Sette professori ospitano una sciantosa ricercata dalla polizia. Uno s’innamora, ricambiato. Parafrasi sarcastica di Biancaneve e i sette nani, un cocktail ad alta gradazione alcolica di glottologia e gangsterismo con dialoghi ricchi di battute spiritose. Billy Wilder tra gli sceneggiatori. Rifatto dalla stesso Hawks con Venere e il professore (1941).
Il Big Kahuna è il grande colpo, la grande vendita. Tre agenti di una società in crisi cercano di agganciare un possibile ricco cliente. Parlano, parlano, del lavoro, di se stessi, della vita. Un vero “Kammerspiel” (tutto in una, anzi, due stanze). Si aspetta, si aspetta. Per niente. Si salva De Vito, più bravo del “doppio oscar” Spacey, che pure si è costruito il film addosso.
A causa di un trauma psicologico subito in guerra, Ivan (Savage) non riesce a consumare il matrimonio con l’adorata Maria (Kinski). Delusa e irrequieta, Maria cadrà tra le braccia di Clarence (Carradine), vagabondo seduttore da strapazzo, restandone incinta: sarà questo nuovo trauma a sbloccare la sessualità frustrata di Ivan. Film emotivamente ricco e coinvolgente. Nel cast anche un sempre grande Robert Mitchum.
Omero viene creduto contaminato dalle radiazioni in maniera irreversibile e, per rendergli più piacevoli possibile gli ultimi giorni di vita, gli americani fanno a gara. Solo che Steve, il suo medico, ha sbagliato diagnosi e Omero è sanissimo. Alla giornalista che ha riempito pagine con lacrimevoli articoli sulla triste sorte del giovane non è possibile rimangiarsi tutto, perciò la ragazza obbliga Omero a “suicidarsi” gettandosi da un ponte: lui non muore, ma l’opinione pubblica non lo sa e la facciata è salva.
Non esiste dvd in italiano, non ho trovato altre versioni oltre questa in rete
Uno stimato oculista newyorchese, Judah Rosenthal, ha un problema: la sua amante, Dolores, un’attraente hostess, pretende che egli sveli alla moglie Miriam la relazione che ha con lei. Judah non sa decidersi e si consulta con il rabbino Ben, un suo paziente gravemente malato, che gli consiglia di confessare tutto.
Dicembre 1944: in previsione di una nuova, dura ripresa delle ostilità da parte dell’esercito tedesco, gli americani si preparano nelle Ardenne ad affrontare i loro carri armati. Vicenda, ricostruzione storico-politica e indagine psicologica dei personaggi sono secondarie rispetto alla spettacolare grandiosità delle scene di battaglia, girate con grande abbondanza di mezzi.
Film di guerra in costume, di alto costo, imperniato su un cavallo: nato sulle verdi colline del Devon, contea dell’Inghilterra del Sud, comprato all’asta da un contadino, affascinato dalla sua bellezza, è battezzato Joey da un suo figlio adolescente. Nell’imminenza della guerra 1914-18, la povera famiglia lo vende all’esercito britannico. Joey passa da un esercito all’altro, dall’amore di un ragazzo a quello di una bambina, ma rimane l’eroe, mentre i coprotagonisti umani non lasciano segno di sé. Scritto da Richard Curtis e Lee Hall, basato su un romanzo di Michael Morpurgo e una successiva pièce teatrale, il film è prolisso ma non si tira indietro con efficace realismo nelle sequenze di battaglia, una più sanguinosa e fangosa dell’altra, citando alcune immagini epiche di La grande parata (1925) di King Vidor, finché negli ultimi 20 minuti il cavallo si lancia al galoppo contro ogni ostacolo verso la terra di nessuno. Il doppiaggio italiano è inadeguato al plurilinguismo del film e diventa ridicolo nel dare le voci ai tedeschi.
Un piedipiatti dell’Est capita in una cittadina del Kansas sconvolta dalla lotta di due fazioni, vi ristabilisce l’ordine e sposa la figlia del sindaco.
Un western vecchio stile. Lo sceriffo salva il vecchio Pop che sta per essere linciato per un omicidio non commesso. Ha tutti contro, specie gli allevatori. Finale trionfo per i buoni.
