Siamo in Ucraina nel 1930. Pericoloso tentativo di formare un kolchoz per alcuni giovani contadini, al fine di poter utilizzare dei macchinari più moderni. Infatti i kulak cercano di impedirlo e il figlio di Belokhov uccide Vasil che è tra i più attivi. Tuttavia alla fine giustizia sarà fatta in una lotta sanguinosa. Uno dei film della rivoluzione cinematografica russa.
Il contadino Ivan lascia il podere per partecipare alla costruzione di una diga sul fiume Dnieper. In principio ha delle difficoltà, ma poi si ambienta a contatto con gli operai e diventa un buon compagno.
Romano è un uomo che, dopo aver mentito una volta, non può più fermarsi. Quando gli arriva l’occasione in cui la felicità dipende solo dalla sua capacità di aver fiducia nel prossimo, non può farlo e la felicità gli sfugge. È una commedia divertente ma anche commovente, malinconica, ironica. Come dev’essere Čechov. Ammirevole per varietà di toni, ricchezza di invenzioni, direzione di attori. È l’ultimo film della Mangano. Squisita. Premio a Cannes per Mastroianni. Scritto dal regista con Alexander Adabascian (anche scenografo) e S. Cecchi D’Amico.
Un film di Sergei Komarov. Con Igor Ilinsky, Anel Sudakevich, Mary Pickford, Douglas Fairbanks, Vera Malinovskaya, Nikolai Rogozhin, M. Rosenstein, Abram Room, M. Rosenberg, N. Sisova, Y. Lenz, A. Glinsky Muto, durata 68′ min. – URSS 1926.
Nel 1926, un mese dopo la prima di Sparrows (Passerotti), Mary Pickford e Douglas Fairbanks partirono per una vacanza europea e il 20 di luglio arrivarono a Mosca. A Yartsevo, a 330 verste di distanza dalla loro destinazione, il treno si fermò per consentire una conferenza stampa. Dal momento del loro arrivo, furono costantemente assediati da grandi folle adoranti. Le illazioni secondo cui c’era stato un fallimentare tentativo ufficiale di imporre il silenzio stampa sulla visita paiono destituite di fondamento. In realtà, sulla scia della nuova politica economica dell’URSS, in quel periodo il turismo veniva attivamente incoraggiato. Doug e Mary si rivelarono i turisti occidentali ideali, e come tali furono pubblicizzati. I due firmarono un autografo che diceva: “Siamo incantati dalla cordiale accoglienza che ci è stata riservata e affascinati dall’entusiasmo dei Russi – davvero un grande popolo.” Si dichiararono entusiasti del recente meraviglioso film sovietico Bronenosec Potëmkin (La corazzata Potëmkin), ed espressero agli intervistatori tutta la loro ammirazione per Lenin, aggiungendo anche che il loro più grande desiderio era quello di incontrare Trotsky. Naturalmente furono invitati a visitare gli stabilimenti cinematografici Mezhrabpom-Rus. In quel periodo, quasi certamente, vi si stava ancora girando Miss Mend, cosa che spiegherebbe la presenza nello studio di Sergei Komarov e di Igor Ilinsky, entrambi interpreti di primo piano del film di Ozep (completato e distribuito in tre parti nell’ottobre del 1926). Komarov e Ilinsky colsero al volo l’occasione offerta dalla solenne visita delle due star americane. Leggenda vuole che Komarov si sia fatto passare per il cameraman di un cinegiornale, il che può anche darsi, pur se, in ogni caso, non sarebbe stato affatto difficile organizzare le riprese del cruciale evento del bacio concesso a Ilinsky da Mary Pickford. Igor Ilinsky, (1901-1987) aveva raggiunto in poco tempo le vette della popolarità col personaggio di Petya Petelkin, il vincitore della lotteria protagonista della commedia Zakroishchik iz Torzhka (Il sarto di Torzok, 1925) di Yakov Protazanov, e probabilmente sarebbe stato comunque presentato, come giovane astro in ascesa, a Mary Pickford, pertanto non era sicuramente difficile organizzare un bacio e una ripresa dello stesso da usare a fini pubblicitari.
