Un uomo singhiozza disperatamente (soddisfatto) ai piedi di un letto. Da quando la moglie è in coma, sperimenta la pietà del mondo: la torta della vicina ogni mattina, la solidarietà dell’impiegato della tintoria a ogni capo smacchiato, gli abbracci della segretaria a ogni congedo, l’affetto di un amico dopo ogni partita a racchettoni, gli incoraggiamenti del padre a ogni visita. Quel sentimento di commossa e intensa partecipazione umana lo appaga pienamente ma poi la consorte si risveglia e la vita torna a sorridergli gettandolo nello sconforto più totale. Infelice all’idea di essere felice per sempre, cova l’impulso malato di ricadere in ambasce. Per riavere di nuovo un briciolo di misericordia è disposto a tutto.
1970. Dopo accese discussioni e trattative poco chiare, si decide dove costruire una nuova grande fabbrica chimica. Bednarz, onesto uomo di partito, che vive nella cittadina dove la fabbrica dovrà sorgere, viene incaricato della costruzione. Ma la sua fedeltà a regole e principi gli creerà ben presto molti problemi.
Uno speaker motivazionale che parla ad una folla di disoccupati e senzatetto, uno scienziato russo che costruisce una macchina del tempo nel suo appartamento e un gruppetto di amici avventurosi che si imbatte in un villaggio sperduto della campagna polacca. Cosa accomuna questi personaggi? La ricerca, non sempre consapevole, della quarta dimensione, stato esistenziale nel quale il dolore viene accettato e la gioia ha il dolce sapore dello zucchero filato. Alla regia dei tre episodi di The Fourth Dimension ci sono due nomi importanti del panorama cinematografico internazionale: Aleksei Fedorchenko (The Lotus Community Workshop) e Harmony Korine (Chronoeye). Al loro fianco si impone anche il più giovane Jan Kwiecinski (Fawns). Tutti e tre cercano, con un’originale e ammirevole voglia di sperimentare, di superare i limiti della narrazione classica, riflettendo su una dimensione spazio-temporale, solo apparentemente, inesistente. La quarta dimensione, da sempre oggetto di indagine da parte del mondo scientifico, ha rappresentato, anche per il cinema, una corposa fonte di ispirazione (l’eccentrico Doc della saga di Ritorno al futuro invitava il suo giovane Marty a “pensare quadrimensionalmente”). Il tempo, nella sua indefinibilità, lascia spazio a riflessioni filosofiche su ciò che si può toccare e cogliere e ciò che la mente umana fa fatica a raggiungere. Nel primo episodio (il più riuscito dal punto di vista visivo), che vede un trascurato Val Kilmer, in calzoncini e sgualcita camicia colorata, interpretare un maestro motivazionale, la narrazione non segue il filo cronologico dello scorrere del tempo. I ricordi si intrecciano con il presente, mentre sullo sfondo si sente una musica elettronica che dà ritmo e senso poetico a una vicenda intrisa di uno slancio verso il trascendentale. La sua contraddizione è quella di cercare di trascinare gli altri in una dimensione migliore e poi, a meeting concluso, perdersi a ingozzarsi di snack, per poi correre senza meta in bicicletta e sprofondare in un divano ad uccidere in un videogioco virtuale i “freak”, ovvero gli strani, gli stessi che aveva incontrato prima e che aveva trattato come pazienti in cerca di cura. I ragazzi di Fawns invece sono un gruppo affiatato che si immerge in un luogo di desolazione e lì trova la capacità di andare oltre alle cose solide del mondo. Lo scienziato del secondo episodio invece che, rinchiuso nella sua stanzetta, cerca di fuggire altrove (con la mente), mostra i suoi limiti umani nel momento in cui, con metodo rigoroso e fermo, intraprende il suo viaggio verso la quarta dimensione. Non si rende conto di essere troppo lontano da tutti e di aver perso, forse per sempre, un contatto con gli altri esseri umani.
