Un film di Aleksandr Sokurov. Con Gudrun Geyer, Alexei Ananishnov Titolo originale Mutter und Sohn/Mat’ i syn. Drammatico, durata 75 min. – Russia 1997
In una paese della Russia vivono madre e figlio. Lei è malata, lui la cura. Lei si fa domande sulla vita, lui guarda da lontano un treno e sogna di salirvi. Lirismo alla Tarkovskji. Cose conosciute. E ripetute.
I subita sono stati tradotti da google, potrebbero esserci delle imprecisioni
Nella Mosca contemporanea umani dotati di poteri straordinari e vampiri si affrontano per mantenere la tregua ormai millenaria tra le forze della Luce e le forze delle Tenebre. I guardiani della notte sorvegliano le gesta dei vampiri impedendo che possano uccidere persone innocenti, allo stesso tempo gli esseri notturni controllano i guardiani della luce. Un’antica profezia prevede che, all’arrivo di un Eletto, l’equilibrio tra i due poteri sia destinato a spezzarsi in favore di una delle due fazioni che, in seguito a una guerra apocalittica, dominerà l’altra. Quel momento è ormai giunto e il messia dovrà scegliere da che parte stare. Tratto dall’omonimo romanzo di Sergej Luk’janenko, il fanta-horror che non ti aspetti arriva dalla Russia e si appresta a conquistare l’America visto che sono già stati messi in cantiere due seguiti che verranno distribuiti dalla Fox (I guardiani del giorno e I guardiani del crepuscolo). Piccolo caso in patria, stupisce per la riuscita realizzazione tecnica nonostante il modesto budget a disposizione e per la spettacolarità di alcune scene. Nel Bene si annida il Male e anche nel Male è possibile trovare un po’ di umanità e di bontà: è questo che ci racconta il film di Bekmambetov e il tema della contrapposizione non manichea tra i due poteri è uno degli aspetti più interessanti di tutto il film che, pur non brillando per originalità, trascina lo spettatore in un mondo affascinante e oscuro; un cammino a volte reso difficoltoso da una trama così complessa, da essere di ostacolo alla comprensione della vicenda.
Nella Russia contemporanea, arrivare a fine mese è un miracolo, soprattutto se sei un artistoide che sopravvive di espedienti e piccoli furti come Andryusha, ebreo dalla parlantina svelta e dalla mente ancora più celere, la cui vita potrebbe essere facile, se non dovesse più badare solo a se stesso. Ora c’è di mezzo anche Lina, la sua fidanzata. Bellissima, spendacciona, materialista e gelida: sempre bisognosa e vogliosa di… denaro. E per trovarli, Andryusha si reinventa perfino accordatore di pianoforti di fronte a due anziane e agiate amiche: Anna Sergeyevna e la tonta vedova Lyuba. Sono loro i polli da spennare per i capricci di Lina… e come galline dalle uova d’oro, c’è da dirlo fanno un chiasso tremendo già di loro!!! Una commedia molto divertente, con una sceneggiatura e una trama terribilmente spassose, nere e rapide, che si distinguono per la perfezione dei tempi comici della slapstick comedy, ottimamente sostenuta, fra l’altro, dagli interpreti del film, in particolare delle vecchie leve del cinema russo Alla Demidova e Nina Ruslanova, nella parte delle due attempate amiche. La regia di Kira Muratova è perfetta fino al più piccolo particolare, così come la fotografia in bianco e nero, dai toni leggeri. Il nome di uno dei protagonisti: Anna Sergeyevna entra simpaticamente in testa dello spettatore, dato che è ripetuto da tutti i personaggi del film. Molto Truffaut, tanta black-comedy!
Il termine medico del titolo designa quella che un tempo era nota come “ipocondria” o “melancolia”. Ora ne soffre l’insegnante Nikolaj, quotidianamente impegnato a fronteggiare una schiera di studenti di rara indifferenza. Ma forse è l’intera società a esserne afflitta…
A five-person team of gold prospectors in the Yukon has just begun to enjoy great success when one of the members snaps, and suddenly kills two of the others. The two survivors, a husband and wife, subdue the killer but are then faced with an agonizing dilemma. With no chance of turning him over to the authorities for many weeks, they must decide whether to exact justice themselves or to risk trying to keep him restrained until they can return to civilization.
Un film di Aleksandr Dovzhenko. Con Semyon Shagaida, Sergei Stolyarov, Stepan Shkurat, Yevgeniya Melnikova Fantascienza, b/n durata 82 min. – URSS 1935. MYMONETROAerograd valutazione media: 4,00 su 1 recensione.