Nel corso dell’anno seguente, Komarov e il suo co-sceneggiatore Vadim Shershenevich progettarono di scrivere una storia che ruotasse attorno a quel bacio e alle immagini di folla adorante colte per le strade di Mosca.La trama che ne uscì vedeva Ilinsky nel ruolo di Goga Palkin, lo strappa-biglietti di una sala cinematografica. Goga è innamorato di Dusia, che però sogna solo i divi del cinema e gli dice che lo amerà soltanto a condizione che diventi famoso. Recatosi nello stabilimento cinematografico, dopo una lunga serie di avventure, Goga partecipa come stuntman a una scena in cui deve pendere come un impiccato dal soffitto dello studio. Sennonché, nello scompiglio provocato dall’arrivo di Doug e Mary, tutti quanti abbandonano precipitosamente il set dimenticandosi di lui. Quando i visitatori raggiungono infine il teatro, lo scorgono appeso sopra di loro: Mary stabilisce che Goga è il novello Harry Piel e lo premia con un bacio. Ora che Goga è finalmente famoso, Dusia gli concede la sua mano. La pungente ironia nel descrivere lo stile hollywoodiano e le follie degli ammiratori adoranti è resa più leggera da una benevola invidia. Goga è il tipo di personaggio maldestro che dette grande popolarità a Ilinsky. Dapprima attore di teatro, Ilinsky lavorò dal 1920 al 1934 con Vsevolod Meyerhold. Le sue discontinue apparizioni sullo schermo iniziarono sotto ottimi auspici con Aelita (id. 1924) e in seguito inclusero Kukla s millionami (La bambola milionaria, 1928), l’unico altro film diretto da Komarov, e Volga-Volga (1938) di Grigori Alexandrov. Sergei Komarov (1891-1957) fu tra gli attori preferiti di Kuleshov, Pudovkin e Barnet, sotto la direzione dell’uno o l’altro dei quali girò la maggior parte dei suoi film fino alla metà degli anni ’40. Potselui Meri Pickford uscì nelle sale il 9 settembre del 1927. I titoli russi alternativi si possono tradurre con “Il re dello schermo” (Korol ekrana) e “La storia di come Douglas Fairbanks e Igor Ilinsky litigarono per Mary Pickford” (Povest o tom, kak possorilis Dooglas Ferbenks c Igorem Ilinskim iz-za Meri Pikford). Un altro tributo ironico a Fairbanks uscì nelle sale in concomitanza con la sua visita: “Il ladro, ma non di Bagdad” (Vor, no ne Bagdadskii), una comica di un rullo su un bambino di una delle repubbliche orientali che entra in possesso di un mantello dell’invisibilità. Realizzato per il consorzio statale dei tabacchi – Lentabaktresta – al fine di promuovere la vendita delle sigarette, il film era stato scritto da Alexander Rodchenko, che ne aveva curato anche scene e costumi, e fu diretto da V. Weinberg ma, purtroppo, non ne è rimasta traccia.
Febbraio 1815: di ritorno dall’Elba, Napoleone ringalluzzito ricompatta l’esercito e marcia verso Bruxelles. Nella piana di Waterloo l’esercito inglese aspetta e quello tedesco sta arrivando. La 2ª metà del film è tutta dedicata alla battaglia, forse la più lunga nella storia del cinema: grande spettacolo, puntiglio di ricostruzione e qualche momento epico. Più inamidata e convenzionale senza remissione la 1ª ora dove l’accademico pompierismo di Bondarčuk si svela con tutto il suo peso. Steiger come Napoleone è perfettamente bondarčukiano. Produce Dino De Laurentiis con Columbia e Mosfilm. Fotografia di Armando Nannuzzi e musiche di Nino Rota. L’edizione sovietica dura 4 ore. Quella italiana è stata in seguito ridotta a 123 minuti.