Film introvabile che ho scovato su sito russo, purtroppo non esistono subita. Ho tradotto in italiano i subeng con google ma in alcune parti inspiegabilmente sono rimasti in eng. Il file è in ita ma quando vado a ripparlo rimangono in eng. La maggior parte del film ha subita comunque.
L’erede al trono d’Egitto smania dal desiderio di muovere guerra agli Assiri, ma è costretto ad aspettare di diventare faraone prima di cominciare ad organizzarsi un esercito. Intanto i grandi sacerdoti hanno stretto un’alleanza con i colleghi assiri e il loro volere non si discute. Visto che il giovane faraone continua a scalpitare, i sacerdoti lo eliminano.
Il dottor Henryk Goldzmit (conosciuto da tutti con lo pseudonimo di Janus Korczak) viene costretto il 6 agosto 1942 a trasferire i duecento orfani ebrei, di cui si occupa, nel ghetto di Varsavia. Si tratta del punto di passaggio prima dello sterminio a Treblinka. Wajda mostra, ancora una volta, le sue doti di narratore lucido e appassionato facendo uso magistrale del bianco e nero.
Storia divisa in 3 parti che corrispondono a 3 diversi itinerari nella vita del giovane polacco Witek, nato a Poznan nel 1956: nella prima diventa un funzionario di partito, nella seconda un dissidente, nella terza un medico che vuole starsene fuori dalla politica. Le varianti sono la conseguenza del caso, di un banale incidente in stazione. Ciascuna delle 3 varianti offre uno spaccato diverso della società polacca alla fine degli anni ’70: in ciascuna c’è un’evidente simmetria. Interessante, ma rigido e troppo dimostrativo nel suo determinismo. Kieslowski era già Kieslowski nel 1981 (ma il film fu distribuito solo nel 1987), ma gli mancava ancora Piesiewicz, il suo sceneggiatore da Senza fine (1984) in poi. Conosciuto anche come Il caso .
l portiere notturno di una fabbrica è un fanatico sostenitore della disciplina e della repressione, sia sul lavoro che sulla vita privata, e nel tempo libero fa il guardiapesca.
Nella Polonia alle soglie degli anni Cinquanta, la giovanissima Zula viene scelta per far parte di una compagnia di danze e canti popolari. Tra lei e Wiktor, il direttore del coro, nasce un grande amore, ma nel ’52, nel corso di un’esibizione nella Berlino orientale, lui sconfina e lei non ha il coraggio di seguirlo. S’incontreranno di nuovo, nella Parigi della scena artistica, diversamente accompagnati , ancora innamorati. Ma stare insieme è impossibile, perché la loro felicità è perennemente ostacolata da una barriera di qualche tipo, politica o psicologica.
Byłem żołnierzem (Ero un soldato) è un cortometraggio documentario di Krzysztof Kieślowski del 1970.
Il film è incentrato sul racconto di un gruppo di soldati che hanno perso la vista a causa dell’esplosione di una mina. Gli orrori della guerra vengono descritti dalle parole di chi ne è tornato riportando non solo danni fisici permanenti, ma soprattutto traumi e ferite interiori che il tempo non riesce a cancellare. Ogni voce aggiunge particolari, opinioni, esperienze, sprazzi di storie personali che tracciano un quadro sempre più preciso degli avvenimenti accaduti. Nel corso della narrazione l’eroismo sbiadisce di fronte alla forza distruttrice della guerra che annichilisce l’uomo, privandolo della speranza e della possibilità di decidere della propria vita. La modalità scarna, essenziale del racconto è un gesto di accusa contro gli inganni della retorica patriottica.
