La storia di una donna disorientata, fragile, schiacciata dai problemi della vita quotidiana: dopo che i suoi beni sono stati sequestrati e il suo negozio di cosmetici chiuso, il futuro dei suoi due figli è incerto. La vitalità dei bambini contrasta con l’apatia della madre, che scivola lentamente nella depressione. Ma la vita scorre e le cose cambiano.
Raccontare il degrado di una bidonville può essere impresa ardua al cinema, si rischia di scadere nel pietistico, o di edulcorare una realtà che fa – e deve fare – orrore. La pellicola di Pablo Trapero – dedicata ed ispirata da Padre Mugica, ucciso in circostanze misteriose a Buenos Aires negli Anni Settanta – scansa abilmente le facili trappole rimanendo lucido e distaccato quanto basta
Rubén, uomo solitario, indurito dalla vita, trasporta col camion legname tra il Paraguay e l’Argentina. Un giorno, per ordine del suo capo, dà un passaggio a Jacinta, una giovane donna con una bimba di pochi mesi. Fin dall’inizio il rapporto tra i due è teso, le parole sono centellinate. Jacinta, che dichiara anche alla polizia di andare in visita ai parenti, in realtà vuol trovare un lavoro e rimanere laggiù. Rubén vorrebbe liberarsi di lei, ma la cosa non si rivela facile, così proseguono fino a quando, finalmente, arrivano a Buenos Aires, a casa dei parenti di Jacinta che accolgono festosamente lei e la bimba. Opera prima di Giorgelli, vincitore della Caméra d’Or a Cannes nel 2011, è un film delicato ma prezioso, fatto di prolungati silenzi che parlano e raccontano i protagonisti meglio di molte parole, e un po’ alla volta si insinuano prima la curiosità e poi il piacere nel seguire una storia magnificamente semplice raccontata con grande sensibilità. Distribuito da Cineclub Internazionale.
1948, la Guerra Fredda arriva in Cile. Il Senatore Pablo Neruda accusa il governo di tradire il Partito Comunista. È messo sotto accusa dal Presidente González Videla e diventa il ricercato numero 1 inseguito dal Prefetto della Polizia, Oscar Peluchonneau, che dà il via a una caccia all’uomo, ossessiva per lui, un gioco per Neruda. Traendo ispirazione dai drammatici eventi della sua vita da fuggitivo, Neruda scrive la sua epica raccolta di poesie, Canto General . Quello del regista Larraín e dello sceneggiatore Guillermo Calderón ( Il Club ) è un gioiello di cinema acuto, visionario e originale nel giocare con realismo e finzione, con Storia e Leggenda, filosofico nell’indagare la storia un Paese attraverso le sue fazioni opposte. Non ci sono eroi senza cattivi, e il cattivo deve la sua ragione d’essere all’eroe.
Anni ’20, Andalusia. La piccola Carmen è orfana di madre. Il padre amoroso, celebre torero inchiodato su una sedia a rotelle dopo un incidente nell’arena, le insegna i rudimenti della tauromachia e sposa Encarna, donna cattiva e ambiziosa che detesta la bimba. Per fortuna c’è la nonna, ex ballerina di flamenco, che dà lezioni alla nipotina. Carmen adolescente riesce a fuggire dalle grinfie della matrigna, si unisce a un gruppo di toreri nani e diventa una vedette delle arene con il nome di Blancanieves. Arricchito di tutti i luoghi comuni della cultura spagnola, vuole rievocare il cinema delle origini, muto e in bianco e nero, e la sua singolare rilettura della favola diventa un lavoro interessante, senza nostalgie. Presentato in alcuni festival con orchestra dal vivo a interpretare le musiche. Concha de oro a San Sebastián per la García e ben 18 candidature ai Goya, con 10 premi ottenuti, a partire da quello per il miglior film.
Spagna 1970 Genere: Drammatico durata 70′ Regia di Paulino Viota Con Guadalupe Güemes, Eka García, José Miguel Gándara, Camino Gárriz, José Ángel Rebolledo, Andrés Rodríguez, José Sámano
Una coppia soggiorna nella stessa pensione in camere separate e mantiene i contatti attraverso la proprietaria. Metafora della società spagnola sotto il regime franchista, girata con pochi soldi e ispirata soprattutto al cinema di Yasujiro Ozu.
Spagna 1984 Genere: Commedia durata 82′ Regia di Paulino Viota Con Ana Gracia, Pilar Marco, Guadalupe Güemes, Fabio León, Iñaki Miramón, Fidel Almansa, Julieta Serrano, Manuel de Blas
Santander, estate. Un uomo muore e i suoi amici e conoscenti si incontrano per il funerale per poi separarsi di nuovo. Eugenio trascorre la giornata con Pilar, una cugina più giovane di venti anni, e Ana, una ragazza che ha problemi con il compagno Miguel. L’inverno seguente, a Madrid, città in cui Pilar e Ana vivono, Mercedes ed Eugenio rivedono le due ragazze, stabilendo relazioni diverse da prima. Jorge, ex fidanzato di Pilar, torna a vivere con lei mentre Eugenio tenta di superare i problemi legati alla differenza d’età e di conquistare Ana. Lontano dalla provincia, le loro esistenze prendono pieghe differenti.