Lancelot Edward Forster è un professore di letteratura inglese presso l’università di Cambridge. Ha scoperto per caso un inedito diario di Lord Byron, scritto durante il soggiorno romano del 1817, ed è alle prese con la sua traduzione, di cui ha pubblicato la prima parte su una prestigiosa rivista letteraria inglese. In un passo del diario, Byron ha annotato: «21 aprile 1817, notte, ore 11. Esperienza indimenticabile, luogo meraviglioso, piazza con rudere di tempio romano, chiesa rinascimentale, fontana con delfini, messaggero di pietra, musica celestiale, tenebrose presenze». La pubblicazione del diario attira l’attenzione di George Powell, addetto culturale dell’ambasciata inglese a Roma, che invita Forster a tenere una conferenza presso il British Council in occasione della settimana byroniana. Il professore riceve anche un secondo invito a recarsi nella Città Eterna, da un misterioso pittore, un certo Marco Tagliaferri, che gli invia una fotografia della piazza citata da Byron, che Forster ritiene invece un luogo inventato, sfidandolo a trovarla. Incuriosito dalla coincidenza, Forster si precipita nella capitale italiana.
Durante la Grande Depressione, tre detenuti evasi da un carcere del Midwest cominciano a rapinare piccole banche rurali, emulando le grosse imprese gangsteristiche pubblicizzate dai mass media.Il più giovane dei tre s’innamora della figlia di un agricoltore che lo segue senza fargli domande. Tratto, come La donna del bandito (1949) di N. Ray, da un romanzo di Edward Anderson, ma in chiave di ironia dolceamara più che di disperato romanticismo, offre un quadro poetico e attendibile del banditismo rurale dei primi anni ’30 e rinnova il genere gangsteristico con originalità, in bilico tra critica sociale e lirismo elegiaco. Sceneggiato dal regista con Calder Willingham e Joan Tewksbury.
Un film di John Milius. Con Warren Oates, Richard Dreyfuss, Ben Johnson, John P. Ryan, Michelle PhillipsPoliziesco, durata 96′ min. – USA 1973. MYMONETRO Dillinger valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. La carriera di John Dillinger, specialista di rapine in banca, e la sua lotta con Melvin Purvis, agente dell’FBI implacabile ma cavalleresco. Il duello a distanza si concluse il 22 luglio 1934 a Chicago quando il gangster fu ucciso in una sparatoria. Esordio nella regia di uno sceneggiatore intelligente, è un film senza pietà che rifiuta l’analisi psicologica ed esclude un giudizio morale, con una certa compiaciuta esaltazione del dinamismo della morte violenta.
Nella versione 1080p i subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
10 gennaio 1820. Il giovane nobile californiano don Diego de la Vega abbandona la facoltà di lettere e filosofia dell’università di Madrid e la Spagna per fare ritorno nella terra natia, Los Angeles (all’epoca piccolo pueblo del Vicereame della Nuova Spagna), a seguito delle pressioni del padre, don Alejandro, che vuole fermare la tirannia del nuovo perfido capitano Enrique Sanchez Monastario. Quest’ultimo è un cinico ufficiale spagnolo che maltratta tanto i nobili quanto i soldati e i peones. Inoltre il comandante ha pagato un avvocato corrotto, Licensiado Pigna, per proteggerlo e mascherare il suo governo illecito. Diego ritrova a Los Angeles i suoi vecchi amici: l’anziano don Ignacio Torres, accusato ingiustamente da Monastario, padre Felipe, frate superiore del villaggio, e il paffuto sergente Demetrio Lopez García. Quest’ultimo è l’attendente del malvagio capitano ma, a differenza di Monastario, è uomo buono, che non condivide l’operato del proprio superiore, senza però potervisi neppure opporre.
Gu-nam fa il tassista a Yanji ed è un Joseonjok, ossia un sino-coreano che parla entrambe le lingue, sostanzialmente visto come uno straniero dai primi e come uno schiavo dai secondi. Gu-nam deve infatti ripagare un debito enorme, contratto in seguito all’acquisto di un visto da parte della moglie, tornata in Corea. Approfittando della sua disperazione, il sordido Myun Jung-hak gli propone un modo per riappropriarsi della sua libertà: tornare in Corea per uccidere un uomo. Per Gu-nam si presenta l’occasione duplice di affrancarsi e di ritrovare la moglie.
È il più generoso, empatico e meno realistico dei film di Allen, ma anche il più rischioso, almeno per lo spettatore italiano. Con ironia e autoironia, è giocato a spese dei luoghi comuni su Roma e sugli italiani tanto cari agli americani. Non a caso qualche ottuso recensore li ha presi sul serio, irridendoli. Bisognerebbe vederlo in originale con sottotitoli. Affollato di storie: 4 le principali. Irrealistico? Lo è l’episodio dell’impiegato Benigni che diventa famoso per un giorno o due senza una ragione al mondo. Il che permette all’Allen autore di fare, con surreale leggerezza, la più impietosa e divertente critica della TV italiana mai tentata nel cinema. La bizzarra trovata del cantante sotto la doccia, comunque, rimarrà nella memoria. Un’altra ragione per vederlo è la spagnola Cruz come prostituta di liberatoria sincerità.