Poiché von Trier ha tra i suoi modelli Bergman, oltre a Tarkovskij cui dedica il film, diciamo che questo suo Scene da un matrimonio è discutibile sin dal titolo. Diviso in 6 capitoli: “Prologo”, “La paura”, “La pena”, “La disperazione”, “I 3 mendicanti”, “Epilogo”. L’ha ideato, scritto e diretto come terapia per uscire da una grave depressione. 2 personaggi in scena (anzi nel bosco) più 1. Lei è fuori di testa dopo aver visto, durante un coito, il suo piccolo Nic cadere dalla finestra della loro casa in città. Per curarla il marito psichiatra la porta in una capanna in mezzo a una foresta. Oltre a quella del sesso, esistono altre 2 pornografie, fondate sulla violenza e sull’imbecillità. Qui sono caoticamente fuse tutte e 3. Che cosa si proponeva l’autore con questo eurofilm dell’horror genitale, osceno e ossessivo, iperbolico e monocorde: scandalizzare il pubblico borghese? Spacciare il proprio forsennato formalismo per un discorso etico, simbolico, allegorico? Ostentare la propria misoginia? Sadicamente sottoporre a una performance estrema i 2 attori che, d’altronde, gareggiano in ardimento mimico-recitativo? Musica: G.F. Händel. Distribuzione: Lucky Red.
Campagna polacca, periodo prebellico. Un gruppo di personaggi bizzarri, contadini e minatori che vivono in un piccolo villaggio, ricevono tre indizi dalla loro guida spirituale, in punto di morte, per intuire come si svolgerà la fine del mondo: una grande guerra, una piaga rossa e un fungo enorme. Una commedia surreale che affronta in maniera ironica e metaforica i grandi avvenimenti del Novecento: la grande guerra, il comunismo, la guerra fredda e lo scoppio della bomba atomica.
Polonia, 1945. Dottoressa della Croce Rossa francese impegnata ad assistere i soldati feriti dopo la fine della seconda guerra mondiale, Mathilde è chiamata da una suora di un vicino convento e scopre, con il collega Gaspard, che molte benedettine sono rimaste incinte a seguito di ripetuti stupri compiuti dall’esercito russo. Nonostante la volontà della madre superiora di tenere nascoste le gravidanze al fine di evitare lo scandalo, tra l’atea Mathilde e le sorelle si crea un clima di progressiva fiducia che rimette fortemente in discussione equilibri e gerarchie. Ispirato al diario di Madeleine Pauliac sugli orrori postbellici compiuti dai sovietici, affronta temi complessi che non si limitano solo all’atto di accusa nei confronti delle violenze perpetrate, ma si estendono a una profonda riflessione sul senso della vocazione e l’utilizzo della fede come strumento di imposizione. Ottima prova della protagonista.
Decalogo (Dekalog) è una serie di 10 mediometraggi prodotti dal 1988 al 1989 e diretti da Krzysztof Kieślowski. Ogni episodio, di circa 55 minuti, è indipendente dagli altri e racconta una storia di vita quotidiana ispirata, talora vagamente, talora in modo più esplicito, a uno dei dieci comandamenti biblici.
Nel 1564 Pieter Bruegel il Vecchio completa la tela intitolata “La salita al Calvario” in cui rappresenta la Passione di Cristo ambientandola nelle Fiandre del suo tempo, oppresse dalla presenza spagnola. Filippo II (salito al trono nel 1556 alla morte di Carlo V) sta conducendo una feroce repressione contro i movimenti religiosi riformistici che suscitano reazioni negli ambienti colti ispirati dal pensiero di Erasmo da Rotterdam. Il pittore viene mostrato mentre sta concependo l’opera all’interno della quali colloca se stesso e i personaggi che lo circondano nella vita quotidiana. Carel van Mandel, primo biografo di Bruegel agli inizi del Seicento, definisce Bruegel “pittore dei contadini” intendendo con ciò sottolineare sia le origini che il soggetto preferito dall’artista e questa lettura dell’opera impedirà una sua completa messa in luce sino alla fine