Isabel Pisano conduce un’inchiesta sul mondo della prostituzione, mentre le sue vicine di casa ne sono coinvolte per diversi motivi. A metà tra fiction e documentario.
Nella celebre università di Salamanca (Castilla-León) imperversa un assassino periodico che si serve di Internet per eliminare in modi efferati gli studenti che non studiano o fanno troppo casino. Dagli anni ’90 in poi nel cinema ispanico è in auge l’horror di cui questo film, scritto da Javier Montero, è uno dei prodotti più scadenti, per giunta sulla scia della serie USA Scream . I 2 responsabili della regia non sanno nemmeno copiare. Attori inclassificabili e qualche traccia di sadomasochismo dozzinale.
Per godere della compagnia degli amici superstiti, tutti paralitici, l’ottantenne don Anselmo chiede ai familiari una carrozzella a motore. Gliela negano, lui li avvelena. 3° e ultimo film spagnolo di M. Ferreri. Apologo crudele e grottesco sulla vecchiaia e l’ipocrisia dei rapporti familiari borghesi. È anche un ritratto impietoso della Spagna franchista.
Scritto da Luìs Arcarazo dal libro Compte enrere. La historia de Salvador Puig Antich di Francesc Escribano. Il 2 marzo 1974, un anno prima della morte di Francisco Bahamontes Franco (1892-1975), Salvador Puig Antich, militante catalano del Movimento Ibèrico de Liberaciòn (MIL) di estrema sinistra, è messo a morte con un discutibile processo da una corte marziale. Fu l’ultimo cittadino spagnolo giustiziato con la garrota. Oltre a descrivere per la prima volta con puntigliosa efficacia che cosa sia il garrote e come funzioni (fu in vigore dal 1882 e abolito nel 1976), il 2° film del catalano M. Huerga è il vivace ritratto di un giovane “ribelle con una causa”, la descrizione dei disperati tentativi dei familiari, compagni e avvocati di evitarne l’esecuzione e l’attendibile se pur parziale analisi politica di un regime totalitario ormai al collasso che, dopo l’attentato mortale (20-12-1973) all’ammiraglio Carrero Blanco, capo del governo, trasforma Salvador in un capro espiatorio per dare l’esempio. Premio Goya per la sceneggiatura non originale e passato in una dozzina di festival europei
Nel bel mezzo dell’oceano Atlantico, Farrel chiede al capitano della nave sulla quale lavora il permesso di scendere a terra. Il suo scopo è quello di recarsi nella città in cui è nato per vedere se sua madre è ancora viva.
L’anziano commissario Matthäi indaga sull’assassinio con stupro di una bambina, commesso nei pressi di Mägendorf (Zurigo), non convinto della colpevolezza di un vagabondo che, dopo l’arresto, si impicca. Alcuni indizi e l’intuito lo portano a credere in un maniaco che ha già ucciso altre due bambine e che ci riproverà. Su sceneggiatura di Friedrich Dürrenmatt che la sviluppò nel romanzo La promessa-Un requiem per il romanzo giallo (1958) con un finale diverso. Vajda ha diretto un solido e convenzionale film d’indagine poliziesca, non privo di delicatezza (dovuta anche a ragioni di censura), bene interpretato dal famoso attore comico tedesco Rühmann (1912-94) che fu sullo schermo anche Maigret. Rifatto con La promessa (2001) di S. Penn con J. Nicholson.
12enne introverso ma responsabile, Conor vive con la madre, malata terminale, ed è vittima di bullismo a scuola. A badare a lui, arriva la nonna. Senza volerlo, Conor, sopraffatto dalla rabbia e dalla solitudine evoca dai suoi sogni e disegni una strana creatura alta 12 metri, che, poco prima di mezzanotte, prende vita da un imponente albero. Antico, selvaggio e inesorabile, questo mostro guida Conor in un viaggio all’insegna del coraggio, dell’autocoscienza e della verità raccontandogli 3 storie. Favola che spezza il cuore per la tenerezza con cui parla di malattia e di coraggio, di amore materno e di accettazione di un ingiusto dolore. Gli acquerelli, passione della madre di Conor, ispirano l’animazione delle storie terapeutiche raccontate dalla creatura fantastica (splendidi disegni animati di Jim Kat, illustratore di Harry Potter). Mentre la 4ª storia, quella che l’albero pretende da Conor, altro non è che la verità negata dal ragazzo. L’audace Bayona gioca con la macchina da presa per dare priorità al punto di vista di Conor. Indimenticabile la voce originale di Liam Neeson per la creatura.