Nella Taiga siberiana le guardie di frontiera sono impegnate a difendere la costruzione di un aereoporto dalle spie giapponesi. Incombe sulla storia la presenza selvaggia della foresta paludosa, dove avverrà la fucilazione di un traditore da parte di un anziano cacciatore, suo caro amico. Dovgenko portò a termine il film, girato a Mosca e in Siberia, con grande entusiasmo, e, in effetti, Aerograd ha al suo attivo scene dense di lirismo, come quella straordinaria della fucilazione del traditore Khudjakov, e l’altra bellissima del figlio neonato dell’aviatore.Il film, in cui affiorano concetti non facili, fu accolto dalla critica con reazioni contraddittorie, anche se spesso i giudizi negativi erano destinati a mutare. Lo stile immaginoso caratteristico di Dovgenko, stile che certe volte era apparso fine a se stesso, acquistava qui un significato strettamente legato al significato stesso del film: collegando i riti semibarbari dei vecchi credenti con il formalismo egualmente barbarico del Samurai, Dovgenko sottolineava in modo indubbiamente cinematografico le cause dell’alleanza politica fra i nemici dei Soviet, all’interno e al di fuori del paese. Contro tali immagini di un mondo primitivo e retrogrado, si stagliava l’efficacissimo ritratto del giovane comunista, portavoce di una nuova e diversa generazione: ritratto più lirico forse che funzionale, ma arricchito dalla poesia e dal calore che il regista è maestro nel raggiungere. (Richard Griffith).
Da una domenica all’altra. La vita di due fratelli è sconvolta dall’arrivo inatteso di un padre che aveva lasciato la famiglia undici anni prima e che li porta in gita in auto sul lago Ladoga, non lontano da San Pietroburgo. Ne nasce un rapporto conflittuale di conoscenza reciproca. 1° lungometraggio di un regista siberiano che, oltre al Premio Opera Prima, vinse il Leone d’oro a Venezia 2003, 41 anni dopo L’infanzia di Ivan di Andrej Tarkovskij. Il più piccolo dei due fratelli si chiama Vanja, diminutivo di Ivan: è lui al centro dell’azione di cui il padre è il motore. “Non ci sono né simboli né metafore. Due ragazzini vanno sull’isola col padre: non è una metafora, è una storia che appartiene alla vita” (A. Zvyagintsev). È un invito a rinunciare alla smania dell’interpretazione davanti a un film che non dà risposte alle domande che pone. Un invito a guardare, a lasciarsi avvolgere dall’atmosfera fuori dal tempo e rarefatta dei luoghi, delle azioni, delle parole, ad attendere la conclusione tragica, preannunciata all’inizio dall’immagine del padre addormentato, ricalcata sul Cristo morto di Andrea Mantegna. Non è una metafora? Forse, però c’è un approccio mitico come se “intendesse costituire una sorta di racconto originario: la storia che riassume tutte le altre. Che dà una ‘forma’ poetica a tutte le altre” (U. Mosca). Questo viaggio col padre è un corso di formazione alla vita, un incontro con la vita adulta, raccontato in una dimensione quasi religiosa. Fotografia: Mikhail Krichman. Musiche: Andrej Dergachev.
Dieci “capitoli” sull’esistenza miserabile di mendicanti e senza casa nella Russia di oggi. Un vero e proprio popolo composto di senzatetto, barboni, poveri, malati di mente, emarginati si riversa nelle strade delle città dopo il crolo del regime comunista. L’ipocrisia propagandistica del vecchio regime aveva infatti provveduto a rinchiudere queste persone nei gulag o negli ospedali psichiatrici. Ora che i campi di rieducazione non ci sono più e i manicomi ricoverano solo dei veri malati. Il bubbone esplode in tutta la sua virulenza.
Antefatto: nel 1942 un marinaio russo spara vigliaccamente al suo superiore per salvarsi la vita. 34 anni dopo è in un monastero su un’isola del Mar Bianco. Si comporta in modo bizzarro, ma è rispettato dai monaci per la sua capacità di sofferenza, espiazione, preghiera, ed è amato dal popolo per i suoi poteri di previsione del futuro, cura delle malattie, esorcismo del male. Sbarca sull’isola l’uomo che credeva di aver ucciso, un ammiraglio preoccupato per la salute mentale della figlia. Guarita la ragazza con un esorcismo, si lascia morire in una barca che va alla deriva nei ghiacci eterni. Film estremo nella sua delirante cupezza: “L’esaltazione del misticismo e dell’eremitaggio come unica reazione sana a un mondo impazzito sembra una critica esplicita alla Russia contemporanea” (A. Morsiani). Fuori concorso a Venezia 2006. Reperibile in DVD in versione originale con sottotitoli.
