Storia vera di Rubin Carter, detto “Hurricane”, uragano, un pugile di colore ingiustamente arrestato per omicidio nel ’64. È un’occasione per Jewison di andare oltre e mostrare l’America di quel decennio, inquieta, violenta e contraddittoria.
Il dottor Samuel Beckett (Scott Bakula) fonda il progetto top secret Quantum Leap, che renderà finalmente possibile il viaggio nel tempo. Ma proprio quando il progetto sta per essere ultimato viene tagliato il finanziamento e Sam, preoccupato per il futuro incerto dell’esperimento sceglie di attivare l’ancora incompleto Acceleratore (la macchina per il salto nel tempo). Il protagonista si ritrova così a saltare attraverso gli anni senza un apparente motivo e senza alcun controllo.
Sei anni prima di Arancia meccanica di Kubrick, Andy Warhol propone la sua versione del romanzo di Anthony Burgess – o meglio, dei momenti salienti – raccontando nello spazio di 4 lunghi piani-sequenza l’allucinante esperienza di un giovane teppista, Victor (Gerard Malanga), sottoposto alle torture del trattamento di rieducazione che lo renderanno innocuo, remissivo, schiavo e vittima del sistema contro il quale si era ribellato. Esperimento cinematografico di Andy Warhol realizzato all’insegna di una estetica sado-maso e di una provocazione stilistica che ignora volutamente le più elementari regole del “fare cinema”. La recitazione e la sceneggiatura sono del tutto marginali rispetto alla definizione scenica del microcosmo claustrofobico imprigionato nell’inquadratura fissa. L’azione, intervallata in maniera irregolare da improvvisi effetti zoom, si risolve nella gestualità improvvisata dei personaggi e si dissolve in una dominante atmosfera soffocante e morbosa che confonde significante e significato: amici e collaboratori della Factory di Manhattan si espongono all’obiettivo come persone-attori, simulacri di creature animate da passioni indecifrabili, corpi da esplorare e spiare vojeuristicamente. Al di là della scarsa fruibilità del film da parte dello spettatore che può comprensibilmente restarne – a dir poco – deluso, l’architettura del gioco di immagini appare funzionale al suggerito spunto narrativo, forse oltre le stesse previsioni del regista.
Un giornalista celebre e potente non approva i sentimenti che la sorella nutre per un giovane artista. Deciso a rovinarlo, si serve di un collaboratore per far infilare nelle tasche dell’uomo alcune sigarette drogate. Un poliziotto compiacente lo arresta; la ragazza, disperata per la sua debolezza e la scoperta del raggiro, tenta di uccidersi ma viene fermata in tempo. Il fratello scarica qualsiasi responsabilità sul tirapiedi e non riesce a convincere la sorella a restargli a fianco.
Le vie del vino sono infinite, ma anche profumate, gustose, limpide come il cristallo di un balloon. Il gusto di queste emozioni, hanno dato vita a un film, un road movie, dove l’amicizia fra due uomini di mezza età, è la dolceamara riflessione sul continuare a essere dei “novelli” giovani o apprezzare i piaceri della maturità, dell’invecchiamento. Jack (Thomas Haden Church) è un attore di soap opera in procinto di sposarsi. Il suo migliore amico Miles (Paul Giamatti), bruttino, dolorosamente divorziato da due anni, e scrittore non proprio di successo, decide di fargli un regalo speciale. Una settimana sulle strade del vino della California, per un piacevole e intenso addio al celibato fra calici di nettare e campi da golf. Incontreranno anche l’amore, e Miles conoscerà Maya (Virginia Madsen), che, come lui, vive per la gioia di una buona bottiglia. Ironico e riflessivo, il film di Alexander Payne, delinea i personaggi, le loro forze, le loro debolezze, e le mette in parallelo al vino, alle modalità dell’invecchiamento, di conservazione, di degustazione. I sette giorni che Miles e Jack trascorrono insieme sono il percorso di crescita di due uomini, profondamente diversi fra loro, ma legati da un’amicizia ventennale. La cultura di Miles, espressa da un irresistibile Paul Giamatti (le sue battute scandiscono il film), si scontra con l’istinto animale e grezzo di Jack. E le donne per loro vanno di pari passo con il vino. Per lo scrittore devono essere rare e uniche (come la ex-moglie), da apprezzare e da sorseggiare nella loro maturità; per il belloccio divo da soap opera, devono avere l’immediata esplosività di un “frizzantino”. Sideways,lento nell’apertura, ironico nel suo incedere, prende vita attimo dopo attimo (verrebbe da dire, sorso dopo sorso), quando le vineyards californiane e le cantine illuminano la scena. E’ la sottile magia di un film, che realmente va lasciato decantare, per apprezzarne le qualità. Come dice Maya, in uno dei momenti più intensi del film, il vino è vivo, come ognuno di noi. Nasce, cresce e raggiunge la maturità. In quel momento, ha un gusto fantastico.
