Ally fa la cameriera di giorno e si esibisce come cantante il venerdì sera, durante l’appuntamento en travesti del pub locale. È lì che incontra per la prima volta Jackson Maine, star del rock, di passaggio per un rifornimento di gin. E siccome nella vita di Jack un super alcolico tira l’altro, dalla più giovane età, i due proseguono insieme la serata e Ally si ritrova a prendere a pugni un uomo grande il doppio di lei, reo di essersi comportato da fan molesto. Il resto della storia la conosciamo: la favola di lei comincia quando lui la invita sul palco, rivelando il suo talento al mondo, poi sarà con le sue mani che scalerà le classifiche, mentre la carriera e la tenuta fisica e psicologica di lui rotolano nella direzione opposta, seguendo una china oramai inarrestabile.
Un’aspirante attrice, Esther Blodgett (Janet Gaynor), lascia la provincia per Hollywood in cerca di successo nel mondo dello spettacolo, e finisce per incontrare casualmente il famoso attore Norman Maine (Fredric March). Questi, dopo averla sposata, userà tutta la sua influenza per aiutarla a realizzare il suo sogno di diventare una “stella”. Mentre la popolarità della moglie, che ha assunto lo pseudonimo di Vicky Lester, sale vertiginosamente, Maine vede la sua fama diminuire velocemente e per questo, dopo aver cercato inutilmente rifugio nell’alcol, finisce con il suicidarsi, devastato dal successo della donna amata, a cui pur così tanto aveva contribuito. Uno dei melodrammi più celebri sullo Star System hollywoodiano, ispirato a un film del 1932 di George Cukor, che sfrutta al meglio le possibilità offerte dal Technicolor e l’alchimia della coppia Janet Gaynor-Fredric March. Vincitore di 2 Oscar, per il soggetto originale e per la fotografia, del film di Wellman sono state realizzate altre due versioni, da George Cukor nel 1954 e da Frank Pierson nel 1976.
Versione in chiave musicale del film precedente riscritta da Moss Hart. 1° film a colori e in Cinemascope di Cukor, e uno dei suoi più costosi (4 milioni e mezzo di dollari, cifra altissima per l’epoca). 1° personaggio drammatico per J. Garland dopo 4 anni di assenza _ professionalmente out _ che rivela eccezionali doti di attrice, cantante, mima, ballerina. Una stella muore, un’altra nasce: viva il cinema! Apoteosi dello star system: “Il film rivela cosa c’è dietro” (E. Comuzio). Tagliato dalla Warner (anche se Sidney Luft, il produttore principale, era il 3° marito della Garland) e sottovalutato dalla critica del tempo, è un film straordinario a vari livelli tra cui, oltre a quello musicale, quello figurativo.
È la nota storia della bellissima spia e ballerina, che durante la prima guerra mondiale si innamorò, ricambiata, di un pilota russo, e per amor suo uccise e venne condannata a morte.
Alcune parti non presenti nella versione italiana sono in inglese ma il film è in Italiano per la maggior parte
I mostri (The Munsters) è una situation comedy brillante con elementi horror prodotta negli Stati Uniti e andata in onda per la prima volta dal 24 settembre 1964 sul network statunitense CBS
I protagonisti della serie televisiva sono una famiglia di mostri che vive in un sinistro maniero come una qualsiasi famiglia americana. I membri di questa bizzarra famiglia sono il padre Herman, una sorta di mostro di Frankenstein che fa sentire la sua forza così come impone l’ordine nella casa; la madre Lily, una specie di vampira ricalcata sul modello della famosa Bride of Frankenstein; il nonno, un vampiro vestito nella “classica” tenuta resa famosa da Bela Lugosi; il figlio Eddie Wolfgang, lupo mannaro, e la nipote Marilyn, l’unica ragazza “normale” della famiglia in tutti i sensi.
Sommergibile nucleare USA parte in soccorso di una stazione meteorologica britannica al Polo Nord. Ma la missione è un’altra. Sono in lizza anche i sovietici. Tratto da un romanzo di Alistair MacLean, è un bellico-avventuroso di tempo di pace dove contano le parole più dei fatti e abbondano gli stereotipi della guerra fredda. Cast tutto maschile, molti mezzi, paesaggi suggestivi.
Pimpante vecchietta dal passato amoroso burrascoso va alla ricerca del solo uomo che ha veramente amato e si trascina dietro un pacifico nipote. Film di strenua eleganza, interpretato da una Smith superlativa, che restituisce soltanto in parte, ma con sapienti spostamenti, il fascino e l’arguzia del romanzo omonimo (1969) di Graham Greene. “Calibrato, delicato, spiritoso, con una lievità cui non si era più abituati, e in un’aura che è tutto fuorché greeniana” (G. Fofi). Ha una qualità innegabile: la simpatia.
