman Mailer, ai giornalisti Georges Plimpton e Thomas Hauser e al regista Spike Lee che vent’anni dopo commentano l’avvenimento. Più che sul Mohammed Alì della realtà, è un film sul mito, sulla leggenda, sul significato simbolico, sociale e politico di Alì e della sua vittoria sul nero Foreman che paradossalmente nel 1974 incarnò l’odiato zio Sam, quell’America dei padroni bianchi che avevano ridotto i neri a loro immagine e somiglianza. All’origine della sua energia coinvolgente c’è il montaggio (firmato da 4 persone tra cui lo stesso Gast e dal regista Taylor Hackford), a sua volta basato sulla musica e sul canto di B.B. King, James Brown, Spinners, Jazz Crusaders, Miriam Makeba. Premio Oscar per il documentario di lungometraggio.
Costretta a lasciare il nativo Afghanistan dopo il ritorno al potere dei Talebani, Donya, che lavorava come interprete per l’esercito americano, si ritrova in California con un impiego presso un’azienda che produce biscotti della fortuna per i ristoranti cinesi della zona. La ragazza cerca di costruirsi una vita lontana da casa, arrivando a ottenere l’incarico di scrivere i bigliettini all’interno dei biscotti e potendo contare su alcuni connazionali e uno sparuto gruppo di amici del luogo. Eppure c’è qualcosa che la tiene sveglia la notte, e la spinge a cercare aiuto nella terapia.
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