dell’Ottocento. Il film di Majevski non si propone di collocare la figura di Bruegel nel filone del cinema biografico. La novità non sta neppure sul piano tecnico. Già Tarkovskij nel 1974 aveva inserito un ‘quadro vivente’ ispirato proprio a Bruegel e al suo “I cacciatori nella neve” in Lo specchio e due maestri come Kurosawa con Sogni e Rohmer con La nobildonna e il duca avevano compiuto ulteriori passi in questa direzione (grazie ai mezzi sempre più avanzati disponibili). I colori della passione è e vuole essere al contempo un’occasione di contemplazione e di meditazione. La sofferenza di Cristo è collocata nel qui ed ora di un popolo che, a sua volta, soffre. I persecutori sono spagnoli e il Bruegel di Rutger Hauer osserva la loro protervia denunciandola nel quadro. Mentre traduce in immagini e colori il mistero della Passione il pittore non smette di riflettere sul presente osservandone i più intimi dettagli. Ci si trova così, con Majevski, a contemplare non solo il mistero nascosto nel divino ma anche quello che sottende gli aspetti più oscuri e profondi della concezione dell’opera d’arte. Sin dal folgorante inizio in cui l’artista colloca gli esseri umani in carne ed ossa sullo sfondo del paesaggio da lui dipinto veniamo fatti partecipi della scelta stilistica del film. Verremo accompagnati in un mondo e in un tempo che forse conosciamo poco. Ne osserveremo la quotidianità e vedremo come questa si traduca in simbolo alto. A partire dal mulino che domina dalla cima di una rupe l’ambiente circostante trasformato in dimora di un Dio che offre la materia prima per un pane che si trasforma in dono di sé. La circolarità dominante nel ritmo della composizione pittorica si riflette nel film e si muove all’interno della dinamica degli opposti Vita/Morte ben rappresentati dall’albero rigoglioso sulla sinistra e il palo su cui si espongono al ludibrio della voracità dei corvi i corpi dei condannati dei quali ci viene mostrata la desolata sorte. L’artista, ci dice Majevski, può riuscire ad entrare nei più reconditi pensieri della Madre che assiste al martirio del figlio così come è in grado di sospendere il fluire dell’azione rendendo compresente una sofferenza che si fa dono ogni giorno fino alla fine dei tempi. Bruegel esprime così il divino e la sua lettura del senso della vita osservando i bambini, gli uomini e le donne con le loro doti ma anche con le loro bassezze. Solo con un’arte che si rifà al vero del vivere è possibile tentare di comprendere il Mistero nella sua complessità. Senza avere il timore di raffigurare un Gesù che cade sotto il peso della Croce mentre la massa è attenta non a lui ma a raggiungere il luogo in cui assistere al macabro spettacolo della sua morte. Nello stesso istante la Madre, con Giovanni e le due donne, cerca di trovare una ragione a quanto accade e la camera, pennello digitale dei nostri giorni, ne contestualizza il dolore rendendolo universale.
Questo film austero è ambientato in un mondo post-olocausto nucleare in cui i miseri resti del genere umano aspettano un’arca di Noè che li porti in salvo. Sthur è l’eroe che tenta di stabilire se ci sia un qualche fondamento di verità dietro al mito, Janda è una donna pragmatica che preferisce una vita da prostituta a un futuro incerto e Dmochowski è l’ingegnere che sa che l’Arca giungerà – e quando alla fine arriva esplode distruggendo la Terra. Costruito in modo molto teatrale, il desolante futuro presagito è reso in modo ottimale in quanto viene solo accennato (spesso con sprazzi di comicità) e non è presentato minuziosamente. Sicuramente in contrasto con la maggior parte dei film di fantascienza degli anni ’80, stimola un elemento di riflessione in quella stessa maniera che aveva reso il genere così produttivo negli anni ’50.