Dal romanzo The Executioners (1958) di John D. MacDonald. Dopo 14 anni di carcere uno stupratore terrorizza a fuoco lento la famiglia del suo avvocato difensore. 1° film di genere e 1° remake di Scorsese, da Il promontorio della paura (1962). Il suo fascino perverso nasce dal fatto che, nonostante tutto, si è portati a provare simpatia per il criminale più che per la vittima, moralmente spregevole quanto lui, almeno fin quando verso il finale la violenza, prima latente, esplode con isterica e magniloquente frenesia. Sapiente costruzione drammatica nell’alternarsi di tempi forti e deboli, ottima squadra di attori, notevoli contributi di F. Francis (fotografia), E. Bernstein (che ha arrangiato la partitura originale di B. Herrmann), Saul e Elaine Bass (titoli di testa). Brevi apparizioni di Robert Mitchum, Gregory Peck, Martin Balsam, interpreti del film precedente
Holly Springs. Stato del Mississippi. L’anziana Cookie vuole raggiungere il coniuge che è morto e le manca molto. Decide quindi di suicidarsi senza clamore. Le nipoti scoprono il cadavere e la più decisionista delle due stabilisce che deve essersi trattato di omicidio. Un suicidio sarebbe un evento sconveniente. Viene così messa in scena una finta aggressione che però scarica i sospetti sull’anziano Willis, grande pescatore e grande amico della vecchietta. Sarà la bisnipote, anticonformista quanto basta, a rimettere le cose a posto. Sembra un Altman svagato e rilassato quello dietro la macchina da presa di questo film. Una prima visione può confermare questa ipotesi ma, se si guarda un po’ più a fondo, ci si accorge che sotto il velluto del guanto sta il solito pugno di ferro. Questa volta si diverte a raccontare una provincia sonnacchiosa, ma sempre pronta a “recitare”, sia che si tratti della “ Salomè ” di Wilde (scelta come rappresentazione “pasquale” dalla comunità di fedeli locale) sia che di mezzo ci vada la vita di un innocente. Si tratta di un tema scontato ma Altman sa come gestire alla grande un trio di attrici che vanno dalla sulfurea Close alla svaporata Moore passando per una Tyler che, per una volta, dimentica di essere bella per mostrare solo che è brava.
Per cinque mesi in una stazione spaziale, tre astronauti non possono rientrare per un guasto meccanico. A Houston trepidano. Oscar per gli effetti speciali. L’assunto è nobile, ma lo svolgimento è convenzionale con una suspense troppo giocata sullo strazio dei sentimenti.
A New York un miliardario di origine francese s’innamora di una ballerina del Greenwich Village ma, per essere certo di essere amato per sé stesso e non per i soldi, si fa passare per un attore in bolletta. Più commedia con canzoni che musical, soffre di un fiacco copione di Norman Krasna che propone una storia risaputa senza rinverdirla. Cukor è a suo agio nella rappresentazione del mondo dello spettacolo, ma sono pochi i momenti felici. Persino la Monroe è più opaca del solito e si riscatta soltanto cantando “My Heart Belongs to Daddy” di Cole Porter. Debolucci anche i numeri musicali con le coreografie di Jack Cole.
1633. Due giovani gesuiti, Padre Rodrigues e Padre Garupe, rifiutano di credere alla notizia che il loro maestro spirituale, Padre Ferreira, partito per il Giappone con la missione di convertirne gli abitanti al cristianesimo, abbia commesso apostasia, ovvero abbia rinnegato la propria fede abbandonandola in modo definitivo. I due decidono dunque di partire per l’Estremo Oriente, pur sapendo che in Giappone i cristiani sono ferocemente perseguitati e chiunque possieda anche solo un simbolo della fede di importazione viene sottoposto alle più crudeli torture. Una volta arrivati troveranno come improbabile guida il contadino Kichijiro, un ubriacone che ha ripetutamente tradito i cristiani, pur avendo abbracciato il loro credo.
Da un romanzo di Hank Searls. Per battere i sovietici nella corsa alla luna, gli americani lanciano una capsula, guidata da un pilota civile allenato in tempi stretti da un colonnello suo amico. Più che di fantascienza, è un buddy-buddy film , cioè la storia di un’amicizia maschile messa alla prova dai politici. Pur manipolato dai boss della Warner, è un interessante e ingegnoso esempio di contaminazione tra fiction e documentario.
La storia infrangibile della Signora delle camelie (1848) di Alexandre Dumas figlio: cortigiana si innamora di un bel giovane ricco che la ama, rinuncia a lui con la morte nel cuore e muore di tisi tra le sue braccia. È, forse, la più grande interpretazione della Garbo, in perfetto equilibrio tra cuore e cervello. Fredda, ma, sotto, ribelle. Incandescente, ma controllata. Superba capacità di trarre il massimo dal minimo, ma non va trascurata l’eleganza geniale del regista. La Garbo ebbe una nomination all’Oscar che fu vinto da Louise Rainer per Il paradiso delle fanciulle .