Matiora ha le sue tradizioni. È un villaggio radicato nel culto della natura e nel lavoro di pastorizia e allevamento, che vive e sopravvive seguendo i cicli del grano e quelli domestici. Antichissimo tanto quanto un grande albero che sorge ai confini dei campi e isolato dal resto del mondo proprio perché sorge su un’isola di un lago siberiano che ha lo stesso nome di quella piccola comunità. Ma tutto questo sta per scomparire quando il paese è minacciato da un appalto che vuole inabissare l’isola e trasformare il bacino naturale in una diga artificiale per l’energia idroelettrica… e Darya, una delle donne più vecchie dell’isola, vede il suo vecchio e antico mondo, quello dei suoi genitori, sfuggirle di fronte agli occhi, ormai incapaci di dire addio a Matiora. Concepito e preparato dalla regista Larisa Sepitko (che non riuscì mai a vederlo ultimato perché morì in un grave incidente automobilistico assieme al direttore della fotografia e allo scenografo, proprio il primo giorno di riprese nel 1979), questo film fu diretto da suo marito, Elim Klimov, con l’ausilio nella sceneggiatura di suo fratello, German Klimov. Tratta dal romanzo breve dello scrittore Valentin Rasputin “Addio a Matjora” – anche conosciuto come “Il villaggio sommerso” -, la pellicola è considerata dalla critica cinematografica e storica dell’Urss come una delle opere chiave del cinema della Glasnost (vale a dire di quella serie di riforme e ideologie che mirarono a ripulire l’Unione Sovietica da favoritismi e privilegi della classe politica) e affonda le sue radici nel profondo scontro fra nuovo e vecchio mondo, portandone alla luce contraddizioni, ipocrisie e sfruttamenti. Molto lontana dall’ottica italiana, questo è certo, ma se ci si sforza un po’ con l’immaginazione è una storia che potrebbe essere benissimo trasportata in America o nella nostra patria. Amaro, esattamente come gli addii.
In una Russia messa a ferro e fuoco dalle invasioni asiatiche e sconvolta dalle lotte di potere tra piccoli potentati, il monaco Rublëv (1360 ca.-1430), pittore di icone, passa attraverso 9 capitoli (Il volo, Il buffone, Teofane il Greco, La passione secondo Andrej, La festa, Il giudizio universale, La scorreria, Il silenzio, La campana) che compongono un vasto affresco del Medioevo russo. Nel 1° è assente, in altri fa da spettatore o “passeggero”, nell’ultimo _ una delle più alte pagine filmiche di epica del lavoro umano _ è in disparte, testimone silenzioso. È uno dei grandi film degli anni ’60 (completato nel 1967, presentato a Cannes nel 1969, distribuito in URSS nel 1972 e in Italia nel 1975) il capolavoro di Tarkovskij è il più maturo risultato, in campo cinematografico, della cultura del dissenso nell’URSS. Epilogo a colori, 10 minuti di documentario sulla pittura di Rublëv: l’autore scompare, rimane l’opera.
Un film di Vsevolod Pudovkin. Con Aleksandr Cistjakov, Vera Baranowskaja, Sergej Komarov, Vsevolod Pudovkin Titolo originale Konec Sankt-Peterburga. Drammatico, durata 91′ min. – URSS 1927. MYMONETRO La fine di San Pietroburgo valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Nel 1914 a San Pietroburgo un giovane contadino sprovveduto, assunto in fabbrica, denuncia gli organizzatori di uno sciopero, si pente, si rivolta, finisce in carcere da dove lo spediscono al fronte. Nell’ottobre del 1917 partecipa all’assalto del Palazzo d’Inverno. I due temi centrali _ la presa di coscienza rivoluzionaria del protagonista, la trasformazione di Pietroburgo in Leningrado _ non sono bene amalgamati: il primo è sacrificato al secondo. Resta efficace, comunque, grazie alla forza del montaggio, la dialettica tra i motivi collettivi: i movimenti della Borsa, l’attività delle fabbriche di munizioni, la guerra al fronte, la volontà rivoluzionaria. Pur con qualche schematismo nelle trovate simboliche è innegabile l’afflato epico-lirico che gli storici del cinema hanno collocato al centro di una trilogia sulla presa di coscienza del proletariato russo, tra La madre (1926) e Il discendente di Gengis Khan (1928).
La qualità video, vista anche l’età della pellicola, non è granchè purtroppo.