Laura ha acquistato con il marito il vecchio orfanotrofio in cui è cresciuta per trasformarlo in un accogliente istituto per bambini bisognosi di cure, come Simon, malato di HIV, che ha adottato e che non ha molto da vivere. Il ragazzino, solitario e introverso, si è creato degli amici immaginari con i quali gioca e che terrorizzano Laura perché lasciano segni e impronte fin troppo reali. Durante la festa d’inaugurazione dell’istituto Simon scompare. Le ricerche dei genitori aiutati poi anche dalla polizia sono vane. Sergio G. Sanchez scrive, Guillermo Del Toro produce e affida la regia – con successo: 25 milioni di euro e 7 Goya (gli Oscar spagnoli) – all’esordiente Bayona che supera i limiti di un horror d’atmosfera. Come? Preferendo l’indagine psicologica, il dolore, l’analisi degli affetti rubati e delle ferite ancora aperte. Ottima interpretazione della Rueda, volto interessante, segnato e preservato da scempi di chirurgia estetica o botulino. Inquietante la presenza della scheletrica Chaplin.
Gestore di un ristorante di Buenos Aires ereditato dal padre, il quarantaduenne Rafael Belvedere è in crisi esistenziale, insoddisfatto di tutto, soprattutto di sé stesso e dei suoi miseri rapporti con la figlia, i genitori, la donna con cui vorrebbe risposarsi. L’offerta di una multinazionale che vorrebbe acquisire il ristorante paterno e l’improvviso ritorno di un vecchio amico gli danno l’occasione di una radicale metanoia. Mentre l’Argentina sprofonda nella recessione e nella povertà, il suo cinema rinasce. Lo prova anche questa commedia, scritta dal regista con Fernando Castets, che con finezza dosa gravità e leggerezza, pena e divertimento, passato e presente, cioè gli anni in cui i porteñi si sentivano in cima al mondo e quelli di oggi quando sono in fondo alla scala. Spiccano, in una compagnia di attori diretti con brio, la Aleandro e Alterio che già fecero coppia in La storia ufficiale (1985), contribuendo alla conquista di un Oscar. In castigliano novia significa promessa sposa.
Una stazione, autobus strapieni e una lunga lista d’attesa. Ma l’attesa si trasforma in occasione di ritrovata solidarietà. Progressivamente le tensioni calano, risbocciano passioni sopite, nascono nuovi amori. E, soprattutto, si lavora insieme per migliorare quel piccolo mondo che è la fatiscente stazione d’autobus. Dopo Fragola e cioccolato e Guantanamera,girati con lo scomparso Tomas Gutiérrez Alea, Tabio realizza una piccola commedia che riconcilia con il cinema.
In un porto in rovina i Ciclopi, banda di criminali ciechi, rapiscono bambini per consegnarli ai Krank che ne risucchiano il cervello per ricavarne i sogni di cui per il precoce invecchiamento sono ormai incapaci. In cambio ne ottengono occhi artificiali. Tra i rapiti c’è il piccolo Denrée, fratellino adottivo del buon gigante One che, aiutato dalla vivace Miette di nove anni, lo ritrova e sconfigge i Krank. Ancor più bizzarro del precedente Delicatessen , è una favola gotica ricca di rimandi letterari e pittorici, imperniata su tipici temi della letteratura per l’infanzia. Contributi audiovisivi di prim’ordine: fotografia: Darius Khondji, musiche: Angelo Badalamenti, costumi: Jean-Paul Gaultier. Effetti speciali di insolita raffinatezza e invenzioni di sofisticata ingegnosità: le pulci assassine, i cloni che ballano la rumba, le perfide sorelle siamesi. Scritto da J.-P. Jeunet e Max Caro, che ne ha curato anche la direzione artistica, con Gilles Adrien. In concorso a Cannes, divise la critica. Inosservato in Italia.
Cesar, custode di un condominio, spia e narcotizza ogni notte la bella Clara, dorme accanto a lei, intossica i suoi prodotti di bellezza, le infesta la casa di scarafaggi solo perché la ritiene “colpevole” di una serenità a lui sconosciuta: deve soffrire come lui. Balagueró fa un cinema di pura forma, estetizzante come i suoi film precedenti, ma con una freddezza stilistica insolita, meno epidermica, che rinuncia agli effetti facili. Solo in un secondo momento approfondisce i temi della disperazione e della solitudine: quando si ferma sullo sguardo di sua madre, ricoverata in ospedale, inducendo lo spettatore a intuire il dolore di un passato infantile che deve essere stato tremendo.
Perché una donna resta per dieci anni con un uomo fisicamente e psicologicamente violento? A Toledo la bella Pilar, spinta dalla paura, fugge da casa e dal marito Antonio col figlio Juan, rifugiandosi dalla sorella, ma qualche tempo dopo, ancora innamorata e fiduciosa nelle sue promesse di ravvedimento, ritorna dal marito. Il secondo distacco sarà definitivo. Scritto con Alicia Luna, il 3° lungometraggio dell’attrice madrilena Bollaín affronta il tema della violenza domestica sulle donne, riuscendo a subordinare i suoi espliciti intenti didattici alla complessità di un dolorante rapporto umano, a un ammirevole scavo psicologico dei personaggi. 7 premi Goya, gli Oscar spagnoli, e la Concha de Plata del Festival di San Sebastian ai due interpreti principali: Marull, fragile e forte con uno splendore che le viene dall’interno, e il sobrio, intenso Tosar che analizza, sfaccettandole, le contraddizioni del suo difficile personaggio.
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