Alfie ha lasciato la moglie Helena perchè, colto da improvvisa paura della propria senilità, ha deciso di cambiare vita. Ha iniziato così una relazione (divenuta matrimonio) con una call girl piuttosto vistosa, Charmaine. Helena ha cercato di porre rimedio alla propria improvvisa disperata solitudine cercando prima consiglio da uno psicologo e poi affidandosi completamente alle ‘cure’ di una sedicente maga capace di predire il futuro. La loro figlia Sally intanto deve affrontare un matrimonio che nonfunziona più visto che il marito Roy, dopo aver scritto un romanzo di successo, non è più riuscito ad ottenere un esito che lo soddisfi. Sally ora lavora a stretto contatto con un gallerista, Greg, che comincia a piacerle non solo sul piano professionale…
Estate 1977 a New York: la più torrida del secolo. Mentre nel Bronx un assassino periodico (lo psicotico David Berkowitz che si firma “il figlio di Sam”) fa le sue vittime con una calibro 44 tra donne sole o coppiette appartate, scatenando la paranoia del sospetto e della caccia all’uomo, la calura provoca un blackout che sferra un’ondata di saccheggi per mano di neri e portoricani poveri. È l’estate in cui nel baseball gli Yankees vinsero il campionato ed esplose la disco music. Su questa tela di fondo nella chiusa comunità italoamericana si svolgono le vicende di due giovani coppie, Vinny (il colombiano Leguizamo) e Dionna (Sorvino), Ritchie (Brody) e Ruby (Esposito). Scritto da Victor Colicchio e Michael Imperioli con il regista-produttore, è – come Fa’ la cosa giusta (1989) – un complesso e convulso film corale che ha per temi principali l’intolleranza, la paura aggressiva per i “diversi”, il ruolo dei media nel far lievitare panico e paranoia collettiva (con lo stesso S. Lee che si ritaglia ironicamente una piccola parte di telecronista), la mentalità cattolico-machista degli immigrati italiani. Gronda di sangue, vomito, lacrime, sesso, violenza. E di musica: Talking Heads, Who e quella originale di Terence Blanchard che condiziona il montaggio sincopato e contratto (di Barry Alexander Brown). Nella fotografia di Ellen Kuras s’impastano bene frequenti ricorsi al video. Qualche noia con la censura USA, con la distribuzione che ha chiesto la riduzione e con la comunità italoamericana di New York.
Non è un giallo perché si sa subito chi è il colpevole. Non è un thriller perché manca di azione. È soltanto in parte un dramma giudiziario sebbene la soluzione sia squisitamente legale. Che cosa è allora? Una battaglia di parole e di sguardi tra due maschi – l’autore di un (tentato) uxoricidio e un procuratore distrettuale che rappresenta l’accusa. È un film che fa aspettare anche se lo spettatore un po’ sveglio indovina presto il finale. Quel che conta in un buon criminal film è l’itinerario per raggiungerlo. Scritto e ben dialogato da Daniel Pyne e Glenn Gers, ha soltanto una palese smagliatura, ricucita col filo bianco, nel detective che arriva nella villa del delitto: è lui l’amante della vittima che raccoglie la confessione del colpevole. È improbabile che abbia avuto per mesi un’appassionata relazione con una signora sposata ignorandone nome e indirizzo. E come faceva Crawford a sapere che sarebbe intervenuto proprio lui? Il vero protagonista non è un Hopkins già visto, ma Gosling, giovane attore emergente alle prese con un personaggio complesso. Come il solito, Hoblit dirige con una elegante sicurezza che tracima qua e là nel calligrafico sullo sfondo di una Los Angeles altoborghese.
L’infanzia e la giovinezza di Davide Copperfield, l’orfano dal cuore generoso e sensibile protagonista del libro di Charles Dickens. Ritroviamo nella fedele versione di Cukor tutti i celebri personaggi del romanzo vittoriano: il patrigno malvagio Murdstone, la burbera e adorabile Zia Betty, la fragile moglie-bambina di David, Dora, che muore dopo un breve periodo di matrimonio, e Agnese, la fedele amica e innamorata del protagonista, che gli è sempre stata vicina in tutte le traversie fino a quando David non diventa un famoso scrittore e capisce che è lei la vera compagna della sua vita.
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