Nella Georgia feudale, vicino a Tbilisi, le fondamenta della fortezza di Suram crollano: occorre, come suggerisce un’indovina, che un bel giovane si faccia murare vivo, fondendosi con la calce e la sabbia, le uova e le lacrime. Ispirato a un’antica leggenda, è il penultimo film, diretto dopo 15 travagliati anni di inattività (almeno 3 in carcere e diversi processi), di Parad82 anov, georgiano di origini armene. Anche qui fa un cinema antinarrativo dove mescola, in originale fusione alchemica, pittura, danza, pantomima, teatro, animali, frutti, oggetti simbolici. Visionario e rarefatto, ermetico e allegorico, incline al manierismo, ma con molti momenti e immagini di solenne bellezza.
Dopo 18 anni di assenza Ilin (Ljubšin), camionista che si spaccia per un importante ingegnere, torna a Mosca alla fine degli anni ’50 e passa cinque serate nell’appartamento collettivo di Tamara (Gur&9 enko) con cui vorrebbe ricominciare una nuova vita. “Se soltanto non ci fosse stata la guerra!” è il refrain di un dolente e denso film – tratto dal testo teatrale (1959) di Aleksandr M. Volodin – uno dei migliori di N. Michalkov, figlio dello scrittore Sergej Michalkov e della poetessa Natalija Konçaloskaja, fratello cadetto del regista Andrej Michalkov-Kon&9 alovskij. “È il più alto esempio di scrittura registica delle ultime stagioni sovietiche… una mise en scène d’autore, che spiazza completamente il privilegio di Volodin-sceneggiatore. La drammaturgia è bruciata nella regia…” (G. Buttafava). L’attore A. Adabas’jan ha collaborato alla sceneggiatura e curato la scenografia.
Abakir, maturo contadino-operaio di un kolkoz (così si chiamano le fattorie russe) non vede di buon occhio la venuta del nuovo arrivato, un giovane ragazzino senza troppi muscoli, ma con molto cervello e tanti ideali in testa, che ha appena preso la maturità e non vede l’ora di darsi da fare per migliorare il suo paese. Ma tutte le buone intenzioni del ragazzo sono inutili e vengono stroncate immediatamente da quel muro di gomma che si erge fra lui e Abakir che, all’interno della fattoria, pur non occupando gerarchicamente il posto più elevato, è comunque riconosciuto come uno dei più prestigiosi trattoristi dell’intera Russia. Lo scontro, sempre acceso fra i due, metterà in serio pericolo l’equilibrio dell’intero gruppo. Dirige ottimamente una venticinquenne Larisa Sepitko alla sua prima prova come regista di un lungometraggio (questo film fu la sua prova d’esame per il diploma alla Scuola di Cinema VDIK) ispirato, fra l’altro, a un racconto di Cingiz Ajtmatov. Metafora del braccio di ferro fra l’autoritarismo dello Stalinismo e le libere ideologie, questa pellicola ben spiega le dinamiche contrastanti sociali e politiche che cozzavano nell’Unione Sovietica degli anni Sessanta. Alla recitazione, una nomea particolare va al regista di origine mongola (così come tutto il resto del cast) Bolotbek Shamshiyev che si è prestato per la Sepitko nei panni del tirannico e prepotente Abakir, quasi un dispotico re Creonte rubato all’Antigone tragica di Sofocle. Bellissimi i paesaggi, aridi e desertici, vere e proprie steppe battute dal vento, amare come le vite dei personaggi che vi vivono.
Dal romanzo Sotnikov di Vasilij Bykov. Fra i film realizzati da donne è uno dei più inquietanti (la regista è morta purtroppo in un incidente lasciando solo tre film). Parabola cristiana sulla redenzione vissuta da due partigiani sovietici nella prima guerra mondiale: uno si mette al servizio dei tedeschi, nel momento in cui il suo compagno, più fragile e debole, viene da loro impiccato. Il bianco e nero dei paesi innevati dell’Ucraina, l’umidità che trasuda nelle cantine delle prigioni sono utilizzate al massimo di intensità drammatica, calando il film in un clima dostoevskiano di insostenibile violenza. La Šepit’ko ha dichiarato: “Bisogna ricordare che in ciascuno di noi vivono entrambi i personaggi: tutta la nostra vita è il miscuglio di queste due essenze, il bene e il male, e con questo siamo tornati a Dostoevskij”.