Vita di Carlo e di una famiglia della media borghesia romana dal 1906 al 1986, da una foto di gruppo con nipotini all’altra. Molti gli avvenimenti: l’avvicendarsi delle generazioni, battesimi, nozze, lutti, bisticci, conflitti, pranzi, compromessi. Nell’itinerario di Scola, che l’ha scritto con Furio Scarpelli e Ruggero Maccari, appare come un punto d’arrivo, un compendio: è un film sul tempo che passa e cambia le persone, levigando conflitti, sentimenti, passioni come i sassi di mare. Un film di attori, una bella prova di professionismo e maestria narrativa, di sintesi all’insegna dell’armonia, fondato su uno sguardo disincantato e saggio di chi, raggiunta la maturità, ha saputo migliorare e chiarificare il vino della giovinezza.
Una ragazza scopre che suo cognato, con altri membri del Ku Klux Klan, è uno degli autori di un omicidio, ma non lo denuncia. Gli uomini della setta la processano e la condannano ma la polizia arriva a salvarla. Uno dei 53 film dell’ex presidente USA e tra i migliori. Democratico, antirazzista, un po’ melodrammatico. Tra gli sceneggiatori c’è Richard Brooks. Bravi soprattutto G. Rogers e R. Reagan che dà il meglio di sé come affiliato del KKK.
Tom è un medico americano di successo, che passa la sua terza età tra lo studio dove lavora e il campo da golf, dove si distrae con i colleghi. Qui un giorno viene raggiunto dalla notizia che suo figlio Daniel, quarantenne, è rimasto ucciso da un temporale sui Pirenei. Giunto in Europa per recuperare le spoglie del figlio, Tom scopre che Daniel aveva intrapreso il Cammino di Santiago de Compostela, un sentiero di 800 chilometri tra Francia e Spagna che i pellegrini percorrono a piedi, tappa dopo tappa, mossi da motivazioni personali anche molto diverse fra loro. Con la scatola delle ceneri nello zaino, Tom decide di camminare al posto di Daniel e di portare a termine il suo viaggio. Lungo la via, l’incontro con tre inattesi compagni di strada lo strapperà alla solitudine e lo costringerà all’esperienza, perché “la vita non si sceglie, si vive”.
Tom è un oftalmologo e come tale si occupa dello specchio dell’anima, gli occhi. Ma ci sono cose che sfuggono all’evidenza e trovarne il senso, l’anima, richiede un percorso più lungo e faticoso, senza l’ausilio di macchine. Il film di Emilio Estevez, che vede protagonista assoluto suo padre Martin Sheen, sulla carta sembrava possedere l’evidenza del trattatello in laude del viaggio spirituale, per il quale restava solo da capire se il pragmatismo americano avrebbe spinto verso l’avventura scoutistica o se invece a primeggiare sarebbe stata la formula contemplativa, con o senza temutissima voice over filosofeggiante. Niente di tutto questo o, forse, questo è molto altro: il film in ogni caso va oltre le ipotesi pregiudiziali e ci offre tanto di più lavorando tuttavia di sottrazione. Pur essendo scritto dalla prima scena all’ultima (ed è una scrittura che si fa sentire, l’aspetto più fragile e rischioso dell’impresa), si respira ugualmente una freschezza da documentario, al punto che, come avviene solo per i film più coinvolgenti e appassionanti, si ha l’impressione che da qualche parte debba esistere un girato molto più esteso, sul quale il regista ha operato una spietata selezione. Merito della recitazione intensa e naturalissima di Martin Sheen, che fa rimpiangere il tempo trascorso dal suo ultimo ruolo di altrettanta importanza, ma soprattutto del voto di sobrietà a cui si è sottoposta la regia. Nessuna ricerca esasperata del metafisico, nel testo, e nessuna ricerca sognante o poetica nell’immagine: Estevez sta bene attento a non fare cartoline, nemmeno dei paesaggi più belli; la fotografia si direbbe quasi dimessa e corrisponde al punto di vista di chi sperimenta la fatica ben più della beatitudine estetica. Come il cammino per il protagonista, il film non fa miracoli e non nasconde le sue debolezze, ma è una visione che merita e commuove, anche grazie alla compagnia di un inglese di nome James Nesbitt, della canadese Deborah Kara Unger e di un pittoresco olandese (Yorik Van Wageningen).
Un film di John Cassavetes. Con Seymour Cassel, Ben Gazzara Titolo originale The Killing of a Chinese Bookie. Drammatico, durata 113′ min. – USA 1976. MYMONETRO Assassinio di un allibratore cinese valutazione media: 3,43 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Cosmo Vitelli, proprietario di un locale di spogliarelli in forte debito con una banda mafiosa, è costretto a commettere un omicidio nel torbido quartiere di Chinatown. È con Gloria (1980), uno dei due gangster movie di J. Cassavetes, regista che contraddice le regole del genere a 3 livelli: l’improvvisazione del linguaggio; la peculiare direzione degli attori (un ottimo B. Gazzara); i temi complementari che gli sono cari: la chiusura e la tirannia della famiglia, intesa anche in senso criminale. È il più involuto e originale dei due, insolito per il taglio della short story, lo stile sincopato, il frastuono del traffico che lo assilla da cima a fondo in una giostra di morte: un’intuizione straordinaria, la definizione acustica dell’inferno. In Italia distribuito in un’edizione colpevolmente ridotta a 85′.
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