Racconto, parzialmente inventato, dell’ammutinamento dei marinai dell’incrociatore corazzato Kniaz Potëmkin Tavričevskil, scoppiato a Odessa il 27 giugno, uno degli episodi che si svolsero in Russia durante i movimenti rivoluzionari del 1905. Commissionato dal governo sovietico per il ventennale, il film è costruito come un dramma in cinque atti che lo stesso S.M. Ejzenštejn titolò: 1) Uomini e vermi; 2) Dramma sul ponte; 3) Il sangue grida vendetta; 4) La scalinata di Odessa; 5) Il passaggio attraverso la squadra. Ognuna delle cinque parti _ paragonabili ai movimenti di una sinfonia _ è imperniata su un elemento che ne costituisce l’unità visiva. Questo breve poema epico _ che è anche uno straordinario esempio di cinema di propaganda _ rappresenta, nel tormentato itinerario di Ejzenštejn, il momento di equilibrio e armonia tra ideologia e formalismo, ricerche d’avanguardia e tradizione, teoria e pratica. Il film fu proiettato per la prima volta il 21 dicembre 1925 al Teatro Bol’šoj di Mosca, e dal gennaio 1926 distribuito con tiepido successo di pubblico che aumentò dopo che fu proiettato nello stesso anno al Kamera Theater di Berlino, alla presenza del regista, con un’accoglienza entusiastica. Per un quarto di secolo in Occidente, comunque, con poche eccezioni, fu visto soltanto nei cineclub. Nel 1950 ne fu curata un’edizione sonora con musiche di Nikolaj Kriukov, leggermente più corta di quella muta del 1926 (inquadrature perdute o censurate), con un commento un po’ enfatico. Fu distribuita in Italia nel 1960 (con la voce di Arnoldo Foà). Nel 1976 ne fu fatta un’altra edizione con musiche di Dimitrij Šostakovič.
Al centro di una incolta regione industriale c’è una misteriosa Zona, di accesso proibito dalle autorità, dove molti anni prima precipitò un meteorite – o un’astronave? – sprigionandovi una potenza magica capace di esaudire i desideri di chi riesce ad arrivarvi. Guidati da uno “stalker” (“to stalk” = inseguire furtivamente), uno scrittore e uno scienziato penetrano nella zona, ma giunti alla meta rinunciano a entrare nella Stanza dei Desideri. Liberamente ispirato al racconto lungo Picnic sul ciglio della strada (1971) dei fratelli Arkadij N. e Boris N. Strugackij, scrittori di fantascienza che l’hanno sceneggiato, il 5° film di Tarkovskij, e l’ultimo che girò nell’URSS, è, nella sua enigmatica compattezza, un’opera affascinante. Non è difficile riconoscere nello “stalker” e nei suoi congiunti le figure dei “poveri di spirito” dostoevskiani, degli umili evangelici che hanno bisogno della fede per mantenere accesa una scintilla di speranza e che si contrappongono agli intellettuali perché ormai, abbandonato ogni illusorio tentativo di intervento nella Storia, dei politici Tarkovskij più non si cura. Sotto il segno dell’acqua, non sembra sibillino il tema della contrapposizione tra la rigidità-forza e la flessibilità-debolezza che corrisponde alla vita. Come accade con i poeti – e Tarkovskij fa un cinema di poesia – la filosofia di Stalker passa attraverso l’emozione delle sue immagini.
Un testo teatrale al servizio dell’occhio esperto del regista russo Nikita Mikhalkov. Remake de La parola ai giurati – film che nel 1957 segnò l’esordio alla regia di Sidney Lumet – 12 ne è un riuscitissimo adattamento, grazie anche a una prova corale degli attori senza alcuna defezione. Ambientato totalmente all’interno di una palestra, dodici giurati si ritrovano a dover decidere all’unanimità della sorte – ormai segnata – di un giovane ceceno accusato di parricidio. Ma nel meccanismo qualcosa si inceppa, e la certezza della pena viene messa in dubbio da un giurato che, poco a poco, costringe ognuno a rivedere le proprie posizioni, rendendo la sentenza più difficile del previsto.
Toma Alistar, un orfano dotato di un grande talento musicale, dimostra subito di essere un eccellente suonatore di violino. Si innamora di una giovane zingara e, malgrado gli enormi successi in campo musicale che lo obbligano a spostarsi continuamente dal suo paese natio, il suo pensiero fisso resta il suo primo amore. La cerca ovunque, la ritrova ormai sposata ad un ricco tzigano, la riperde e muore senza riuscire più a rincontrarla. Lo farà per lui un altro Toma che troverà la donna ormai anziana.