Sasha, che è tornato in Russia dall’estero, deve occuparsi dello spazio edificato ed edificabile lasciatogli in eredità dal padre. Un operaio chirghiso cerca i suoi compagni di lavoro. Un architetto si aggira per lo spazio brullo e innevato. Una guida turistica ricorda quando insorse in difesa della Patria al fianco di Boris Eltsin. Una studentessa pensa che Stalin e Hitler non fossero poi così cattivi come li si racconta. Un suo compagno si chiede ad alta voce:”Chi siamo?Chi sono io? Tutto è nel caos!”. Alexey German Jr., forte del Premio Speciale per la Regia ottenuto a Venezia nel 2008, torna a realizzare un film “da festival” sperando di bissare il successo alla Berlinale 2015. I temi affrontati sono indubbiamente importanti e controcorrente rispetto al putinismo dominante in Russia. Ci si muove in una terra che è diventata quella che una volta si poteva considerare la Patria e dove ora una statua di Lenin con il braccio proteso verso l’avvenire serve da sedile sospeso per chi lo voglia utilizzare. Chi si aggira sulle rive di un anonimo fiume non può far altro che confrontarsi con un passato culturalmente glorioso che si è ormai corroso grazie al virus inarrestabile di un’amnesia collettiva sapientemente inoculato da chi non vuole che restino tracce di memoria. Più tutto si confonde e le distinzioni tra il bianco e il nero si fondono in un ammorbante grigiore e più chi ha il potere ha la consapevolezza di poterlo ‘democraticamente’ conservare. Tutti argomenti di estremo interesse e di forte impegno sociale condizionati però da una struttura narrativa divisa in capitoli in cui (ancora una volta dopo Paper Soldier) un testo di impianto teatrale perde gran parte del proprio valore simbolico nel girovagare di personaggi che si muovono in una Waste Land eliottiana che German Jr. continua a percorrere in modo ripetitivo da un film all’altro. Rimanendo a distanza dalla qualità del cinema paterno.
Nel 1642 Harmenszoon Van Rijn Rembrandt (1606-69), già ricco e famoso, accetta la commissione di un ritratto della Guardia delle milizie, ma scopre che alcuni suoi ufficiali si sono macchiati di cospirazione e omicidio. Ne esce una tela – la celebre Ronda di notte – che è anche un atto di accusa. I cospiratori ordiscono, servendosi di Geertjie, serva-amante, una trama per screditare il pittore, da poco vedovo, che viene messo al bando dalla potente e bigotta borghesia di Amsterdam. Film di eleganza squisita, alla prima maniera di Greenaway, teatrale nella costruzione “architettonica su linee rigorosamente geometrizzate… al limite della compiacenza manieristica, stupefacente ricchezza di immaginario spazio-temporale…” (Alberto Pesce). Fotografia: Reinier Van Brummelen.
Nel diciannovesimo secolo, in un villaggio estone popolato di creature soprannaturali, una giovane contadina si innamora di un ragazzo, che però sogna la figlia di un nobile. Entrambi cercano di usare poteri mitici per conquistare l’oggetto del loro amore.
Una cineasta prossima agli esami prepara come tesi un filmato su un operaio stakanovista proclamato eroe del lavoro. Ma svolgere un’inchiesta sul personaggio non è semplice: la ragazza si trova davanti a un muro di omertà e di reticenze. La verità è stata accuratamente celata per anni e, come al solito, non sta da una parte sola.
Morto d’infarto da quattro giorni, Antony Zyro, avvocato difensore degli affiliati a Solidarno47 &3 (vittime della legge marziale del governo guidato dal generale Wojciech Jaruzelski) assiste non visto alle azioni della moglie Ursula, del figlio Jacek, degli avvocati che si occupano dell’operaio Dariusz, accusato di aver organizzato uno sciopero non autorizzato. 1° lungometraggio di Kieslowski scritto con Krzysztof Piesiewicz, suo coautore per Decalogo , e con le musiche di Zbigniew Preisner, è un amarissimo film di costruzione spiraliforme che cerca di coniugare un appassionato e dialettico impegno civile con una quieta tenerezza sul versante dei sentimenti e un’incursione nel territorio dello spirito. Com’è evidente nel personaggio della moglie e nel finale, qui la morte diventa “l’espressione concreta di ciò che è senza fine , e del fermarsi del tempo nell’eternità affettiva della memoria” (S. Murri). Sotto il segno di un onirismo funebre, è una storia d’amore attraversata dalla continua presenza di una casualità enigmatica, premonizioni, gesti fortuiti. In Polonia uscì nel 1986: fu attaccato dalla Chiesa cattolica per motivi etici, dal Partito e dall’opposizione per ragioni politiche.