1999, Louisiana. In una casa di riposo, l’anziano Paul Edgecombe scoppia a piangere guardando il film Cappello a cilindro. Poco dopo, interrogato sul motivo da un’amica, Elaine Connelly, Paul inizia a narrarle dell’anno in cui conobbe John Coffey.
Nel 1935, due bambine figlie di un contadino erano state stuprate e uccise, e sul luogo del delitto era stato trovato e arrestato John Coffey, un afroamericano dall’imponente mole che, urlando, teneva i loro corpi tra le braccia. All’epoca, Paul Edgecombe era capo guardia carceraria nel braccio della morte della prigione di Cold Mountain. Il braccio era rinominato il miglio verde, a causa del colore del pavimento del corridoio che conduceva alla sedia elettrica. Assieme a Edgecombe lavoravano le guardie Brutus “Brutal” Howell, il giovane Dean Stanton, il più anziano Harry Terwilliger e il sadico Percy Wetmore, malsopportato per la sua indole violenta.
Da un romanzo di Stephen King.Il miglio verde è, in slang, il percorso dei condannati a morte. Soggetto che ha sempre un forte appeal cinematografico. A percorrerlo dovrà essere un gigantesco nero accusato dell’assassinio di due bambine (ma è innocente). L’uomo ha poteri quasi divini. Guarisce malati gravissimi e, in un caso, riporta alla vita un morto. La storia vive nella memoria del capo dei secondini (Hanks), che era stato a sua volta “miracolato” dal condannato. Tutto gira bene, del resto King ha spalle talmente robuste da sostenere anche qualche lentezza di troppo. Hanks, come sempre, è un protagonista credibile, appassionato e appassionante.
Clyde è a casa con moglie e figlioletta quando due sadici criminali irrompono nell’appartamento e uccidono la donna e la bambina. La causa viene affidata a Nick il quale, vista la fragilità delle prove a carico dei due decide di sfruttare la confessione del più violento che denuncia il complice. In questo modo una condanna a morte diviene certa ma il ‘pentito’ riceve una pena lieve. Clyde è sconvolto da questa decisione. Dieci anni dopo al momento dell’esecuzione della pena capitale qualcosa va storto e il condannato soffre terribilmente. E’ solo l’inizio della vendetta di Clyde il quale, anche dal carcere e sfidando Nick continuerà a colpire.
La dottoressa Lillian Reynolds (Louise Fletcher), alla testa di un gruppo di ricercatori, ha ideato un sistema computerizzato in grado di leggere l’attività cerebrale e registrare su nastro le emozioni, le idee, i pensieri, le sensazioni di un individuo. La possibilità di sperimentare, rivivendole, le esperienze altrui apre incredibili prospettive alla creatività umana e può rinsaldare equilibri psicologici compromessi: grazie ad essa, ad esempio, il dottor Michael Brace (Christopher Walken)e sua moglie Karen (Natalie Wood) – entrambi dell’equipe della Reynolds – hanno recuperato un matrimonio che sembrava definitivamente in crisi. Il progetto, portato a termine per conto di una grossa industria, ha subito destato l’interesse di alcuni settori dei servizi segreti, che pensano ad un suo impiego in campo politico e militare, e fanno pressioni affinché venga ceduto loro. La dottoressa Reynolds è colpita da infarto mentre è collegata alla macchina, e Michael, pur consapevole di andare incontro ad una esperienza drammatica e molto pericolosa, tenta in tutti i modi di visionare il nastro che ha registrato la morte della collega. Allontanato dai laboratori, riesce avventurosamente a mettersi in contatto con il calcolatore e a vanificare l’illecita strumentalizzazione della rivoluzionaria scoperta. Brainstorm è uno di quei film che con il tempo andrebbero rivalutati, non tanto per la traccia narrativa quanto per l’originalità dell’idea e la ingegnosità delle soluzioni cinematografiche proposte. Esperto nelle teniche degli effetti speciali, Douglas Trumbull fu tra i primi a comprendere le eccezionali possibilità della computer graphic e la storia che egli racconta anticipa singolarmente la riflessione su una realtà “virtuale” parallela a quella “oggettiva” che dai contemporanei Tron e Dreamscape (altri due film poco fortunati) conduce ai più recenti Tagliaerbe, Strange Days, Matrix. L’ipotesi che Trumbull avanza è quella di un avveniristico intreccio di esperienze esistenziali (comportamento sessuale, riflessione etica, accettazione della vita e della morte) che sollecita l’uomo a nuovi modelli culturali. Un film, dunque, da gustare con il senno di poi, preferibilmente sul grande schermo dove è più facile apprezzare i trucchi pensati appositamente per una pellicola a 70 mm. Accolto tiepidamente al momento della sua uscita, il film fu funestato dalla tragica scomparsa di Natalie Wood durante la lavorazione