La trama di 977 (2006). Un giovane scienziato va a lavorare in un istituto di ricerca, in cui trova delle persone che ci vivono e fanno parte di un esperimento…
Il presidente assume Machete – ancora distrutto per l’uccisione della sua compagna – per bloccare un boss messicano delle armi, miliardario e schizofrenico, che ha puntato un razzo sulla Casa Bianca. In cambio avrà fedina pulita e cittadinanza USA. Machete accetta e scopre anche chi c’è dietro il folle. È un film che pone alcuni problemi. Si può conciliare l’estrema violenza con il divertimento? Si può assolvere a livello etico una ipercinetica violenza con l’esplicita ironia che convive con la contaminazione dei generi e il quoziente antilegalitario?
È il film più cupo e pessimista (o nichilista?) realizzato in Russia dopo il crollo dell’impero sovietico ed esportato in Occidente (a Venezia 2007 nelle Giornate degli Autori). Alcune citazioni della stampa russa: esempio dell’estetica fascista; film geniale, terribile come la morte; film non per chi comprende ma per chi ricorda; terribile rétro. 1984 a Leninsk, mentre gli aerei sovietici da carico riportano in patria le salme dei soldati morti in Afghanistan, la polizia indaga su un omicidio e sulla scomparsa di una ragazza violentata. Le indagini sui due crimini sono affidate al capo della polizia Zurov che li ha commessi. Eventi realmente accaduti, registrati dal regista/sceneggiatore che nel 1984 aveva 25 anni. Nella colonna brani musicali di gruppi rock che allora cominciavano ad affermarsi.
Un ex ufficiale della Legione Straniera, Galoup, ricorda i gloriosi giorni vissuti al comando di un drappello di soldati nel Golfo di Gibuti. La sua esistenza felice, scandita dai ritmi della vita militare, viene sconvolta dall’arrivo di una promettente recluta, Sentain, che provoca nell’ufficiale un sentimento di gelosia. Per questo comincia a fare di tutto per metterlo in cattiva luce nei confronti del comandante che lui ammira ma dal quale non riceve conforto.
Delirii provocati da droghe. Mesopotamiche teorie di cospirazione. Lo spirito di Che Guevara che viene convocato da una tavola Ouija. Tutto questo non è certo ciò che si pensa quando si tratta di cinema russo, ma Generazione P è un punto di svolta che esplode con uno stile unico e scandaloso.
Titolo originale: ЖитьAnno: 2012Paese: RussiaGenere: drammatico Produzione: Koktebel Film Company Distribuzione: Utopia Pictures Durata: 119 minuti Regia:Vasilij SigarevAttori: Irma Arendt, Aleksey Filimonov, Konstantin Gatsalov, Marina Gavrilova, Sasha Gavrilova, Dmitriy Kulichkov, Yana Sekste.
Living è un ritratto esistenziale di alcuni personaggi in una provincia russa invernale. Una madre vuole ricongiungersi alle sue figlie gemelle. Una giovane coppia si sposa in chiesa, ma subito dopo la cerimonia, Dio – o forse il diavolo, o forse il destino – mette alla prova spietatamente il loro amore. Un ragazzo vuole incontrare il padre da cui è separato, nonostante le feroci proteste di sua madre. Tutti i personaggi sopportano il proprio calvario.
Unione Sovietica, 1922. Dopo gli anni di spinta della Rivoluzione di ottobre le difficoltà del regime si mostrano con evidenza. Lenin, 51 anni, viene colpito da un attacco cardiaco e la sua salute declina rapidamente. Le sorti dell’immenso Paese vengono prese in mano da un triumvirato formato da Zionoviev, Kemenev e Stalin. Quest’ultimo viene nominato Segretario del Partito. In questa situazione Sokurov colloca il secondo capitolo della sua analisi del potere attraverso gli uomini che lo rappresentano. In Moloch si trattava di Hitler, mentre qui il regista tratteggia due figure che hanno segnato direttamente il destino del loro popolo. Ma le coglie nel momento della dissoluzione fisica (Lenin) e del configurarsi di quella morale (Stalin). Sono due morti prima ancora di morire. Lenin è il Taurus della situazione (cioè il simbolo della forza destinato a essere sacrificato e quindi profondamente solo) in lotta costante con la progressiva perdita di lucidità che lo tormenta. Mentre Stalin è già l’accorto regista di un terrore che incute a tutti dietro un apparente sorriso. Lenin si avvia alla morte in una casa dello Stato che non gli appartiene così come non gli appartiene più la Rivoluzione. La nebbia invade le stanze e ammorba le inquadrature, mentre i servi (che non sono stati elevati ad altro rango) cercano di rubare da dietro le porte brandelli di una Storia che vuole restare segreta.
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