Ritratto di Ghia Agladze, giovane suonatore di timpani, individualista incorreggibile, pigro, facile a promesse che non mantiene, gentile ficcanaso, compagnone e sottaniere accanito, allergico a ogni scelta che impegni l’avvenire. È, insomma, uno che gira a vuoto. Film georgiano che ha il merito di essere modellato non soltanto sul comportamento, ma sul ritmo del suo personaggio (parzialmente autobiografico), seguito dalla cinepresa nei suoi andirivieni con una disinvolta scioltezza che diventa spesso sapienza di osservazione. Edizione originale con sottotitoli.
Al tempo della vendemmia, in Georgia, due ragazzi appena usciti dall’istituto vinicolo, Otar e Nico, vanno a lavorare nella cooopertiva agricola. Lì entreranno in contatto con gli operai e avranno le prime esperienze con le donne, in particolare con Marina. Dalle vicende personali, sentimentali e professionali, scaturisce una pungente satira della burocrazia sovietica.
Fiore introvabile (Sapovnela) di Otar Iosseliani – URSS 1959 con Mikhail Mamulashvili
Il secondo cortometraggio di Iosseliani è un documentario sulla natura con il quale il regista georgiano sperimenta per la prima volta con il colore, il montaggio e la musica. Accompagnate da una serie di canti popolari, ci vengono mostrate le immagini di numerosi e variopinti fiori, da quelli più umili che crescono nei prati e sui pascoli in montagna, a quelli più eleganti ed elaborati che vengono coltivati nelle serre.
Un film di Andrei Tarkovsky. Con Nikolaj Grinko, Kolia Buriliaev, Valentin Zubkov Titolo originale Ivanovo detstvo. Guerra, Ratings: Kids+16, b/n durata 95 min. – URSS 1962. MYMONETRO L’infanzia di Ivan valutazione media: 3,50 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Ivan è un ragazzino che ha visto i genitori uccisi dai tedeschi. La guerra gli porta via l’infanzia. Decide di battersi anche lui contro i nazisti, attraversando ogni notte un fiume e tornando alle linee russe con preziose informazioni.
Un film di Mikhail Kalatozov. Con Tatiana Samojlova, Alexei Balatov, Vassili Mercuriev, Aleksandr Shvorin Titolo originale Letjat Zuravli. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 97′ min. – URSS 1957. MYMONETRO Quando volano le cicogne valutazione media: 3,75 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Mosca 1941, subito dopo l’attacco tedesco. Boris (Balatov) e Vernoka (Samojlova), innamorati, si separano. Lui si arruola volontario e muore al fronte senza che la sua famiglia sia informata. Lei cede alla corte di suo fratello Mark (Svorin) e lo sposa senza amarlo. Tratto dalla commedia Eternamente vivi di Viktor Rozov, da lui stesso adattata, è forse il film più romantico mai uscito dall’Unione Sovietica. Suscitò grande interesse come un frutto del “disgelo” kruscioviano perché vi si mostravano imboscati e borsaneristi. Colpirono la rappresentazione dell’amore come un assoluto; la presenza dell’ardente Samoilova, l’unica attrice russa che ebbe una diffusa seppur effimera popolarità in Occidente; la raffinata tecnica di M. Kalatozov e del suo operatore Sergej Urusevskij, spinta sino a un delirante virtuosismo, ma che, contrapposta al greve accademismo del realismo socialista, sembrò il segno di un rinnovamento anche stilistico. Nel film volano le gru _ è un annuncio di primavera _ non le cicogne. I nostri ignoranti distributori ricalcarono il titolo adottato in Francia dove in gergo le gru indicano le femmine che offrono sesso mercenario. Palma d’oro a Cannes 1958 e successo internazionale.
Tre ragazze che hanno lasciato la campagna da vent’anni per cercare fortuna a Mosca affrontano il bilancio della propria vita: l’amore, la carriera, i figli, tra speranze, successi e delusioni. Piacevole sorpresa della cinematografia sovietica, il film fa leva su situazioni universali, immerse in una realtà moscovita qui coraggiosamente trattata in modo non sempre conforme alle censure generalmente imposte dal regime.
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