Rio de Janeiro, dagli anni ’60 agli ’80. La favela di Cidade de Deus diventa il palcoscenico delle storie parallele di Buscapé e Dadinho. Entrambi tredicenni, sono però mossi da ambizioni diversissime: il primo vorrebbe diventare fotografo, il secondo il più temuto criminale della città. Se Buscapé trova molti ostacoli nella realizzazione dei propri sogni, Dadinho diventa rapidamente padrone del quartiere e del narcotraffico con lo pseudonimo di Zè Pequeno. La morte del suo braccio destro Bené e la violenza perpetrata ai danni della fidanzata del mite Galinha innescheranno una guerra tra bande dall’esito tragico. Tratto dall’omonimo (e interessante) romanzo di Paulo Lins, City of God è un esempio da manuale di film furbo. Con l’aria di volere essere il più possibile aderente alla realtà Meirelles confeziona un crime – movie efficace quanto rozzo, la cui violenza sensazionalistica si sposa a un qualunquismo di discreta protervia. Non è un caso che a produrre sia il sopravvalutato Walter Salles di Central do Brasil: siamo di fronte al classico titolo da esportazione, pensato per i festival e per le platee con velleità politico – sociali. Ma di autentico, a parte un notevole senso del ritmo e qualche bella soluzione di regia, c’è poco. Azzeccati gli interpreti, rigorosamente non professionisti.
Tratto da un racconto di Leonardo Sciascia il film segue il classico ritmo televisivo ma è supportato da una buona sceneggiatura e da un’interpretazione adeguata. Siamo in Sicilia dove l’omertà regna sovrana. Dopo un assassinio, alcuni personaggi vogliono far luce sul caso e altri invece tendono a mantenere il buio: un professore, un commissario, un brigadiere, un questore e un testimone. Quando però quest’ultimo avrà la certezza di avere in mano una delle chiavi per risolvere il caso deciderà di non parlare, di non immischiarsi.
Da uno dei meno attendibili libri sulla vita di Rodolfo Guglielmi (1895-1926), in arte Rudolph (Rudy) Valentino (Valentino: an intimate exposé of the Sheik di Brad Steiger e Chaw Mank), è uscito il più assennato dei film biografici di Russell, scritto con Mardik Martin, costruito alla maniera di Citizen Kane (ma con testimonianze tutte femminili, com’è giusto), schierato con generosa faziosità dalla parte dell’emigrante italiano costretto a farsi strada a gomitate nella giungla violenta e volgare di Hollywood, adorato e umiliato, sempre usato, grottesco e patetico nell’assillo di essere all’altezza del suo mito di Grande Amante, ingenuo e furbo, triste trionfatore che viene rincorso nella vana rincorsa di un sogno infantile. Verso la fine emerge il Russell più visionario e stravagante (la seduta spiritica con la Rambova; l’incontro di pugilato). Due inesattezze che calunniano due morti: l’entrata strepitosa nel circo delle esequie di una delle “vedove” in lutto, identificata in Alla Nazimova (Caron), fu probabilmente di Pola Negri; il comico Fatty Arbuckle (Hootkins) non era quel sadico odioso che risulta nel film. Discutibile fin che si vuole, la scelta di Nureyev è geniale. Con lo stesso titolo esiste un film del 1951 diretto da Lewis Allen con Anthony Dexter protagonista. Una nullità.
La perfida Dalila, respinta da Sansone, si vendica tagliandogli i capelli, fonte della sua forza straordinaria. Indebolito e cieco, l’uomo più forte del mondo fa crollare il tempio con tutti i Filistei. È, forse, il più assurdo e delirante tra i colossi biblici di Hollywood. Ignorarlo sarebbe stolto quasi quanto prenderlo sul serio. La mano del regista è elegante. Notevole il seno di V. Mature, più imponente di quello di H. Lamarr. Oscar per scene e costumi.
Prodotto (con Michael Nozik) e diretto (3ª regia) da Haggis, sceneggiatore emerito che qui ha riscritto (con poche differenze) il film francese Anything for Her ( Pour Elle , 2008) di Fred Cavayé con Vincent Lindon. La vita di John Brennan, docente d’inglese in una scuola media di Pittsburgh, è normale fin quando sua moglie Lara è condannata per omicidio. Soltanto lui crede nella sua innocenza. Lei, disperata, tenta il suicidio. Nonostante le scarse possibilità di riuscita e qualche errore, organizza evasione dal carcere e piano di fuga. Haggis rivela ancora il suo anticonformismo rispetto alle regole dell’ american way of life : gli alleati del protagonista sono un esperto di evasioni e il padre che gli cede una Colt; per nemici ha avvocati, istituzioni e fuorilegge “moderati”, preoccupati per il loro benessere.
Nel 2005 in casa Martin, aristocratici ricchi, arriva in regalo il robot Ndri che la piccola Miss battezza Andrew (da android) e che, per sbaglio di costruzione, rivela caratteristiche umane (sentimenti, creatività, ecc.). In due secoli, sempre nello stesso ambito familiare, si trasforma biologicamente in un essere umano a tutti gli effetti. Quando muore, il suo nuovo statuto gli viene riconosciuto formalmente dalla Corte Mondiale. Da un racconto di Isaac Asimov, poi ampliato nel romanzo The Positronic Man, scritto con Robert Silverberg, adattato da Nicholas Kazan. Storia di una lunga emancipazione da macchina a homo americanus, educato secondo sani principi: famiglia, ordine, lavoro, obbedienza, rettitudine, autodeterminazione, ottimismo, senso pratico, spirito imprenditoriale. C. Columbus la “contamina di effetti melensi, patriottismi mascherati da rivendicazioni sociali, mai portati fino al ridicolo, purtroppo” (Alessandro Bertani). L’insuccesso espressivo ha coinciso con quello di mercato: la sua imbarazzante pedagogia non ha convinto i bambini e non è piaciuta agli adulti.
Na-young e Hang-seo sono fidanzatini alle scuole medie, ma i genitori di Na Young devono trasferirsi da Seoul a New York. Da questa dolorosa separazione trascorrono dodici anni, dopo i quali Na-young, che ora si chiama Nora, e Hang-seo riescono a ritrovarsi e a comunicare via Skype. Di fronte all’impossibilità di incontrarsi nello stesso luogo, Nora sceglie di interrompere la relazione a distanza e concentrarsi sulla propria carriera di scrittrice a New York. Dopo altri dodici anni, Hang-seo vola a New York per vedere Nora.
Arnulfo Rubio è un giovane trafficante d’armi che lavora per un cartello messicano, trasportando ogni genere di arma da fuoco nello scompartimento segreto del suo SUV. Viene notato e pedinato da Hank Harris, agente veterano dell’ATF, che il ragazzo riesce comunque a sottomettere e rapire. Non sapendo cosa fare, decide di consegnarlo al suo cartello, mettendosi in viaggio sulle lunghe 600 miglia che lo separano dalla meta. Durante l’interminabile tragitto, i due non potranno che iniziare a conoscersi.
Hollywood Salome USA, Genere: Drammatico durata 77′ Regia di Erick Ifergan Con Vincent Gallo, Nina Brosh, Seymour Cassel, Eyal Doron, Louise Fletcher, Francis Milton, Gregory Wood, Melissa van der Schyff
Johnny, un predicatore di strada senza un soldo, trascorre il tempo a distribuire opuscoli e a diffondere la parola di Dio. Durante una delle sue giornate, Johnny incontra Sarah, una bella parrucchiera che ha appena perso il lavoro. Per Sarah, è amore a prima vista: segue Johnny fino a casa e cerca inutilmente di sedurlo. Nonostante sia attratto da lei, Johnny la respinge ma Sarah non demorde, continuando a stargli dietro con la speranza di riuscire a fargli cambiare idea.
Dal 1861, anno in cui si costituisce la confederazione degli Stati del Sud ed esplode la Guerra Civile, si creano gruppi di guerriglieri confederati chiamati Bushwhackers, i quali agiscono all’interno del territorio occupato dai Nordisti. Ang Lee segue le vicende di uno di questi nuclei che semina morte e distruzione, ma che progressivamente prende coscienza dell’assurdità di una guerra contro la storia.
Una fotomodella viene trovata uccisa e il giovane tenente che si occupa delle indagini perseguita uno degli amici della ragazza, Steve. Tanto accanimento non è naturale e Steve, rischiando ad ogni passo di finire in prigione, risale all’amicizia che legava l’uccisa al poliziotto. In quel legame sta il filo della matassa.
A Chicago l’avvocato penalista Ann Talbot si trova costretta a difendere in un processo di estradizione il proprio padre Mike Laszlo, naturalizzato americano da oltre quarant’anni, accusato di essere stato un criminale di guerra nella natìa Ungheria.
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